ESAMI DI STATO 2019

Il gioco delle tre buste

Per onore di verità questa nuova versione dell’esame di stato porta l’imprimatur di Matteo Renzi, giusto per non dimenticare, infatti è frutto del D. LGS n. 62 del 2017. Tuttavia è anche vero che questo governo l’ha attuata e, anzi, l’attuale inquilino di Viale Trastevere ne ha orgogliosamente rivendicato qualche chicca, le famose buste. Ho subito trovato inappropriato varare una siffatta modifica ad anno scolastico iniziato, sarebbe stato più opportuno aspettare il prossimo anno, come minimo. Ma ormai è fatta e sono finiti anche gli esami cui io ho lavorato come commissario interno e da qui le mie riflessioni e conclusioni sulla faccenda.

Crediti vs Esame

Il primo aspetto che trovo sproporzionato è il peso assegnato ai vari punteggi che concorrono al voto finale. Non si tratta solo di aspetti semplicemente tecnici, no, c’è dietro un disegno studiato arte, come tenterò di dimostrare. Dunque, il punteggio massimo è 100 e il minimo 60; nessuna delle prove di esami prevede una soglia di sufficienza, si supera l’esame se si raggiunge il minimo del 60/100; ma come si calcola?

Il massimo dei crediti scolastici, da quest’anno, è 40 punti (fino allo scorso il massimo dei crediti era 25). Sulla questione crediti apro una breve parentesi perché trovo ingiusto, considerata l’età dei discenti, che si dia una valenza così preminente ai loro trascorsi anni scolastici. Ogni anno, specialmente in età adolescenziale, è un evento a sé e inchiodare i ragazzi ad errori commessi per leggerezza, per superficiale immaturità a partire dai sedici anni mi sembra, appunto, un’ingiustizia. Sono anni di crescita e trasformazione profonda durante i quali è anche lecito che si facciano degli sbagli; inoltre iniziare il triennio con l’assillo della media dei voti per ottenere dei crediti che contribuiscono al voto finale dell’esame di stato mi sembra una contraddizione visto che noi docenti ripetiamo come un mantra che non è il voto che conta bensì la preparazione. Una contraddizione ipocrita e persino perversa.  Oltretutto insensata perché la valutazione allo scrutinio di fine anno è propedeutica per passare all’anno successivo, quindi perché fare raccolta di punti come al supermercato?

Tornando all’esame complessivamente vale 60 punti così suddivisi: 20 punti per la prima prova, 20 per la seconda – sempre da quest’anno, prevede due discipline scelte a seconda dell’indirizzo di studi -, 20 per il colloquio.

Pertanto, se per superare l’esame serve un minimo di 60 punti complessivi, con questi numeri non riuscire a  raggiungere la fatidica soglia è davvero difficile tenendo anche conto delle modalità imposte per il colloquio.

Nuove modalità

Quali sono le nuove modalità? La novità che ha fatto più scalpore è stata l’introduzione delle buste (di un numero di buste pari al numero dei candidati più due) contenenti materiali (noti o non noti, non si capisce bene) che forniscono lo spunto da cui il candidato o candidata dovranno partire per fare i collegamenti trasversali tanto cari al MIUR. L’attenzione è stata catalizzata dalla buste e forse si è trascurato che i docenti durante il colloquio non devono porre domande. Si è detto che l’obiettivo era di garantire trasparenza e oggettività nelle valutazioni (da qualche parte ho anche sentito dire per evitare che gli studenti del sud siano avvantaggiati rispetto a quelli del nord, ma non voglio dar peso a queste dicerie) e si è detto anche che le buste avrebbero dovuto garantire pari opportunità. Come questa possa essere garantita all’ultimo candidato della classe mi sfugge del tutto, ma certamente per mio limite.

La competenza della velocità

Tra l’altro questo colloquio ha tempi contingentati e in tutto non deve durare più di sessanta minuti, compreso il tempo necessario per assegnare il voto e verbalizzare tutto. Ciò si traduce in appena venti minuti per la cosiddetta discussione, dieci per cittadinanza e costituzione e altri dieci per il percorso di competenze trasversali e per l’orientamento (ex Alternanza Scuola-Lavoro, cambia il nome non la sostanza).

