I FONDI DEL PNRR PER LA SCUOLA 4.0

Grazie ai fondi del PNRR a scuola tornano i banchi a rotelle e gli arredi flessibili perché, anziché migliorare le condizioni effettive degli edifici scolastici italiani (pare siano in arrivo fondi anche per la riqualificazione edile, ma non nell’immediato) spesso vetusti e a rischio crollo, ne abbiamo già avuto ampie dimostrazione, le priorità di questo e del precedente governo sono, ovviamente, gli ambienti di apprendimento digitali per una didattica innovativa.

Nel documento del ministero, di cui trovate il link sotto ogni immagine inserita, si fa spesso riferimento a nuovi studi pedagogici che celebrano le virtù diffuse di queste didattiche innovative, tuttavia di quali studi si tratta non è dato sapere perché, nonostante nel testo si predichi, ad ogni piè sospinto, l’uso consapevole delle fonti e della ricerca sul web il ministero non ritiene necessario informare il cittadino sulle fonti da cui esso trae le sue perle di saggezze.

Ad ogni modo il ministero intende utilizzare questi fondi del PNRR per l’allestimento di ben 100,000 nuove aule smart; saranno sufficienti per coprire il fabbisogno di tutte le scuole italiane? Vedremo. Comunque, se è vero che questa didattica innovativa che può essere svolta solo in ambienti di apprendimento digitale con arredi flessibili può avere effetti così taumaturgici per il miglioramento della qualità di istruzione, io mi chiedo come sia possibile che non venga estesa a tutti gli istituti scolastici di default e che invece debbano essere le scuole a farne richiesta tramite una procedura complessa e articolata?

I CELLULARI VIETATI NELLA SCUOLA SMART

A questa prima perplessità ne sopraggiungono altre; per esempio, quella dell’allarme lanciato da psicologi di tutto il mondo che dalla fine della pandemia hanno constato i danni prodotti da un utilizzo troppo continuativo di dispositivi digitali nei bambini e negli adolescenti, danni che afferiscono in particolare alla loro sfera emotiva e psicologica. Tali preoccupazioni hanno spinto l’attuale inquilino di V.le Trastevere ad emanare una circolare per vietarne l’uso a scuola (per la verità si è trattato di un divieto ribadito, era già stato diffuso tempo fa) facendo appello alla sensibilità dei dirigenti scolastici. Tuttavia, se da un lato il ministero vieta, dall’altro lo stesso ministero raccomanda alacremente la svolta digitale della scuola 4.0, ovvero Futura, la scuola per l’Italia di domani. Senza dubbio gli studenti italiani devono essere messi in condizioni di saper utilizzare le tecnologie di oggi e di domani, devono essere informati sul loro corretto utilizzo e su quali possano essere i rischi in essi insiti per cui non si comprende la contraddizione che emerge rispetto all’utilizzo dei dispostivi elettronici che da una parte vengono vietati e dall’altra caldamente raccomandati.

DALLA SCUOLA AL LAVORO SENZA SOLUZIONE DI CONTINUITA’

Un’altra questione da segnalare è che nel documento del ministero si richiama con insistenza la necessità di offrire agli studenti italiani le competenze richieste per i lavori di domani, la preveggenza in quest’ambito si è più e più volte rivelata già in passato errata. Infatti, quelli che oggi sembrano rappresentare opportunità professionali del futuro allo stesso tempo non possono affatto ritenersi garanzie inossidabili; anzi, l’esperienza insegna che tra dieci o quindici anni queste figure professionali così tanto ricercate nel presente potrebbero essere esaurite e obsolete, pertanto non credo sia errato interrogarsi sul fatto che magari una specializzazione troppo limitata a determinati settori oggi in voga possa rivelarsi del tutto inutile successivamente. Sarebbe quindi più lungimirante investire su un modello di istruzione più variegato che consenta agli studenti di oggi di acquisire quelle conoscenze sempre valide e che offrono le competenze necessarie per adattarsi a qualsiasi evenienza.

Il terzo aspetto di questo documento che desta non poche preoccupazioni è l’eccessivo uso del binomio istruzione-lavoro. Leggendo il documento, infatti, ci si accorge subito dell’enfasi posta sulla scuola come mezzo attraverso il quale lo studente può e deve trovare lavoro e tuttavia la scuola non ha affatto questo scopo. Al contrario, il suo scopo è di formare cittadini consapevoli dotati di pensiero critico e capaci dunque di leggere e interpretare il mondo. Quanto meno è questo lo scopo che la scuola della Costituzione ha perseguito dal 1948 ad oggi, evidentemente qualcosa è cambiato e la scuola deve preparare, secondo questo documento, al lavoro e non al perseguimento delle proprie attitudine e all’emancipazione del bisogno.

