CLIL: SI’ O NO?

Un metodo d’insegnamento per le lingue straniere efficace oppure una scelta politica selettiva ed efficiente in termini di costi-benefici promossa da una precisa ideologia?

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Questo articolo è la traduzione dell’originale redatto in inglese: TO CLIL OR NOT TO CLIL, si può invece leggere una versione ridotta con il titolo: CLIL: un grande equivoco, che ho avuto l’onore di pubblicare sulla rivista online “La letteratura e noi” diretta da Romano Luperini, il 09 settembre 2019.

ABSTRACT

Lo scopo di questo articolo è dimostrare che il metodo Content Based Instruction (CBI) per l’insegnamento delle lingue straniere è in effetti un metodo efficace e, come dimostrerò, ciò che bisogna modificare per renderlo ancora più efficace al fine di affrontare le sfide di oggi è, innanzitutto, sviluppare la consapevolezza che di fatto funziona e, in secondo luogo, aumentare i fondi per fornire agli studenti la necessaria esposizione alla lingua e tempi adeguati per l’acquisizione linguistica. Il CBI è da tempo già ampiamente applicato nelle scuole secondarie italiane conseguendo ottimi risultati, come si vedrà in seguito.

I primi dibattiti sul CLIL, risalenti a più di 15 anni fa, si proponevano di affiancare ai docenti di discipline non linguistiche quelli di lingua straniera creando un contesto di lavoro di gruppo principalmente perché lo si intendeva utilizzare come strumento per incoraggiare la mobilità dei docenti europei. Successivamente invece il metodo CLIL è stato veicolato come una pratica didattica che escludeva totalmente il coinvolgimento dei docenti di lingua straniera,introducendo la presenza esclusiva di quelli di discipline non linguistiche; questa è la ragione principale per la quale non sono pienamente d’accordo con l’applicazione di questo metodo didattico e qui tenterò di spiegare le mie perplessità. Trovo particolarmente incomprensibile il motivo per cui l’esperienza di tanti professionisti dediti al loro lavoro debba essere discriminata e penalizzata a dispetto della loro alta competenza e degli ottimi risultati conseguiti.

Parole chiave: esposizione linguistica, CLIL, CBI, metodo Bilingue, Insegnamento delle lingue straniere

Books and pens

INTRODUZIONE

Lo scopo di questo articolo è dimostrare che il metodo Content Based Instruction (CBI) per l’insegnamento delle lingue straniere è in effetti un metodo efficace e, come dimostrerò, ciò che bisogna modificare per renderlo ancora più efficace al fine di affrontare le sfide di oggi è, innanzitutto, sviluppare la consapevolezza che di fatto funziona e, in secondo luogo, aumentare i fondi per fornire agli studenti la necessaria esposizione alla lingua e tempi adeguati per l’acquisizione linguistica. Il CBI è da tempo già ampiamente applicato nelle scuole secondarie italiane conseguendo ottimi risultati, come si vedrà in seguito.

In questo senso il vecchio programma europeo dell’Erasmus ha prodotto degli ottimi risultati, particolarmente in passato. Allo stesso tempo questo articolo intende sottolineare che l’idea attuale di CLIL può anche essere in linea con il principio dell’efficacia in termini di costi-benefici, ma a lungo termine si dimostrerà essere controproducente sia per quanto riguarda lo sviluppo delle competenze linguistiche degli studenti sia circa il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento previsti per l’acquisizione delle materie di insegnamento con il metodo CLIL.

COS’E’ DUNQUE IL CLIL? IL DIBATTITO TRA DIDATTICA TRADIZIONALE E IL CBI  NELL’INSEGNAMENTO DELLE LINGUE STRANIERE

L’acronimo CLIL sta per Content and Language Integrated Learning, cioè l’insegnamento, parziale o totale, di una disciplina curriculare a scelta attraverso una lingua straniera o una lingua di riferimento. Nel 1999 Coyle sviluppò un sistema concettuale olistico da applicare al CLIL, il cosiddetto sistema delle 4 C: Contenuto (disciplina curriculare), Comunicazione (lingua da imparare e utilizzare), Conoscenza (imparare e pensare) e Cultura (consapevolezza sociale degli altri e di se stessi). Secondo questo metodo gli insegnanti CLIL devono saper svolgere un ruolo in più rispetto a quello tradizionale, ovvero essere in grado di assicurarsi che gli studenti capiscano il contenuto insegnato attraverso una lingua straniera, in altri termini sono sia docenti di lingua che docenti della disciplina che insegnano (Coyle, Hood & Marsh, 2010).

Il dibattito in questione non è così recente come si possa pensare, infatti già tra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo, prima lo studioso Ceco, A. Comenius (1592-1670), si concentrò molto su metodi efficaci attraverso cui insegnare le lingue straniere e, in seguito lo slovacco, M. Bel (1684-1749), tentò di  risvegliare l’interesse degli studenti per le lingue attraverso il loro contesto culturale usando testi di storia, di geografia e diritto per ampliare il loro lessico durante le sue lezioni[1].

Tuttavia negli anni 40, 50 e fino all’inizio degli anni 60 del secolo scorso l’insegnamento delle lingue straniere era ancora incentrato sullo sviluppo delle quattro abilità: attività di ascolto, attività orale, lettura e scrittura tenendo conto dei tre domini: pronuncia, grammatica e lessico; come sostiene Collier, “una dimensione bi-dimensionale relativamente semplice”[2]. Questa metodologia didattica veniva essenzialmente applicata dagli insegnanti di lingue in un contesto scolastico attraverso lezioni frontali durante le quali veniva posto l’accento sulla grammatica al fine di far eseguire agli studenti scritti ineccepibili, mentre la comprensione della lingua parlata e la conversazione degli studenti erano considerati meno importanti, così come affermato anche da Kari Nieminen facendo riferimento ai metodi tradizionali dell’insegnamento delle lingue straniere nel suo paese, la Finlandia[3].

Questo approccio didattico è probabilmente un retaggio del passato principalmente dovuto allo studio delle lingue classiche come il greco e il latino, lingue morte che non sono più in uso, ma che vengono ancora considerate rilevanti per lo studio delle rispettive letterature e che, ancora oggi sono considerate come le basi della cultura e della civiltà occidentale, specialmente in Europa. Tuttavia, lo studio di queste lingue, oggi come ieri, si basa sulla capacità di sviluppare abilità necessarie per tradurre testi scritti in greco o latino. Si tratta essenzialmente di un esercizio accademico al fine di imparare le strutture delle suddette lingue ed essere in grado di interpretarne gli scritti con le loro sottigliezze intrinseche piuttosto che far fronte alle sfide inerenti ad apprendere quelle lingue per parlarle e usarle nella pratica quotidiana.

Inutile dire che lo studio delle lingue straniere oggi ha scopi ben diversi e che già verso la fine degli anni ’60 e ad inizio degli anni ’70 del ventesimo secolo erano percepiti come tali proprio quando nuovi studi, come sottolineato da Genesee e riferito da Collier, erano stati individuati nuovi campi di studi che iniziarono a “descrivere la necessità di sviluppare competenze comunicative comprese anche: l’adeguatezza socio-linguistica, strategie del discorso nello schema di pensiero per un uso orale e scritto (…) una terza dimensione della lingua che significa anche l’acquisizione di conoscenze sia  per quanto concerne la struttura (forme orale e scritte) di ciascuna unità linguistica significativa, sia per quanto riguarda la conoscenza del significato associato a quella struttura (semantica)” ma vi sono anche ulteriori dimensioni linguistiche di cui tener conto per “i registri specifici (consapevolezza metalinguistica) o campi e contesti in cui la lingua viene usata” e, come evidenziato ancora da Collier, “per ogni anno di maturità acquisita e per ogni anno di esperienza di vita si aggiungono ulteriori dimensioni di complessità allo sviluppo della lingua”[4], tanto da sottolineare che si tratta di un processo di sviluppo costante che si arricchisce progressivamente con l’esperienza e la crescita personale.