Il MIUR ha sottolineato che gli studenti devono poter esprimersi liberamente e fare un discorso in piena autonomia mentre i docenti si devono limitare a valutare la capacità di collegare quante più discipline e argomenti possibili partendo dal primo singolo spunto dato dal materiale trovato in busta. È stato altresì sottolineato che il colloquio con questa modifica deve essere trasversale e non ripetere assolutamente la prassi precedente che lo rendeva in tutto simile alle interrogazioni effettuate durante l’anno scolastico. Quest’anno gli studenti devono saper dimostrare di essere in grado di sviluppare un discorso mostrando le loro competenze acquisite. Bene, venti minuti di colloquio e sei/sette materie da collegare in un nano secondo partendo da un’immagine, una citazione o un testo. Risultato: quale che sia il materiale pescato nella busta scelta tra le tre a loro disposizione i collegamenti successivi seguono tutti un percorso precostituito, perciò sono risultati tutti uguali, a parte qualche lieve differenza, non solo, anche a causa dell’esiguità di tempo la superficialità di esposizione è stata spesso imbarazzante. In alcuni casi è stato difficile fare collegamenti con tutte le discipline. Ma, come già detto, era a discrezione del candidato.

Insipienza dei discenti o di chi ha partorito questa idea?

Ma la superficialità imbarazzante o i percorsi tutti uguali non sono il risultato dovuto all’insipienza degli studenti, né è colpa dei docenti che, secondo alcuni, non hanno saputo scegliere i materiali adatti. È superficiale tutto l’impianto, da cima a fondo. Ragazzi di diciannove anni che per la prima volta nella loro vita devono sostenere un esame così importante e hanno a disposizione una manciata di minuti per capire – a seconda del materiale pescato a sorte – come creare un percorso multidisciplinare procedendo per associazione di idee. Un capolavoro!

La capacità di rielaborazione autonoma sfruttando le competenze acquisite durante gli anni di scuola non si esplica in così poco tempo senza alcuna possibilità di interagire con i candidati da parte dei commissari che si sono dovuti limitare ad un ruolo passivo se non per rimediare a qualche momento di impasse. Ma poi qual è il senso?

Qual è il senso di tutto ciò?

A furia di pensarci una risposta me la sono data e a partire proprio dalla sproporzionata importanza assegnata ai crediti scolastici, mentre il valore dell’esame è sempre più irrilevante, infatti con questi numeri nemmeno se si fa scena muta si rischia qualcosa, pertanto il disegno studiato ad arte cui accennavo in apertura è proprio quello di renderlo sempre più un pro-forma in cui la relazione dell’alternanza scuola-lavoro avrà, in futuro, un ruolo sempre più dominante mentre le conoscenze, i contenuti saranno sempre più marginali. Il primo passo concreto verso l’abolizione dell’esame stesso e con esso il valore legale del titolo di studio. Esattamente ciò che raccomandano i fautori di una scuola-azienda privatizzata.

Quest’ultima modifica è più scandalosa ancora delle precedenti ed è già tutto dire. In buona sostanza una farsa senza pari.

La proposta per rimediare

Per restituire dignità all’esame di stato si dovrebbero abolire i crediti e tornare alle due materie scritte e due orali con la commissione interamente esterna, solo così si potrà avere realmente ciò che auspicano dal ministero: valutazioni trasparenti e obbiettive e pari opportunità. Solo se i commissari non conoscono gli studenti e si devono attenere alla prestazione dell’esame questo può tornare ad essere degno di essere definito esame.

© L. R. Capuana

3 Replies to “ESAMI DI STATO 2019”

  1. Per quanto riguarda i crediti sono in parte d’accordo con te ma bisogna anche valutare il fatto che qualche alunno meritevole si faccia prendere dall’emozione e faccia una brutta figura agli esami.

    1. E’ vero c’è questo rischio, ma nessun sistema è perfetto e credo bisogna scegliere quello che risulta meno imperfetto. Grazie di aver visitato il mio blog 🙂

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