DONNE E POTERE

Dedicato alle mie nipotine, Natalie e Elettra.
Orlando, 1928- V. Woolf
Orlando, 1928- V. Woolf

Donne e potere, l’accostamento di questi due termini offre una certa molteplicità di prospettive, per esempio, il potere delle donne o il potere esercitato sulle donne, il potere e le donne o donne di potere e, ancora semplicemente invertendoli: potere e donne.

Voglio dunque evitare di essere dispersiva perciò ho scelto di partire da due sole definizioni che mi sembrano molto interessanti, tenendo sempre presente una domanda soltanto e cioè quale tipo di potere voglio accostare al termine donna?

La prima definizione è forse quella più tradizionale che, mutuandola da Max Weber, Robert Dahl chiama “l’idea intuitiva del potere” secondo la quale: “A ha potere su B fin tanto che A riesce a far fare a B ciò che autonomamente non farebbe” (1957, 202-03 – la traduzione è dell’autore), quindi si tratta di potere esercitato su altri. La seconda è quella proposta da Hannah Arendt che sostiene che il potere “è quell’abilità umana che non si limita ad agire ma agisce di concerto a” (1970, 44 – la traduzione è dell’autore) e quindi si potrebbe parlare di “potere di”. A tal proposito Hanna Pitkin, partendo dal significato etimologico del termine “potere”, aggiunge che “il potere è qualcosa – qualsiasi cosa – che rende qualcuno in grado di, capace di fare qualcosa. Potere è capacità, potenziale, abilità, risorse e mezzi”.

Ecco, io preferisco partire da questa idea di potere parlando di donne e proprio perché, invece storicamente le donne hanno dovuto subire una tipologia di potere come quella delineata dalla prima definizione, ossia, il potere esercitato dagli uomini sulle donne da tempo immemore, tanto che ancora oggi ne siamo, in parte e inconsciamente succube, fino al punto di dover parlare a tutt’oggi di questione femminile, di quote rosa e via dicendo.

Emmeline Pankhurst

 

Gli uomini hanno creato un codice morale e pretendono che le donne lo accettino. Essi hanno deciso che è assolutamente giusto e corretto che loro combattano per le loro libertà e per i loro diritti, ma che non è né giusto né corretto che le donne lottino per i loro (la traduzione è dell’autore).

A dimostrazione di quanto sostengo sopra desidero riportare solo pochi dati che mi sembrano indicativi: il 58% dei laureati in Italia è donna, sono 7 su 10 le ragazze che proseguono gli studi universitari e 22 su 100 consegue la laurea contro i 15 su 100 dei colleghi maschi, eppure le docenti universitarie italiane sono solo il 35%, inoltre tra i rettori solo cinque sono donne; in Europa solo in Finlandia si raggiunge la parità.

L’articolo del Corriere della Sera da cui sono tratte queste cifre, a firma di Orsola Riva, prosegue analizzando anche le cause che producono questi risultati e mi colpisce in particolare che una di questa è quella che Riva definisce “la tendenza all’auto-segregazione” in merito alla scelta delle facoltà, infatti, solo il 21% delle diplomate sceglie ingegneria mentre ben l’80% preferisce studi umanistici.

Tra le altre cause citate c’è anche una predominanza maschile nelle commissioni d’esame che, da uno studio condotto dai docenti Maria De Paola e Vincenzo Scoppa dell’Università della Calabria, è più vantaggiosa per i candidati maschi rispetto alle candidate femmine dei concorsi per professori associati e ordinari. Infine, e questo è l’aspetto più sorprendente, secondo Cristina Messa, rettore della Bicocca dal primo ottobre 2013, è che “spesso le donne si auto-escludono e invece dovremmo osare di più, non tirarsi indietro con la scusa della famiglia”.