E’ intorno a questo periodo che l’insegnamento tradizionale delle lingue si contrappose in modo alquanto conflittuale con il metodo didattico denominato Content Based Instruction (CBI), ovvero l’immersione bilingue – come fu definito in Canada e negli Stati Uniti in quegli anni – in quanto l’opinione pubblica incominciò a percepire una diffusa “insoddisfazione circa gli esiti dell’apprendimento delle lingue straniere trasmesso a scuola poiché considerava le lezioni di lingue straniere, secondo lo stereotipo diffuso in quel periodo, quali una serie di esercizi grammaticali meccanici”, come sostiene Dalton-Puffer. Pertanto, continua Dalton-Puffer, “sia che un concreto programma didattico venga definito immersione bilingue, CBI o CLIL spesso dipende più dal concetto culturale e politico di riferimento che non dalle reali caratteristiche del programma stesso”[5].

Infine, si può dire che sia il Content Based Instruction, il metodo cosiddetto “immersione” o quello bilingue siano tutte etichette diverse che oggi possiamo raggruppare sotto il termine onnicomprensivo di CLIL. Fino ad oggi infatti, e nonostante gli anni di studio e sperimentazione di questo metodo didattico, di fatto non si è pervenuti ad un impianto strutturale chiaro. Al contrario esso può essere applicato durante le lezioni in classe in tanti modi diversi, per cui ad esempio, in alcuni casi le lezioni vengono svolte esclusivamente nella lingua oggetto di studio (L2), così come in altri, a seconda della complessità dei contenuti impartiti, le lezioni possono essere svolte in entrambe le lingue (L1/L2) perché è importante che gli studenti imparino la terminologia specifica dei contenuti di riferimento anche nella loro madre-lingua ed è altresì fondamentale accertarsi che essi afferrino il significato concreto dei contenuti trasmessi a prescindere dalla lingua usata[6]. In uno studio di caso spagnolo, ad esempio, oltre alla presenza in classe del docente CLIL vi è anche quella del docente di madrelingua[7].

IL LIBRO BIANCO DELL’UNIONE EUROPEA DEL 1995 E LA SUA TENDENZIOSITA’ POLITICA

Round Table of EU

Prima di affrontare nel dettaglio un’analisi del metodo didattico denominato CLIL bisogna tener in grande considerazione quali erano le intenzioni e quali furono le conclusioni tratte dai paesi membri dell’Unione Europea, durante il Consiglio Europeo tenuto a Cannes nel 1995, pubblicate nel Libro Bianco sull’istruzione e la formazione. Sin dalla premessa al documento gli stati membri affermano che: “Questo investimento nel sapere gioca un ruolo essenziale ai fini dell’occupazione, della competitività e della coesione sociale. Questo Libro Bianco sebbene guardi in prospettiva all’incontro del Consiglio Europeo di Madrid, trae le conclusioni dell’incontro tenutosi a Cannes del Consiglio Europeo del 1995, che affermano che: le politiche di formazione e apprendistato che sono fondamentali per migliorare l’occupabilità e la competitività, vanno rafforzate specialmente attraverso la formazione continua” e continua affermando “…pur nel rispetto del principio di sussidiarietà, il Libro Bianco dispiega le azioni a cui gli stati membri dovranno attenersi nei loro paesi e fornisce le misure di sostegno che dovranno essere introdotte a livello comunitario”[8]. Ciò che colpisce immediatamente il lettore è che questo Libro Bianco dell’Unione Europea del 1995 sottolinea in modo particolare l’importanza che vi sia necessariamente un legame e una cooperazione tra i settori dell’istruzione di tutti i paesi membri e i loro rispettivi settori industriali, in tal modo evidenziando che l’istruzione diventi funzionale ai bisogni specifici dell’industria e delle imprese in generale. In altri termini l’istruzione non viene più vista come uno strumento attraverso il quale l’individuo si emancipa, piuttosto come una qualifica imprescindibile per l’occupazione. Pertanto qualcosa di ben diverso rispetto a quanto veniva inteso con l’idea tradizionale di Bildung che, appunto “intende la conoscenza come mezzo attraverso cui pervenire all’emancipazione, all’indipendenza, alla consapevolezza del sé e ad alla maturità”[9], come ben descritto da Uljens.

Non è un caso che nel Libro Bianco del 1995 le istituzioni scolastiche per la formazione professionale sono molto più favorite rispetto a quelle di istruzione generale o umanistica, perché, come sottolinea la EU, è attraverso la formazione continua e l’apprendistato che si può assicurare l’occupabilità alla maggior parte delle persone, anche a coloro i quali per varie ragioni non completano alcun corso di studio in scuole che possano fornir loro certificazioni o qualifiche. Perciò l’UE è favorevole a riforme dei sistemi di istruzioni che diano, a chi abbandona la scuola prima di completare il corso di studio, delle forme di riconoscimento per lo sviluppo delle loro abilità (certificazione delle competenze ndr) in contesti anche informali e non necessariamente solo attraverso l’istruzione di tipo formale come quella impartita nelle scuole.

E’ dunque in questo quadro generale che gli sforzi dell’UE  che spingono verso il multilinguismo devono essere tenuti in considerazione. Infatti la padronanza linguistica incoraggiata dall’UE è, ancora una volta, enfatizzata in vista di questo progetto, ovvero il progetto di favorire le abilità individuali affinché l’individuo diventi una risorsa per il proprio futuro datore di lavoro e non per favorire lo sviluppo di queste capacità al fine di  arricchire se stesso. Questo concetto diventa abbastanza chiaro se si considera quanto riportato nel Libro Bianco a proposito di questo argomento specifico: “in modo da sviluppare la padronanza linguistica in tre lingue comunitarie è auspicabile che si cominci a studiare le lingue straniere in età pre-scolare. Si ritiene essenziale che questi insegnamenti vengano istituiti sistematicamente a partire dall’istruzione primaria, in modo da avviare l’apprendimento di una seconda lingua straniera comunitaria nella scuola secondaria. Si potrebbe anche sostenere che gli studenti della scuola secondaria studino certe discipline nella prima lingua straniera appresa.”[10]

Da un punto di vista prettamente politico questa è la prima volta che il Content Language Integrated Learning (CLIL) viene citato, anche se implicitamente, ed è proposto come una idea di uniformità in tutta l’UE, a prescindere dai sistemi di istruzione di ogni paese membro e le loro specifiche caratteristiche che sono anche emblematiche dei loro retroterra culturali e storici.

COME PUO’ IL CLIL MIGLIORARE L’APPRENDIMENTO

Dal punto di vista generale sarebbe assolutamente assurdo sostenere che l’apprendimento di una lingua straniera o che il multilinguismo siano inutili o che non siano vantaggiosi. Tant’è vero che degli studi scientifici[11] sostengono che i bambini bilingui a scuola conseguono risultati cognitivi migliori e sono in grado di sviluppare molte abilità diverse rispetto a bambini che parlano solo la loro lingua madre. Quindi questo non è il punto di questa analisi, anzi ciò che ci si propone di sottolineare qui è esattamente il contrario e cioè che lo studio delle lingue può in effetti far scaturire, specialmente in bambini molto piccoli, svariati effetti positivi e persino aiutarli a sviluppare una buona auto-stima. Tuttavia, è importante evitare errori che potrebbero avere conseguenze negative sullo sviluppo dei bimbi e impedirne una crescita sana, come ad esempio un carico di aspettative troppo al di là delle loro possibilità e quindi provocare sconfitte  nonostante i loro sforzi mettendo a rischio proprio quella ancora fragile auto-stima e, in modo particolare, durante un’età in cui l’apprendimento dovrebbe essere affrontato passo dopo passo assecondando i tempi personali di ciascun individuo senza forzarli oltre le loro personali possibilità e/o capacità.

Oggigiorno, nella nostra società altamente competitiva, sembra che crescere sia diventata una sorta di gara attraverso cui i bambini sono chiamati a misurarsi mantenendo sempre un livello di prestazioni altissimo e non sono più lasciati liberi di apprezzare la loro infanzia ed i semplici piaceri derivanti dalle scoperte. Gli adulti, infatti, li spingono sempre più avanti come se crescere più in fretta possibile sia il fine ultime anziché farli crescere in salute e felici. Ultimamente lo scopo da raggiungere in sé sembra meno importante di quanto velocemente e al meglio lo si raggiunga. Infine, ciò mette pressione sugli studenti di tutte le età riducendo così le probabilità di raggiungere i risultati sperati.[12]

Lo scopo di questo articolo allora è di sottolineare che i metodi didattici sono importanti quanto i contenuti impartiti dall’insegnamento e che entrambi dovrebbero procedere di pari passo tenendo sempre conto dello stadio di sviluppo del discente in modo da rendere l’apprendimento un’esperienza di arricchimento personale che a tempo debito possa migliorarne le abilità facendo emergere i suoi talenti naturali. Ecco perché se, da un lato, l’approccio bilingue all’insegnamento della lingua straniera è fortemente incoraggiato sin dalla prima infanzia, dall’altro lato, il metodo adottato perché possa risultare efficace necessita di cura e attenzione speciali. La parola chiave per ottenere successo è quindi, indubbiamente: esposizione.

