“I leoni di Sicilia” – la saga dei Florio, di Stefania Auci

copertina de "I leoni di Sicilia"
ISBN 978-88-429-3153-9, pp. 437 – € 18.00

Nell’insieme una lettura gradevole, ottima per le vacanze natalizie e non, un’opera abbastanza riuscita, come dimostrano le molte recensioni favorevoli ricevute, facilmente reperibili nel web, e la quantità davvero ragguardevole di copie vendute.

Auci è brava a ricreare l’atmosfera dell’epoca raccontata nel suo romanzo, a descrivere la città di Palermo – sembra di riuscire proprio a vederla -, divulgativi e molto interessanti i passi che narrano delle varie attività imprenditoriali intraprese dai Florio, della loro determinazione e tenacia nel condurre gli affari, nel leggere le persone, nel comprendere i momenti e cogliere le opportunità, correndo anche dei rischi.

Tuttavia, personalmente, devo dire che in qualche passaggio rilevo una certa reticenza nello stile, si avverte, a mio avviso, l’insicurezza di un’arte ancora acerba. Una sorta di pudore da parte dell’autrice, come se avesse timore a lasciarsi andare e che ha proprio l’effetto che forse Auci vorrebbe evitare, un non so che di stucchevole, specie in alcuni dialoghi, o in alcuni passaggi di introspezione psicologia, in particolare direi quelli in cui un po’ tutti i Florio lamentano l’emarginazione che subiscono da parte dei nobili palermitani per l’appartenenza di classe da questi ultimi difesa con le unghie e con i denti, mentre per loro, i Florio, sono dei volgari parvenu – questa supponenza aristocratica è ben presente in tanti altri romanzi, ne cito solo uno: Orgoglio e pregiudizio, di J. Austen -. Hanno i soldi ma non il sangue. Ecco, ritengo, che in queste pagine si avverta un eccessivo senso di autocommiserazione e non l’orgoglio ferito di chi soffre violentemente di un’ingiustizia subita. E da vendicare.

Forse l’unico momento in cui l’umiliazione brucia forte e carica nel profondo uno dei Florio è quando Vincenzo, figlio del capostipite – Paolo, si trova vis à vis con una nobile, la madre della ragazza di cui lui si crede innamorato – Isabella Pillitteri -, che gli grida in faccia tutto il suo disprezzo rifiutando recisamente ogni possibilità per lui di sposare la figlia, Isabella, nobile decaduta e senza mezzi. (pp. 145-46):

è il sangue che fa la differenza

gli sibila la baronessa. Per il resto però questa forza oscura è solo accennata e molto repressa.

Inoltre, contrariamente a quanto scritto in una recensione apparsa sul “Sole 24ore”, trovo meno riusciti i personaggi femminili. In particolare il personaggio di Giulia Portalupi, audace e avventata nell’accettare le attenzioni spregiudicate di Vincenzo Florio, viene poi descritta troppo passiva e remissiva sia nella scena di seduzione – che rasenta lo stupro – veicolando e rafforzando l’idea che sotto, sotto, le donne desiderano essere “prese” dall’uomo forte, che vogliono essere dominate e domate; sia nella sua rassegnata attesa di essere sposata e di veder ristabilita la sua onorabilità e legittimati i figli nati da quell’unione.

I due, infatti, non conducono un ménage accettabile per la morale del tempo e questo, mi fa pensare, che la vera Giulia fosse più consapevole e determinata del personaggio delineato che, invece, appare, di una remissività stridente con le circostanze in cui si viene a trovare. Da questo punto di vista, a mio avviso, vi è incoerenza tra la forza d’animo necessaria ad una donna del tempo per accettare e affrontare una situazione così scabrosa benché milanese, ma pur sempre segnata a dito e il suo modo di porsi nei confronti dell’uomo che, ovviamente, ama e che tuttavia la costringe a restare ai margini, tra l’altro accettando che le figlie, in particolar modo, nate dall’unione siano emarginate del tutto.

Giulia avrebbe meritato, secondo me, una caratterizzazione di maggiore spessore, non può che essere stata una donna dalla tempra forte e dal temperamento impetuoso per tener testa ad un opportunista, arrivista e senza scrupoli come Vincenzo Florio e purtroppo questa personalità, che non può non essere stata volitiva, a mio parere, viene restituita nelle pagine del romanzo come sbiadita e messa in ombra dalla centralità data ai protagonisti maschili.