Se per certi versi l’idea di poter offrire agli studenti la possibilità di fare esperienza attraverso le attività autentiche tramite la simulazione dei contesti così come si promette che faranno i Next Generation Labs possa essere accolta con interesse e curiosità da tutti i soggetti coinvolti, è però inquietante che si parli di metaverso ma, soprattutto che si affermi che questi spazi debbano costituire “un continuum fra la scuola e il mondo del lavoro” e addirittura essere luoghi dove spingere la simulazione di contesti lavorativi da cui non scollegarsi mai. Infatti, tra le altre innovazioni raccomandate c’è appunto quella di poter fruire dei materiali in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo. In questo modo lo studente non sarà mai libero di lasciarsi la scuola e le ansie, che essa gli provoca, alle spalle. Come se si volesse addestrare sin dai banchi di scuola i lavoratori di domani a rendersi sempre disponibili e reperibili per il lavoro azzerando il tempo libero.

Se è vero che la didattica innovativa pone lo studente al centro dell’attività di insegnamento e di apprendimento (che poi è come dire che finora i docenti abbiano insegnato per gratificare unicamente il loro personalissimo egocentrismo), fa specie che il focus di questa nuova didattica sia principalmente sviluppare le competenze richieste dal mondo del lavoro, come sottolinea l’immagine sottostante con i sette principi dell’apprendimento OCSE, e ricordiamolo che si tratta di un’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e non un ente di beneficenza che ha a cuore lo sviluppo personale dello studente e che quindi con l’istruzione ha un rapporto di assoluto tornaconto. Fa dunque allora più specie che il ministero dell’istruzione si presti a perorare la causa dei privati anziché tutelare il diritto allo studio degli studenti.

I 7 principi dell'apprendimento OCSE

LA SCUOLA 4.0, UN GRANDE AFFARE PER I PRIVATI

La scuola 4.0, la scuola dell’Italia di domani pare invece essere proprio un grande affare per i privati, quelli che già si buttano sul mercato per “offrire” arredi flessibili e adatti proprio alla didattica innovativa, un affare per i privati che sviluppano software adatti all’uso.

Osservando bene queste immagini sorge spontanea la domanda: ma con classi di trenta studenti come si fa a farli entrare in queste futuristiche classroom? Semplice, non saranno adatte a tutte le classi, infatti questi spazi saranno utilizzati solo da piccoli gruppi che dovranno svolgere determinate attività e quindi la classe cosiddetta “novecentesca” nel tempo verrà smembrata, smontata e rimontata così come le discipline che saranno trasversali e modulari. Che ne sarà allora delle conoscenze? Non serviranno più perché sostituite dalle competenze anche se non si sviluppano quest’ultime senza che gli studenti si siano adeguatamente appropriate delle prime. D’altra parte per i lavoratori del futuro ciò che sarà necessario e spendibile nel mondo del lavoro è saper lavorare in gruppo, riconoscere un leader e risolvere problemi. Tutto il resto appartiene al passato, compresa la libertà di scegliere chi essere come persona.

PRECISAZIONI

Qualche precisazione in merito allo stato dell’arte comunicato dal ministero tramite questo documento, nel quale l’adozione del registro elettronico, quindi un software volto a svolgere attività prevalentemente amministrative, viene passato come digitalizzazione delle scuole quando nulla a che fare ha con la didattica; discorso analogo va fatto per l’informatizzazione delle segreterie che nel 2014 copriva solo il 68% delle segreterie scolastiche italiane e solo nel 2023 si raggiunge il 97% e quindi non la totalità ancora, se questo è un successo, c’è di cui preoccuparsi.

Infine, i dati del ministero secondo cui durante la pandemia tutti gli studenti sono stati raggiunti dalla DaD non sono aderenti alla realtà, infatti ne sono rimasti esclusi ben il 33,8% mentre al sud la percentuale degli esclusi è stata del 41,6.

© L. R. Capuana

L. R. CAPUANA – LRC EDUCATION: EMPOWER YOUR KNOWLEDGE (lrcapuana.com)
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