Come già affermato insegnare un’altra lingua a bimbi piccoli non pone particolari problemi grazie alla loro spontanea capacità di assorbire quasi tutto e i figli di genitori immigrati ne sono un esempio calzante. È ben risaputo che in simili contesti i bambini passano spontaneamente dalla lingua dei genitori a quella esterna senza grandi difficoltà, allo stesso tempo l’insegnamento di una lingua straniera in un contesto scolastico può ottenere risultati migliori se impartito agli alunni con metodi didattici che stimolino una sfida ludica e, dunque, tramite un docente di madre-lingua con specifica abilitazione. Inutile dire che in casi simili il metodo debba focalizzarsi più su ciò che è nota come “acquisizione della lingua” e meno su quanto viene definito “apprendimento della lingua”[13]. La prima, infatti, è caratterizzata da un’ampia gamma di esposizione informale alla lingua oggetto di studio, esattamente come accade quando si impara a parlare la lingua madre. Il secondo approccio, invece, attiene all’insegnamento formale che richiede, da parte dello studente, un serio sforzo cognitivo.

I VANTAGGI DEL METODO CLIL

Coloro i quali propugnano a gran voce il metodo CLIL ritengono sinceramente che insegnare contenuti non linguistici in una lingua straniera possa effettivamente contribuire a ricreare un ambiente in cui l’apprendimento può apparire naturale sia per quanto riguarda il contenuto specifico sia per quanto riguarda l’apprendimento della lingua in quanto, dicono, concentrandosi sul contenuto da imparare gli studenti non avvertirebbero l’ansia di prestazione che deriva dallo studio di una lingua straniera, in tal modo si ri-creerebbe quella sensazione infantile di imparare giocando limitando lo sforzo.

E ancora, ritengono che questo metodo necessiti di un’applicazione attraverso moduli didattici dai contenuti concisi, che siano adeguatamente preparati e programmati, adottando parole-chiavi chiare, facendo ampio uso della pratica cosiddetta scaffolding[14], brevi riassunti per facilitare l’apprendimento di nuovo lessico specifico, esercizi che prevedano il riempimento di spazi vuoti (cloze) per consentire  agli studenti di verificare il progresso fatto in modo che si possano concentrare meglio e di più sull’apprendimento dei contenuti e meno sull’acquisizione formale della lingua in quanto, sostengono, la padronanza linguistica emergerà da sola nel tempo, inoltre, così si ricrea quel contesto di apprendimento spontaneo utile a favorire un’esperienza positiva atta a sviluppare nei discenti la loro auto-stima grazie ai successi conseguiti.

Un altro fattore che si pensa possa assicurare il successo del metodo CLIL, secondo i suoi fautori, è che venga adottato dai docenti di discipline non linguistiche che abbiano ricevuto anche un’adeguata formazione nella lingua straniera in modo da garantire un’istruzione di qualità nelle discipline specifiche. I docenti di lingua straniera dunque dovranno solo fornire il minimo sostegno necessario e strettamente in riferimento alla lingua focalizzandosi essenzialmente sulla produzione orale dei discenti anziché dare troppo peso sulla correttezza grammaticale e sintattica. In effetti questo è esattamente ciò che si rimprovera ai docenti di lingue in tutto il mondo, e cioè il fatto che si soffermano troppo sulla precisione formale della lingua che scoraggia gli studenti nella produzione orale o di usare la lingua straniera per comunicare a causa proprio del contesto poco spontaneo in cui si impartisce l’insegnamento delle lingue straniere e che invece con il metodo CLIL si potrebbe attuare.

Ad un primo sguardo si potrebbe pensare che ciò che sta più a cuore ai sostenitori del metodo CLIL sia di mettere in pratica una metodologia che possa essere efficace sia per l’insegnamento delle lingue straniere sia per quello delle discipline non linguistiche senza richiedere uno sforzo troppo gravoso agli studenti e che possa anche risultare divertente, tant’è vero che si enfatizza molto l’attività definita role-play, ovvero un gioco di ruolo per allentare la tensione e consentire agli studenti di superare quel naturale stadio di imbarazzo e la paura di essere giudicati duramente dai loro pari.

Tuttavia, come si può pensare che gli aspetti psicologici siano inerenti solo all’apprendimento di una lingua straniera e, soprattutto, come si può ritenere che quelli attinenti all’esposizione orale possano essere superati semplicemente usando simili trucchetti, o semplificando al massimo i contenuti da un lato e, dall’altro trascurando l’acquisizione della padronanza linguistica? È davvero questa  l’unica soluzione possibile?

GLI SVANTAGGI DEL METODO CLIL

In merito agli aspetti psicologici è interessante osservare che il metodo CLIL si rivela efficace fin tanto che viene è utilizzato con bambini piccoli, come precedentemente illustrato, al contrario invece può diventare fonte di frustrazione per giovani adulti che legittimamente mirano ad acquisire un buon livello di istruzione, tanto più se il contenuto della disciplina non linguistica da acquisire si rivela complesso. Inoltre, esso può altresì diventare fonte di irritazione per i docenti coinvolti a causa della loro stessa scarsa preparazione linguistica, che pare essere uno degli aspetti più frequentemente sottolineato.[15]

Nel caso di studio che riguarda la Cina, cui si fa riferimento nel dibattito sul metodo ospitato dal quotidiano britannico “The Guardian” nel 2005, la questione psicologica è stata sollevata come una delle maggiormente significative fino al punto che il dirigente scolastico della scuola che ha partecipato alla ricerca si è fermamente rifiutato di far partecipare la scuola ad altre sperimentazioni proprio a causa dei risultati negativi ottenuti da alcuni studenti dell’istituto appartenenti ad una minoranza linguistica. Infatti il profitto scolastico di questo gruppo di studenti ha subito una drastica flessione subito dopo aver frequentato dei corsi in cui si adottava il metodo CLIL in inglese. La delusione maggiore registrata durante i corsi è riconducibile al fatto che il livello di conoscenza dell’inglese di questo gruppo di studenti all’inizio del corso non fosse lo stesso di altri gruppi di studenti, pertanto, nonostante il maggiore impegno profuso non sono stati comunque in grado di raggiungere un buon livello con conseguente riduzione dell’autostima.

L’elemento frustrazione registrato sia da parte degli studenti sia da quella dei docenti  è una costante anche nel caso di studio olandese. Durante le interviste gli studenti hanno dichiarato di aver evitato di porre domande o di chiedere ulteriori chiarimenti durante le lezioni per paura di essere fraintesi  o perché non si sentivano abbastanza sicuri nell’esposizione orale.[16]

In modo analogo anche i docenti hanno mostrato le medesime perplessità dichiarando che il loro livello di conoscenza della lingua gli impediva  di svolgere delle lezioni soddisfacenti o di fornire maggiori informazioni e contenuti di buon livello o anche semplicemente di rispondere adeguatamente alle domande a causa del fatto che la loro conoscenza del lessico specifico nella lingua straniera fosse piuttosto limitato.[17]

In casi di questo tipo, quindi, l’esperienza di apprendimento e quella di insegnamento anziché favorire un approccio spontaneo sarebbero, al contrario, causa di intensa irritazione e stress per tutti i soggetti coinvolti.