Altrettanto sbiadita e ripiegata sul suo senso di impotenza in quanto donna, appare a me, il personaggio di Giuseppina Saffiotti, moglie del capostipite Paolo, madre di Vincenzo e segretamente innamorata del cognato Ignazio. Anche in questo caso ritengo che le potenzialità del personaggio siano state tradite, forse pensando di rimanere fedeli ad una certa idea storicistica di donna che, non avendo alcun potere reale, si sottomette al volere del marito. Se questa descrizione è perfettamente credibile per il personaggio di Mattia Florio, sorella dei fratelli Florio – Paolo e Ignazio -, delineata da Auci con assoluta verosimiglianza sia nei dialoghi in cui lei partecipa, sia nelle parti narrative che la ritraggono succube di un marito violento concentrata sulla protezione fisica dei figli che le stanno al collo. Nel caso di Giuseppina, invece, non è affatto credibile. Una donna sottomessa e ubbidiente al marito non si lascia andare a sfuriate anche notevoli come quelle descritte, in più parti, nel romanzo che fanno intravedere una donna che sa farsi rispettare; intravedere, appunto. Oltretutto, il rancore sordo che lei nutre dentro di sé contro il marito per averla strappata ai suoi pochi affetti nel paese di origine, Bagnara Calabra, quel profondo senso di dignità che le da la “sua” casa in Calabria, e che lei avverte del tutto offeso dal marito che la porta a vivere in una città sconosciuta e in un “basso” buio e umido, per il carattere che si intravede in filigrana avrebbe dovuto suscitare reazioni ben più forti di quelli descritte nell’opera di Auci che sembra quasi voler nascondere.

Mi sembrano molto più riusciti e autentici i pochi dialoghi in cui emerge con tuta la loro forza il giudizio impietoso della primogenita di Giulia e Vincenzo, Angelina, come, ad esempio nelle seguenti battute:

Il mio signor padre mi accusa di non assecondare i suoi progetti matrimoniali. Mi dice che dovrei essere adeguata e mi rimprovera per non essere bella abbastanza. Come se non mi aveste fatto voi! (p. 366) (…) Né io né mia sorella veniamo invitate alle feste (…) non abbiamo mai avuto modo d’incontrare nessuno al di fuori di queste quattro mura. (…) Invece nostro fratello è portato in palmo di mano, viene invitato a tutti i ritrovi, va a cavallo alla Favorita con i figli dei nobili. Ve lo portate in giro, andate con lui agli incontri con gli altri commercianti, lo presentate quasi fosse figlio unico. (…) iddu è u’ patrune! E noi che siamo, (…) Nuddu miscatu cu nenti? O non siamo pure figlie sue? Invece, pi’ iddo pare che esiste solo Ignazio, Ignazio, Iganzio! (p. 367).

Ecco, qui Auci, a mio avviso, libera l’ondata di sentimenti profondi e intensi, per lo più repressa. Ecco cosa manca, dal mio punto di vista, a questo romanzo, una rabbia autentica, profonda e nera, come se questi sentimenti così estremi, privi di qualsiasi apparente raziocinio, in realtà contrassegnati da freddo calcolo, come dimostrano in contro luce, certi moti di Vincenzo Florio, il quale dev’essere stato ben più spregiudicato, cinico e rapace di quanto non emerga nel romanzo – qualità necessarie per ottenere tutto il successo dei Florio -, fossero stati nascosti per pudore, e qui, secondo me, emerge il senso di inferiorità del siciliano contemporaneo nei confronti dei connazionali e dunque le contraddizioni estreme devono essere stemperate, devono subire un’igienizzazione per non risultare troppo forti all’esterno e così però vengono slavati e snaturati. Mi sembra, infatti, che Auci, tenti un’operazione di riabilitazione della Sicilia e dei siciliani – l’intervista citata sopra sottolinea come un pregio del romanzo questo aspetto -, mostrando al mondo un’operosità, un’intraprendenza che il mondo nega ai meridionali, in generale, ai siciliani, in particolare, visti come parassiti oziosi. E’ come se fosse questa vulgata che l’autrice volesse smentire.

Auspico che Stefania Auci sappia superare questi aspetti meno brillantemente riusciti della sua opera e attendo con interesse e curiosità il seguito della saga che, leggo, stia già preparando.

© L. R. Capuana

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