Emmeline Pankhurst and "Time"
Emmeline Pankhurst, in 1999 “Time” names her one of the 100 Most Important People

 

Emmeline Pankhurst fu a capo del movimento britannico delle “Suffragette” battendosi per il diritto di voto alle donne. Nel 1999 il “Times” l’annovera tra le 100 persone più importanti perché “diede vita all’idea di donna contemporanea; costrinse la società ad accettare un nuovo percorso da cui non è possibile tornare indietro” (la traduzione è dell’autore).

Pertanto se da un lato sussistono ancora oggi varie forme di discriminazione di genere e, quindi, di un perdurante potere maschile esercitato sulle donne, è anche vero, a parer mio, che il potere che, in buona parte, non siamo ancora riuscite a gestire è il potere di credere nelle nostre singole capacità d’individui.

Virginia Woolf, A Room of One's Own
A Room of One’s Own, 1929 – V. Woolf

 

“Alle donne è sempre stato detto di essere inadeguate, inferiori, incapaci di genio e alla fine ci hanno credute anche loro”
“Circostanze e condizioni, esterne, hanno contributo a scoraggiarle rendendole vulnerabili. L’oppressione, tra l’altro, proviene dall’interno oltre ché dal di fuori, è stata interiorizzata” (la traduzione è dell’autore)

“Donna non si nasce, lo si diventa”, scriveva Simone De Beauvoir (Il secondo sesso, il Saggiatore – Milano, 1961 – p. 325), affermando che è la formazione più che il destino o la differenza biologica a sancire questa sudditanza millenaria delle donne nei confronti degli uomini. E non si può certo negare che oggi le condizioni socio-economiche e politiche in cui vivono e operano le donne occidentali siano molto migliorate rispetto a soli 30 o 40 anni fa, anzi esse sono nettamente diverse.

Infatti basti pensare alle battaglie di molte e di molti che hanno reso possibili leggi come quelle sul divorzio (1974) e sull’aborto (1981), e che grazie alle varie forme di contraccezione oggi disponibili sul mercato hanno reso le donne in grado di appropriarsi del loro corpo e della loro concreta possibilità di emanciparsi; l’obbligo scolastico e il libero accesso allo studio e al mondo del lavoro hanno favorito, peraltro, una rivoluzione culturale da non sottovalutare, soprattutto tenendo conto dei tempi occorsi per realizzarla, a ben vedere relativamente brevi specie se si osserva l’insieme complessivo del processo storico che è stato necessario per far sì che l’altra metà del cielo potesse avere voce in capitolo sulla propria sorte e sul proprio destino personale.

Per meglio spiegare il mio ragionamento riprendo un’analisi del saggio di Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, 1928 in cui si sottolinea che:

 

In fact, she says, unlike their male counterparts, women have always been burdened with household duties that inevitably imprisoned them in repetitive, boring , tiring and time consuming daily routines that deprived them of the vital time and private space that were – and still are – crucial for any creative ambition they might have had. We may be tempted to take all this for granted given the enormous changes that we can enjoy today, however these words and he concept they conveyed were radically revolutionary in 1928. A time during which women were still legally and financially depending on their husbands.
Women historically have been denied those luxuries that were considered perfectly natural to men, first of all education, she says, and in a fictitious tour of a men’s University she begins to describe the opulence of the buildings, the incredible number of books in their libraries, the beauty of study rooms and campuses and she reports being stopped by a custodian from stepping on the grass because she is a woman and only men are allowed to walk or sit on the grass, just as she is denied access to the library for the same reason. She must not wander off the gravel path. Therefore emphasising that for the mere fact of being a woman she could not do as she pleased, like men could, but she had to keep to the rules set for women by men.
That is precisely why she underlines the need for women to be financially independent and self-sufficient and to have their own private space where to find the proper concentration without useless interruptions that result in inevitably fragmented production.