Un altro aspetto interessante evidenziato dal caso di studio olandese, che è stato eseguito su 297 docenti – 217 dei quali docenti CLIL mentre i restanti 79 non lo erano, tra questi erano compresi anche docenti di lingue straniere –, è che in molti casi i docenti di lingua inglese hanno ottenuto risultati superiori, per esempio per quanto riguarda la competenza linguistica, l’insegnamento della lingua e con un minore livello di scaffolding –. Inoltre le prove hanno dimostrato che per quanto riguardava l’approccio linguistico sia i docenti di inglese che quelli di altre lingue straniere hanno ottenuto risultati significativamente più alti rispetto ai docenti di matematica, scienze e scienze sociali.[18]

Questo conferma ciò che sostengono coloro i quali non condividono il medesimo entusiasmo per il metodo CLIL dei suoi sostenitori, e cioè che questo metodo produce per lo più confusione e che l’apprendimento dei contenuti delle discipline non linguistiche, soprattutto in virtù del fatto che vengono impartiti attraverso moduli che li riducono e semplificano sensibilmente, è di fatto ben al di sotto della media con il risultato che anche la qualità di insegnamento viene notevolmente abbassata, oltretutto il metodo CLIL anziché migliorare l’apprendimento della lingua addirittura lo ostacola cicatrizzando gli errori anziché correggerli. Infine, concludono, questo metodo è in definitiva dannoso e inficia sia l’apprendimento della lingua sia quello dei contenuti delle discipline non linguistiche.[19]

Un altro particolare che può essere annoverato tra gli svantaggi è collegato alla valutazione. La valutazione degli studenti deve essere frutto dell’apprendimento dei contenuti delle discipline non linguistiche e, quindi, in questo caso essere effettuato nella lingua madre (L1), oppure deve essere il risultato dell’apprendimento della lingua straniera e, in tal caso, in L2? Ma, in quest’ultimo caso gli studenti devono essere valutati dai docenti di discipline non linguistiche i quali non hanno la formazione adeguata in lingue e che, per loro stessa ammissione, non possiedono la padronanza necessaria in lingua straniera? Questo aspetto è ritenuto controverso dagli esperti sin dal 2005, quando appunto si è tenuto un dibattito aperto sul metodo CLIL, come già detto, sulle pagine del “Guardian” di concerto con la MacMillan edizioni e OnestopEnglish. Proprio durante quel dibattito sia Langé che Marsh – i due esperti a favore del metodo CLIL – furono concordi nel sostenere che tale decisione spettava ai singoli paesi sulla base delle singole prospettive tenute in considerazione. Lo studio olandese, sopra menzionato, scelse di valutare gli studenti in olandese per quanto riguardava i contenuti delle discipline non linguistiche, mentre i docenti di lingua straniera avrebbero valutato gli studenti circa l’apprendimento della lingua durante i loro corsi curriculari.[20]

IL METODO CLIL E’ EFFICACE O SELETTIVO

Infine, durante questa analisi sul CLIL è venuto alla luce ancora un altro particolare e cioè se il metodo CLIL è selettivo oppure no. Uno studio spagnolo e uno tedesco hanno entrambi sollevato la questione. In ambo i casi c’è parere concorde e diffuso confortato dai risultati delle loro ricerche che sottolinea come la maggior parte degli studenti che partecipano ai corsi tenuti con il metodo CLIL siano particolarmente motivati in quanto, innanzi tutto il metodo CLIL è presentato come un metodo particolarmente efficace nel consentire agli studenti di padroneggiare al meglio la lingua straniera studiata, in secondo luogo essi sono fortemente incoraggiati dai genitori che ritengono il multilinguismo una risorsa importante per i loro figli al fine di conseguire un futuro professionale di alto livello. Se, da un lato però, la ricerca spagnola non fornisce abbastanza dati statistici che attestino il livello di padronanza linguistica degli studenti spagnoli al momento in cui essi vengono inseriti nei corsi, Bruton, è comunque in grado di trarre conclusioni a sostegno della sua teoria desumendoli dall’appartenenza socio-economica degli studenti, tutti di livello medio alta. Aspel, dall’altro lato, afferma che gli studenti tedeschi possono partecipare ai corsi impartiti con il metodo CLIL solo se già in possesso di una buona conoscenza di base della lingua straniera oggetto del metodo CLIL. Inoltre, sostiene che, andrebbero ulteriormente indagati i dati relativi all’abbandono di tali corsi, in quanto, continua, potrebbero rivelare un calo di motivazione dovuto ad un basso livello di padronanza linguistica nonostante i requisiti richiesti per poter accedere ai corsi.[21]

Sebbene, attualmente, non ci siano ancora prove inconfutabili che indichino il metodo CLIL come intrinsecamente selettivo, vale comunque la pena di far notare, proprio come fa Bruton nello studio spagnolo, che in molti paesi – soprattutto quelli con che poggiano su un welfare di livello – il sistema di pubblica istruzione è concepito in modo da assicurare un buon livello di istruzione a tutti i suoi studenti a prescindere dal loro ambiente socio-economico di provenienza e che un metodo didattico altamente selettivo sarebbe certamente in contrapposizione con l’idea di base di offrire a tutti pari opportunità.[22]

IL METODO DIDATTICO BILINGUE IN CANADA, NEGLI USA E ALTROVE

Nel 1965 un gruppo di genitori anglofoni della regione canadese del Québec riuscirono ad esercitare abbastanza pressione presso il consiglio scolastico affinché fosse applicato un metodo didattico bilingue in francese e inglese. Tuttavia, va sottolineato che nel caso specifico si trattò di una precisa scelta politica al fine di favorire l’unità culturale in un paese con una forte tradizione culturale sia di lingua francese sia di lingua inglese.[23] Inoltre, seppure molti studi sul metodo CLIL facciano riferimento a questo caso come di un caso di successo per sostenere la loro causa, di fatto si tratta di un esempio perfetto per confutare proprio la loro fede nel metodo CLIL[24]. Nel caso specifico del Canada le lingue ufficiali sono due, il francese e l’inglese, pertanto mettere in pratica nelle scuole un insegnamento di tipo bilingue serviva proprio a sostenere ciò che nella realtà era già una particolare caratteristica sociale, specie nella regione del Québec,  l’esposizione all’inglese, e in modo particolare, nelle aree urbane era già piuttosto diffusa consentendo dunque agli studenti di essere a diretto contatto con entrambe le lingue. Nelle zone rurali probabilmente era meno diffusa, come dichiarato dal canadese di lingua inglese intervistato nell’articolo di Nieminen, il quale dubita che gli studenti di zone remote del suo paese avessero simili opportunità a scuola, e specialmente negli anni ‘60; ad ogni modo, continua, lui ebbe davvero l’opportunità di imparare a parlare il francese quando fu accettato per un dottorato in Francia, a tal proposito egli ritiene anche che fu di grande aiuto per lui aver trascorso sei settimane come ospite di una famiglia francofona in Québec mentre frequentava ancora la scuola secondaria[25], ancora una volta la parola chiave è: esposizione.

Il Canada non è l’unico paese con due o più lingue ufficiali, vi è il Belgio con tre: l’olandese, il francese e il tedesco, oltre alla presenza di altre minoranze linguistiche; c’è la Svizzera con francese, tedesco, italiano e romancio; l’Italia dove in alcune regioni settentrionali esistono comunità bilingue (italiana/tedesca e italiana/slovena). Parlare di CLIL in queste zone non sarebbe del tutto appropriato, così come non lo sarebbe in zone specifiche degli Stati Uniti dove le popolazioni locali di lingua spagnola sono particolarmente numerose. Ciò che tutti questi casi hanno in comune è che il metodo didattico bilingue viene applicato nelle scuole per il semplice fatto che esso è pienamente rispondente alla realtà esterna e che tutti questi studenti vivono in contesti in cui le varie lingue sono usate regolarmente e pertanto tutti godono di un’ampia esposizione a ciascuna di esse e possono utilizzarle a loro piacimento. Ancora una volta la parola chiave è: esposizione.

Bisogna anche tener presente che il bilinguismo a scuola è stato introdotto, a volte, per mantenere viva un’identità linguistica e culturale, come accadde, per esempio, nel 1983 in specifiche zone geografiche isolate della Catalogna dove il catalano non era molto diffuso. Tuttavia durante la dittatura di Franco lo spagnolo era l’unica lingua consentita e proprio per ragioni politiche opposte, in altri termini per sopprimere qualsiasi forma residua di identità linguistica e culturale diversa da quella spagnola[26].

FAZIOSITA’ POLITICA

Superfluo dire che l’insegnamento delle lingue non può essere considerato nel suo insieme neutrale, al contrario, e come evidenziato nel paragrafo precedente, in realtà è caratterizzato da un consistente peso politico ed economico, nonostante il fatto che ci sia un vasto dibattito sul multilinguismo, in modo particolare nei documenti ufficiali dell’UE, dove si afferma che “la Commissione Europea ritiene prioritario che a scuola si sviluppi la padronanza linguistica in almeno due lingue straniere, così come viene suggerito nella seconda parte di questo Libro Bianco”,[27] nella realtà ciò che è stato messo in pratica per lo più è un insegnamento bilingue e la lingua scelta è, di fatto, l’inglese; pertanto, come suggerito da Dalton-Puffer, sarebbe molto più appropriato far riferimento a questo metodo come Content English Integrated Learning. Del resto non è nemmeno sorprendente se si pensa che oggi l’inglese viene considerata come Lingua Franca, tant’è che tanti genitori, ovviamente interessati a fornire ai propri figli le migliori opportunità professionali future, sono estremamente favorevoli a far acquisire ai propri figli la completa padronanza linguistica di quella lingua che è considerata nella maggior parte dei contesti professionali, a livello mondiale, la più ricercata.[28]

Ma non è tutto; infatti, nel succitato Libro Bianco europeo del 1995 possiamo anche leggere: “La debolezza europea non risiede in scarsa creatività. Anzi. Ciò non di meno gli industriali e gli inventori europei sono profondamente penalizzati dall’alto livello di frammentazione del mercato dovuto alla grande diversità culturale e linguistica esistente in Europa”[29], anche in questo caso possiamo notare che esiste una tendenziosità politica, l’identità culturale di un paese deve essere sacrificata in virtù del vantaggio esclusivo degli imprenditori europei i cui interessi possono essere tutelati solo facendo sì che in tutto il continente si sviluppi un’unica lingua.

IL METODO CLIL E LA SUA PREROGATIVA DI EFFICIENZA IN TERMINI DI COSTI-BENEFICI

L’ultimo aspetto significativo in merito al metodo CLIL è il fatto che viene considerato efficiente in termini di costi-benefici e si sa che i decisori politici sono molto sensibili alla possibilità di tagliare spese nel settore pubblico. Potrebbe spiegare perché dunque il metodo CLIL viene così tanto incoraggiato e, in alcuni casi – come in Italia dal 2015 – è diventato obbligatorio in alcuni indirizzi di studio della scuola secondaria di secondo grado.

Come chiaramente dimostrato il metodo CBI non è affatto nuovo, ciò che rappresenta una novità, è che grazie al metodo CLIL l’insegnamento delle lingue straniere non è più una prerogativa dei docenti di lingua straniera così come è stato tradizionalmente a livello mondiale, infatti tramite il metodo CLIL l’insegnamento delle lingue straniere sarà demandato ai docenti di lingue straniera (c’è da chiedersi però ancora per quanto), da una parte, e a quelli di discipline non linguistiche, dall’altra. Va da sé però che mantenere due professionisti nella medesima posizione, o quasi la stessa, non può essere considerata una scelta efficiente in termini di costi-benefici. Tuttavia, come ha fatto notare G. Langé durante il dibattito tenutosi sul “Guardian” nel 2005, nel prossimo futuro questo potrebbe cambiare. Langé, infatti, ha affermato che l’ambizione del governo italiano era di avere, entro 15 anni, un numero sufficiente di docenti di discipline non linguistiche con un’adeguata formazione in svariate lingue europee. Fino ad oggi questa prospettiva non ha dato i risultati sperati e cioè far in modo di poter fare completamente a meno dei docenti di lingue. E questo piano sarebbe certamente in linea con l’efficienza in termini di costi-benefici prospettata, così come affermato anche da Marsh, durante il dibattito sopra citato.

Ma chi pagherebbe le conseguenze di tutto ciò? I docenti olandesi insieme a quelli finlandesi e tedeschi intervistati, ciascuno per i rispettivi casi di studio, hanno fatto notare che il loro coinvolgimento nel metodo CLIL ha comportato un aggravio di lavoro alquanto considerevole. Infatti questo approccio didattico richiede una notevole quantità di tempo per preparare le lezioni nella lingua straniera oggetto di insegnamento e per la preparazione del materiale didattico da distribuire agli studenti. Lavoro e tempo in più che non vengono né riconosciuti né retribuiti[30].

ALCUNE CONCLUSIONI

Finora l’unica conclusione che possiamo trarre, e ciò riguarda i casi di studio fin qui analizzati – quelli olandese, cinese, spagnolo e tedesco -, è che non esiste alcuna verità assoluta, tanto quanto manca ampia intesa su come gestire le lezioni con il metodo CLIL, su come valutare, né si è d’accordo su chi deve tenere le suddette lezioni, ovvero se debbano essere docenti di madrelingua, di lingua straniera o di discipline non linguistiche, né tanto meno c’è intesa sul fatto che il metodo CLIL agevoli o danneggi l’apprendimento dei contenuti.

Per quanto concerne la preparazione linguistica sussistono le medesime perplessità. Infatti, molti si dicono d’accordo sul fatto che l’insegnamento della lingua straniera debba fluire nel modo più spontaneo possibile in modo da creare un ambiente di apprendimento rilassato senza trascurare, tuttavia, l’aspetto formale dell’insegnamento per evitare che gli errori vengano reiterati. Mentre, come si è visto, il metodo CLIL tende a far si che gli errori compiuti dagli studenti si cicatrizzino, inoltre, come rilevato specialmente dallo studio condotto da Aspel, se da un lato migliora la prestazione scritta degli studenti, dall’altro, nella prestazione orale essi non possiedono la capacità di utilizzare adeguatamente i vari registri linguistici, e in modo particolare non riescono a fare la differenza tra quelli formali e quelli informali e colloquiali, con il risultato che faticano ad avere  fiducia in se stessi e si trattengono durante le attività svolte in classe evitando di prendere parte a qualsiasi discussione possa svilupparsi perché consapevoli dei loro limiti[31].

Sono, tuttavia, tutti d’accordo nel sostenere che i docenti di discipline non linguistiche non possiedono un’adeguata padronanza linguistica e perciò si trovano essi stessi ad affrontare durante le lezioni molte difficoltà che generano tensione e frustrazione, per altro le stesse che percepiscono quegli studenti che non possiedono un’accettabile conoscenza di base della lingua oggetto di studio, sia che si tratti della lingua inglese o di qualsiasi altra lingua.

BISOGNA ALLORA ESCLUDERE TOTALMENTE IL METODO CLIL?

Come affermato nel paragrafo di apertura, è proprio in virtù del fatto che qui si sostiene l’importanza del multilinguismo e dei benefici che lo studio delle lingue straniere può offrire allo sviluppo cognitivo che ci si oppone all’attuale idea del metodo CLIL. Ciò nondimeno, non condividere una fede cieca in questo metodo non significa che da parte nostra non si persegua alcuna ricerca volta migliorare l’insegnamento delle lingue; al contrario siamo impegnati in una ricerca continua che, infatti, ha prodotto risultati positivi.

Uno dei fattori emersi durante lo svolgimento di studi empirici è che è possibile ottenere una buona padronanza linguistica attraverso l’esposizione alla lingua oggetto di studio, più gli studenti sono esposti  alla lingua e più questa esposizione è intensa e migliori i risultati da loro ottenuti.

Un altro elemento interessante è il tipo di esposizione di cui può godere lo studente, specie se egli ha acquisito le conoscenze di base in grammatica e sintassi, quindi, per esempio, trovarsi in uno dei paesi dove si parla la lingua oggetto di studio lo costringe a superare la naturale resistenza obbligandolo ad usarla perché essa rappresenta l’unico modo a sua disposizione per comunicare con gli altri, tra l’altro il bisogno percepito è enfatizzato fino al punto che lo studente ignorerà il suo desiderio di eccellere e focalizzerà invece tutti i suoi sforzi nell’esprimersi sapendo, anche solo a livello inconscio, che solo attraverso la pratica potrà imparare a padroneggiare la lingua grazie al naturale processo di assorbimento meccanico.

È questo infatti l’unico ambiente spontaneo possibile, un’esposizione massiccia alla lingua oggetto di studio che metterà inoltre lo studente in condizione di abituare l’orecchio al suono specifico della lingua in modo da riconoscerne i suoni immediatamente e contemporaneamente gli permetterà di attivare tutti quegli elementi cognitivi appresi fino a quel momento.