“Infatti, dice, contrariamente alla loro controparte maschile, le donne sono sempre state oberate con mansioni domestiche che inevitabilmente le hanno imprigionate in routine quotidiane noiose, ripetitive, faticose che assorbivano interamente il loro tempo, privandole di quel tempo e quello spazio vitali che erano – e che ancora adesso sono – cruciali per qualsiasi tipo di ambizione creativa. Potremmo essere tentati di dare per scontato tutto ciò, alla luce degli enormi cambiamenti di cui godiamo oggi, tuttavia queste parole e le idee che veicolano, nel 1928 erano radicalmente rivoluzionari.
Un tempo in cui le donne erano ancora legalmente subordinate
economicamente ai loro mariti.
Storicamente alle donne sono state negate quei lussi considerati del tutto normali per gli uomini, innanzitutto l’istruzione, continua, e in un tour immaginario tra i luoghi di un’università maschile inizia a descriverne l’opulenza architettonica degli edifici, il numero incredibile di volumi che affollano quelle biblioteche, le bellezze dei loro studi e dei campus; racconta di essere stata bloccata da un guardiano mentre si accingeva a calpestare il prato in quanto donna. Solo agli uomini era concesso di avventurarsi e sedersi sui prati, e per lo stesso motivo le viene negato ogni accesso alle biblioteche.
Non può abbandonare il sentiero. In tal modo, sottolinea, per il semplice fatto di essere donna non poteva comportarsi a suo piacimento, come gli uomini, bensì doveva sottostare alle regole che gli uomini avevano imposto alle donne.
E’ proprio per questo motivo che Woolf sottolinea la necessità per le donne di essere economicamente indipendenti e autonome e di avere uno spazio privato dove poter trovare quella concentrazione necessaria e senza inutili interruzioni che possa consentir loro una produzione che altrimenti risulterebbe inevitabilmente frammentaria.” (La traduzione è dell’autore).

È stata proprio questa rivoluzione culturale che, partendo dal libero accesso a un’istruzione di alto livello aperta anche alle donne, ha dato a tutti e a tutte i mezzi e gli strumenti intellettuali necessari per abbattere ogni ostacolo e raggiungere quel grado di autodeterminazione e consapevolezza personale atta a garantire anche alle donne opportunità e possibilità di preferire “alla vita le ragioni di vivere”, la trascendenza della natura all’immanenza della stessa.

“L’umanità ha sempre cercato di evadere al suo destino specifico; con l’invenzione dello strumento la conservazione della vita è divenuta per l’uomo attività e fine, mentre la donna nella maternità restava incatenata al suo corpo” come diceva De Beauvoir (p. 95), ma spezzando quelle catene la donna, come l’uomo, si può ora impadronire del mondo. In quest’azione, parafrasando De Beauvoir, potrà sperimentare il proprio potere; si potrà porre degli obiettivi, tracciare le vie per raggiungerli e potrà realizzarsi come esistente. Come l’uomo, anche la donna ora, “per conservare crea; oltrepassa il presente, apre l’avvenire” (p.93).

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Tuttavia perché si compia il suo destino di esistente, di agente che non sia più “altro” rispetto a quell’io sempre maschile che detiene il potere per sé e per l’altro, la donna, di fatto, deve assumere su di sé la responsabilità della propria esistenza e per far questo deve porsi a sé stessa come capace di gestire quel potere di credere in se stessa e nelle proprie esclusive capacità non per essere migliore e, quindi, rivestire ogni ruolo senza alcuna pecca, bensì accettando anche i propri limiti, le proprie fragilità e debolezze che sono umane e non esclusive prerogative femminili.

Perché la rivoluzione culturale sia completa, la donna deve percepirsi come un tutt’uno in sé compiuto e incidere concretamente sul mondo, solo così potrà detenere il vero potere: il potere di scegliere e decidere di se stessa e per se stessa.

The Golden Notebook, 1962 – D. Lessing


Links e letture consigliati:

http://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-le-donne-non-fanno-carriera-in-universita/

http://plato.stanford.edu/entries/feminist-power/#DefPow

De Beauvoir, S. Il secondo sesso, il Saggiatore – Milano, 1961.

© L. R. Capuana

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