Infine, imparare a padroneggiare una lingua richiede tempo in quanto le abilità coinvolte sono di diverso tipo e ciascuna di essa necessita un graduale sviluppo specie se la si impara a scuola e non in un contesto famigliare e informale, ma anche in questo caso sebbene possa risultare facile imparare a parlare una lingua, imparare a leggere e scrivere richiede comunque un certo sforzo, esattamente come accade quando impariamo i primi rudimenti della nostra lingua madre anche se in età infantile.

Va da sé naturalmente che imparare semplicemente la grammatica non consente di padroneggiare la lingua ed è proprio per questo che l’approccio italiano nell’insegnamento delle lingue straniere in ambito scolastico e, particolarmente, per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado pare essere un metodo alquanto apprezzabile. Sebbene esso risulti scarsamente valorizzato e ancor meno apprezzato e riconosciuto dagli italiani stessi; vale la pena esaminarlo un po’ più da vicino.

IL MODELLO ITALIANO[32]

Si analizzerà brevemente ciò che è stato fatto in termini di insegnamento della lingua straniera nell’indirizzo di studio più rappresentativo del sistema scolastico italiano, ossia il cosiddetto Liceo, che è principalmente incentrato su uno studio accademico, o per meglio dire umanistico, pertanto lo studio delle lingue straniere è declinato attraverso la letteratura della lingua oggetto di studio, ciò significa che vengono studiate non solo le correnti letterarie, ma anche un numero congruo di autori e di alcune loro opere letterarie sia da un punto di vista generale sia attraverso l’analisi testuale di brani antologici. L’analisi del testo è condotta mettendo a confronto stili e strutture letterarie dei vari autori appartenenti ad epoche storiche diverse in modo da poter apprezzare lo sviluppo effettivo della lingua oggetto di studio lungo il corso dei secoli evidenziando altresì le influenze straniere e quindi anche attraverso i loro percorsi storici.

Classroom

È importante sottolineare che gli studenti italiani sono sottoposti anche a valutazioni orali. Questo significa che tra i requisiti loro richiesti vi è anche quello di dimostrare oralmente ciò che hanno imparato e questa pratica rappresenta un esercizio di estrema importanza al fine di padroneggiare la lingua perché devono stare attenti a curare non solo l’esposizione dei contenuti bensì anche la padronanza linguistica pertanto è molto importante che sappiano scegliere la terminologia esatta, e che curino la sintassi linguistica; devono capire le domande poste dal docente e rispondere in modo adeguato, ciò implica un alto livello di interazione che esclude l’esposizione meccanica e quindi non possono limitarsi ad uno studio della lezione mnemonica che viene poi esposta tale e quale. Al contrario gli viene richiesto un ragionamento e una rielaborazione personali pertanto ciò significa che devono innanzitutto possedere una buona capacità di comprensione della lingua e, in secondo luogo, la capacità di usare la lingua per veicolare dei messaggi abbastanza complessi che mostrino il loro livello di apprendimento.

Si potrebbe obiettare che discutere di argomenti letterari riduce a quel campo specifico l’acquisizione del lessico che è poco utile in contesti meno formali dove magari sarebbe più utile conoscere una terminologia ed un registro linguistico più colloquiale e al passo coi tempi, tuttavia, è importante sottolineare che la letteratura è, in certa misura, la rappresentazione della realtà e che essa ruota interamente attorno alla vita reale con le sue quotidiane tribolazioni; essa intrattiene un rapporto contiguo all’analisi profonda di sentimenti, emozioni, pensieri e valori quindi quale modo migliore per imparare la lingua se non attraverso l’immersione profonda nella sua cultura e nel suo sviluppo temporale; oltretutto questo approccio alle lingue straniere consente agli studenti, attraverso un processo mentale, di acquisire altresì quei meccanismi e quelle dinamiche proprie di una lingua che sarà poi riproposto spontaneamente e senza grandi difficoltà in qualsiasi altro tipo di registro colloquiale. Per certi versi, o quasi, è esattamente ciò che propone il metodo CLIL tranne che anziché concentrarsi esclusivamente sull’apprendimento del contenuto trascurando la padronanza linguistica, questo metodo offre la possibilità di unire sia l’apprendimento dei contenuti sia l’acquisizione linguistica senza che venga trascurato il secondo per favorire il primo.

Questo metodo non è utilizzato solo negli istituti umanistici succitati, corsi di studi tradizionalmente riconosciuti come propedeutici per gli studi universitari, al contrario esso è applicato anche negli istituti tecnici e professionali con la necessaria enfasi sulla micro-lingua specifica, ciò significa, ad esempio, che in un corso di studio per la preparazione di futuri contabili l’insegnamento della lingua straniera e la scelta della micro-lingua verte su parti di programma di varie discipline. In altri termini, negli ultimi tre anni gli studenti studiano la lingua straniera attraverso moduli di economia, diritto attinente agli aspetti societari, i diversi tipi delle strutture societarie, macro e micro-economia, economia politica e politiche economiche.

Sostanzialmente tutto ciò che può essere annoverato sotto il termine di lingua attinente al mondo dell’economia e della finanza e lo stesso accade per qualsiasi altro tipo di indirizzo di studio della scuola secondaria di secondo grado sia che si tratti di un indirizzo per il turismo, la moda, l’enogastronomia, agricoltura in generale, sia che si tratti di corsi di studi preparatori per futuri ingegneri (civili, elettronici, meccanici, ecc.) edili, tecnici della medicina e via dicendo.

UNA BREVE SINTESI DEL SISTEMA DI ISTRUZIONE ITALIANO[33]

Per comprendere più nel dettaglio la struttura particolare del sistema di istruzione italiano bisogna sottolineare che, a differenza di molti altri, e in particolare di quello anglosassone e statunitense, in Italia vi sono diversi tipi di indirizzi di studio nella scuola secondaria di secondo grado che vanno, come si è detto, dal liceo comprendente almeno tre principali indirizzi di studio, il più antico è il liceo classico che è incentrato sullo studio dei classici e nel quale lo studio del greco e del latino sono caratterizzanti; più tardi fu istituito il liceo scientifico le cui materie caratterizzanti sono la matematica e le scienze e, infine il terzo: il liceo linguistico che focalizza la sua attenzione sullo studio di tre lingue straniere per tutti e cinque anni. Le altre discipline che quasi tutti i licei hanno in comune e che sono obbligatorie sono: lettere, latino (in alcuni licei è stato abrogato e nel liceo linguistico si studia solo i primi due anni), storia, filosofia, storia dell’arte, matematica, fisica, scienze naturali e scienze motorie. Vi sono anche altri indirizzi liceali che non verranno trattati in questa sede poiché i tre sopra menzionati forniscono un’idea abbastanza adeguata della varietà di scelta a disposizione degli studenti italiani.

Ciò che ci preme qui evidenziare è che il sistema di istruzione italiano offre anche altre opportunità di studio come appunto gli istituti tecnici e professionali[34] che non sono meno prestigiosi dei tre precedentemente analizzati tant’è che i diplomi conseguiti presso questi istituti danno pieno accesso all’istruzione universitaria, oltretutto ciascuno di questi diversi tipi di indirizzi di studio, così come quelli delineati più nello specifico, offrono altresì le conoscenze e le competenze che in altri paesi gli studenti possono acquisire solo dopo aver frequentato almeno due anni di college, laddove in Italia sono accessibili dopo cinque anni di scuola secondaria di secondo grado. Ciò significa che un diciannovenne italiano con il suo diploma è un tecnico di ingegneria, un ottico, un odontotecnico, un graphic designer, un ragioniere, un enologo, un agente turistico e via dicendo.

Ancora in merito al sistema di istruzione italiano gli studenti studiano la lingua inglese sin dalla scuola primaria, nella scuola secondaria di primo grado studiano, oltre all’inglese, un’altra lingua comunitaria, mentre nella scuola secondaria di secondo grado, a meno che non scelgano il liceo linguistico di cui sopra, possono scegliere di studiare una sola lingua straniera, ossia l’inglese. L’insegnamento della lingua straniera nella scuola primaria viene condotto con metodi informali enfatizzando l’approccio comunicativo; nella secondaria di primo grado e nei primi due anni della secondaria di secondo grado lo studio delle lingue prevede grammatica e sintassi. In tutti gli anni successivi però, come chiaramente dimostrato, la lingua straniera oggetto di studio viene veicolata attraverso i contenuti specifici di ogni singolo indirizzo di studio.

COSA PUO’ ESSERE EFFICACE E DAL PUNTO DI VISTA LINGUISTICO E DA QUELLO DEI COSTI-BENEFICI

Come si è ampiamente sottolineato finora si può facilmente concludere che il metodo CLIL è sicuramente il più efficace per impartire una lingua straniera, tuttavia si ottengono risultati apprezzabili solo se si assegna pari importanza e dignità ai contenuti da un lato, e alla lingua, dall’altro. Ciò significa che il CLIL può essere applicato solo dai docenti di lingua straniera che sono gli unici in grado di veicolare un’adeguata e approfondita conoscenza della lingua mentre insegnano, al contempo, contenuti di vario tipo attinenti a vari campi in maniera ridotta curando l’apprendimento della lingua oggetto di studio, per inciso i docenti di lingua straniera italiana grazie al fatto che adottano il metodo cosiddetto CBI (Content Based Instruction) non possono non utilizzare tutti quei metodi didattici a cui si è accennato precedentemente come parole chiave, scaffolding e esercizi cloze, solo per fare qualche esempio.

Stupisce che, nonostante l’UE abbia fatto negli anni grandi sforzi per far adottare il metodo CLIL nell’insegnamento delle lingue straniere in tutti i suoi paesi membri, i funzionari UE non abbiano mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di adottare il metodo CBI utilizzato in Italia. Ciò forse è dovuto all’incapacità dei politici italiani di suggerire questo approccio, o magari è dovuto proprio alla loro incompetenza in materia di istruzione del paese che rappresentano. Ad ogni modo questa proposta potrebbe ovviare agli aspetti negativi che molti oppositori del metodo CLIL hanno ampiamente sottolineato, in altri termini evitare la superficialità e inadeguatezza nel veicolare i contenuti che inevitabilmente emergono a causa delle barriere linguistiche che si devono affrontare. Ciò avrebbe il merito di ridurre enormemente altresì la frustrazione, sia da parte degli studenti che lamentano di non imparare i contenuti degli argomenti delle discipline non linguistiche come vorrebbero e come avrebbero legittimamente diritto di acquisire, sia da parte dei docenti i quali ovviamente non sono in grado di acquisire una padronanza linguistica tale da impartire la loro disciplina con la stessa professionalità e profondità di contenuti che potrebbero nella loro lingua madre, a dispetto di qualsiasi entità di formazione nella lingua straniera oggetto di studio che possano ricevere.

Si può assicurare il successo, qualsiasi metodo didattico si scelga, solo attraverso una massiccia esposizione alla lingua oggetto di studio favorendo la mobilità nel continente ma non solo per motivi professionali, bensì anche per migliorare e arricchire le competenze e le abilità linguistiche degli studenti al pari dei docenti, è un fatto acclarato, infatti, che solo grazie all’esercizio costante e/o periodico si possono aggiornare e mantenere vive quelle abilità.

Questo tipo di CLIL, dunque, insieme alla mobilità potrebbero altresì garantire una continua evoluzione culturale, nel lungo termine, favorendo quella coesione sociale e culturale così fortemente auspicata dagli alti funzionari dell’UE, ma non solo, anzi l’applicazione di questo tipo di CLIL avrebbe anche il merito di risparmiare una cifra alquanto consistente e significativa di soldi pubblici e quindi risultare appunto efficace in termini di costi-benefici e, allo stesso tempo, efficace in termini di acquisizione di padronanza linguistica.

APPENDICE

Il presente articolo ha profonde ragioni professionali e copre anni di ricerca e analisi collegate direttamente con il mio lavoro in quanto sono una docente di inglese per la scuola secondaria di secondo grado ed ho alle spalle ben quattordici anni di esperienza sul campo; precedentemente ho lavorato come interprete e traduttrice per la marina militare statunitense, ma, a parte tutto ciò, sono bilingue e lo sono dall’età di nove anni.

Ho imparato l’inglese frequentando per un anno e mezzo una classe bilingue in una scuola pubblica della città di New York alla fine degli anni ’70. Tutto questo per dire che possiedo una prospettiva duplice sia dal punto di vista personale e diretto sia da quello di docente di inglese come lingua straniera.

Ho una laurea specialistica (vecchio ordinamento) in lingue e letterature straniere, specialista di lingua e letteratura inglese, ho anche studiato letteratura anglo-americana, lingua e letteratura francese. Inoltre, durante i miei anni di studio a New York e fino al conseguimento del diploma di High School ho studiato spagnolo. Pertanto posso asserire di avere trascorso praticamente tutta la vita riflettendo, analizzando e studiando i meccanismi e le dinamiche collegate all’apprendimento e all’insegnamento delle lingue straniere e di avere una conoscenza  delle lingue in generale che, come si usa dire oggi è life-long.

E’ per tutte queste ragioni che quando venni in contatto con il metodo CLIL, nel 2005 durante il mio anno di prova per l’assunzione a tempo indeterminato a scuola, ne fui entusiasta; tuttavia con la riforma scolastica del 2010 il metodo CLIL è stato introdotto con un approccio politico ben diverso rispetto a quello che era stato in origine. Nel 2005, infatti, intendeva ancora coinvolgere in un gruppo di lavoro e i docenti di lingue straniera e quelli di discipline non linguistiche. Successivamente invece il metodo CLIL è stato veicolato come un approccio didattico che esclude del tutto i docenti di lingua straniera privilegiando esclusivamente la presenza di docenti di discipline non linguistiche. Questa è, di fatto, una delle ragioni principali che mi trova complessivamente in disaccordo con la sua applicazione, come ho già spiegato approfonditamente. È, soprattutto, sconcertante che l’esperienza, la professionalità e la competenza di così tanti docenti dediti al loro lavoro venga discriminata e penalizzata nonostante gli ottimi risultati raggiunti e a dispetto del tempo scuola non certo sufficiente, nella maggior parte dei casi, infatti, le ore di lezioni a settimana sono solo tre.


[1] History of CLIL, Dana Hanesová – DOI:10.1.17846/CLIL.2015.7-16 in, CLIL in Foreign Language Education: e-textbook for foreign language teachers, Pokrivčáková, S. et al. (2015) – Nitra: Constantine the Philosopher University. 282 s. ISBN 978-80-558-08895, p. 8.  http://www.klis.pf.ukf.sk/dokumenty/CLIL/CLILinFLE-01Hanesová.pdf

[2] “The Canadian Bilingual Immersion Debate” – A Synthesis of Research Findings,V. P. Collier – George Mason University. http://www.thomasandcollier.com/assets/canadian-bilingual-immersion–.pdf

[3] “Aspects of Learning Foreign Languages and Learning WITH Foreign Languages: Language Immersion and CLIL, K. Nieminen – Development Project Report, July 2016. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/21-01-2014/nieminen_language_immersion_and_clil.pdf

[4] http://www.thomasandcollier.com/assets/canadian-bilingual-immersion–.pdf

[5] Content – and – Language Integrated Learning: From Practice to Principles?, C. Dalton-Puffer in: Annual Review of Applied Linguistics (2011), 31.182-204 © Cambridge University Press, 2011, 0267-1905/11 $ 16.00 DOI:1017/S026719051100092. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/dalton-puffer_content_and_language_integrated_learning_from_practice_to_principles.pdf p. 183

[6] “Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, E. Van Kampen, W. Admiraal & A. Berry. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13670050.2016.1154004

[7] “Is CLIL so beneficial, or just selective? Re-evaluating some of the research”, A. Bruton. Universidad de Sevilla. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/bruton_is_clil_so_beneficial_or_just_selective.pdf

[8] WHITE PAPER ON EDUCATION AND TRAINING – Teaching and Learning –Towards the Learning Society http://europa.eu/documents/comm/white_papers/pdf/com95_590_en.pdf

[9] “The hidden curriculum of PISA – the promotion of neo-liberal policy by educational assessment”, M. Uljens. http://www.vasa.abo.fi/users/muljens/pdf/the_hidden.pdf , p. 7

[10] http://europa.eu/documents/comm/white_papers/pdf/com95_590_en.pdf , p. 47 (la traduzione della citazione dall’inglese all’italiano è dell’autore)

[11] “Why being bilingual works wonders for your brain”, Gaia Vince. https://www.theguardian.com/science/2016/aug/07/being-bilingual-good-for-brain-mental-health

[12] “We need to stop pushing our kids”, Tanyth Carey. https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2014/oct/04/we-need-stop-pushing-our-kids-parents

[13] “The CLIL debate articles”, in 2005 The Guardian hosted a debate in association with MacMillan Editions and OneStopEnglish, the experts called for the debate were: David Graddol, David Marsh and Gisella Langé. https://www.theguardian.com/theguardian/2005/feb/09/guardianweekly.guardianweekly1

[14] https://www.edglossary.org/scaffolding/

[15] “The CLIL debate, questions and answers. https://www.theguardian.com/theguardian/2005/apr/20/guardianweekly.guardianweekly13; “Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, E. Van Kampen, W. Admiraal & A. Berry. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13670050.2016.1154004 ;”Coping with CLIL: Dropouts from CLIL Streams in Germany”, C. Apsel – University of Hamburg (Germany).  www.icrj.eu/14/article5.html

[16] “Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, E. Van Kampen, W. Admiraal & A. Berry. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13670050.2016.1154004

[17] Ibid.

[18] Ibid.

[19] “Is CLIL so beneficial, or just selective? Re-evaluating some of the research”, A. Bruton. Universidad de Seville. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/bruton_is_clil_so_beneficial_or_just_selective.pdf; “Spoken Everywhere but at what cost?”, D. Graddol, on “The CLIL Debate” hosted by “The Guardian” in 2005; https://www.theguardian.com/theguardian/2005/apr/20/guardianweekly.guardianweekly11

[20] “The CLIL debate, questions and answers. https://www.theguardian.com/theguardian/2005/apr/20/guardianweekly.guardianweekly13

[21] “Is CLIL so beneficial, or just selective? Re-evaluating some of the research”, A. Bruton. Universidad de Seville. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/bruton_is_clil_so_beneficial_or_just_selective.pdf; “Coping with CLIL: Dropouts from CLIL Streams in Germany”, C. Apsel – University of Hamburg (Germany).  www.icrj.eu/14/article5.html

[22] “Is CLIL so beneficial, or just selective? Re-evaluating some of the research”, A. Bruton. Universidad de Sevilla. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/bruton_is_clil_so_beneficial_or_just_selective.pdf

[23] https://www.statcan.gc.ca/pub/11-630-x/11-630-x2016001-eng.htm

[24] “The Canadian Bilingual Immersion Debate” – A Synthesis of Research Findings,V. P. Collier – George Mason University. http://www.thomasandcollier.com/assets/canadian-bilingual-immersion–.pdf

[25]“Aspects of Learning Foreign Languages and Learning WITH Foreign Languages: Language Immersion and CLIL, K. Nieminen – Development Project Report, July 2016. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/21-01-2014/nieminen_language_immersion_and_clil.pdf

[26] Ibid.

[27] WHITE PAPER ON EDUCATION AND TRAINING – Teaching and Learning –Towards the Learning Society http://europa.eu/documents/comm/white_papers/pdf/com95_590_en.pdf, p. 13.

[28] Content – and – Language Integrated Learning: From Practice to Principles?, C. Dalton-Puffer in: Annual Review of Applied Linguistics (2011), 31.182-204 © Cambridge University Press, 2011, 0267-1905/11 $ 16.00 DOI:1017/S026719051100092. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/20-01-2014/dalton-puffer_content_and_language_integrated_learning_from_practice_to_principles.pdf

[29]  WHITE PAPER ON EDUCATION AND TRAINING – Teaching and Learning –Towards the Learning Society http://europa.eu/documents/comm/white_papers/pdf/com95_590_en.pdf, p. 18

[30] “Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, E. Van Kampen, W. Admiraal & A. Berry. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13670050.2016.1154004; “Towards an Evidence Base CLIL – How to Integrate Qualitative and Quantitative as well as Process, Product and Participant Perspectives in CLIL Research”, A. Bonnet www.icrj.eu/14/article7.html; [30]“Aspects of Learning Foreign Languages and Learning WITH Foreign Languages: Language Immersion and CLIL, K. Nieminen – Development Project Report, July 2016. https://www.unifg.it/sites/default/files/allegatiparagrafo/21-01-2014/nieminen_language_immersion_and_clil.pdf

[31] “Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, E. Van Kampen, W. Admiraal & A. Berry. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13670050.2016.1154004; “Towards an Evidence Base CLIL – How to Integrate Qualitative and Quantitative as well as Process, Product and Participant Perspectives in CLIL Research”, A. Bonnet www.icrj.eu/14/article7.html

[32] La traduzione di questa parte finale ha ragion d’essere per motivi di fedeltà al documento originale, redatto in inglese e per un pubblico anglofono, nel quale si dà notizia, riassumendo brevemente, dell’insegnamento delle lingue straniere nelle istutizioni scolastiche italiane e perciò si danno anche informazioni più generali di tutto il sistema di istruzione italiano alquanto diverso rispetto a quelli dei paesi del nord Europa o di matrice anglosassone.

[33] Si rimanda alla nota precedente

 

[34] Nel testo originale in inglese si è reso necessario specificare che gli istituti tecnici e professionali italiani hanno una peculiarità estranea a tutti gli altri sistemi di istruzione europei e non (si fa preciso riferimento qui a quello statunitense), le cosiddette Vocational Schools, infatti, nella maggior parte degli altri casi non danno accesso agli studi universitari e pertanto si è ritenuto necessario specificare che nel sistema italiano, per contro, questo accesso è garantito. Inoltre, i diplomi italiani rilasciati dagli istituti tecnici e professionali certificano anche qualifiche professionali che in altri sistemi di istruzione si conseguono solo dopo due anni di Associated Degree o, in altri casi, dopo quattro anni di Bachelor’s Degree, ciò dipende dalla qualifica.

RIFERIMENTI

WHITE PAPER ON EDUCATION AND TRAINING – Teaching and Learning –Towards the Learning Society http://europa.eu/documents/comm/white_papers/pdf/com95_590_en.pdf

“The CLIL Debate” hosted by “The Guardian” in 2005; http://www.onestopenglish.com/methodology/teaching-articles/debates/the-clil-debate/

“Spoken Everywhere but at what cost?”, D. Graddol, on “The CLIL Debate” hosted by “The Guardian” in 2005; https://www.theguardian.com/theguardian/2005/apr/20/guardianweekly.guardianweekly11

“CLIL Debate: questions and answers”, “The CLIL Debate” hosted by “The Guardian” in 2005; https://www.theguardian.com/theguardian/2005/apr/20/guardianweekly.guardianweekly13

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History of CLIL, Dana Hanesová – DOI:10.1.17846/CLIL.2015.7-16 in, CLIL in Foreign Language Education: e-textbook for foreign language teachers, Pokrivčáková, S. et al. (2015) – Nitra: Constantine the Philosopher University. 282 s. ISBN 978-80-558-08895, p. 8.  http://www.klis.pf.ukf.sk/dokumenty/CLIL/CLILinFLE-01Hanesová.pdf

“Content and language integrated learning in the Netherlands: teachers’ self-reported pedagogical practices”, E. Van Kampen, W. Admiraal & A. Berry. https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13670050.2016.1154004;

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“Coping with CLIL: Dropouts from CLIL Streams in Germany”, C. Apsel – University of Hamburg (Germany).  www.icrj.eu/14/article5.html

“Towards an Evidence Base CLIL – How to Integrate Qualitative and Quantitative as well as Process, Product and Participant Perspectives in CLIL Research”, A. Bonnet www.icrj.eu/14/article7.html

“Reconsidering the Practice of CLIL and ELT” in: Studia Humaniora et Pedagogica Collegii Narovensis , Narva College – University of Tartu, ISBN: 978-9985-4-0967-1; https://www.narva.ut.ee/sites/default/files/nc/studia_2016_web.pdf

“Why to CLIL? Effects of CLIL on Reading Comprehension”, Nekane Equiluz Jiménez, Directora: M. Victoria Zenotz Iragi; Universidad Pública de Navarra (UPNA), Master de Formación del Profesorado de Secundaria; https://academica-e.unavarra.es/bitstream/handle/2454/9743/Why%20to%20CLIL%2CThe%20effects%20of%20CLIL%20on%20reading%20comprehension.pdf?sequence=1&isAllowed=y

Per ulterior informazioni sul sistema di istruzione italiano il link seguente è in lingua inglese:http://www.indire.it/lucabas/lkmw_img/eurydice/quaderno_eurydice_30_per_web.pdf

2 Replies to “CLIL: SI’ O NO?”

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