L’OCSE-PISA E IL DOGMA DEL NEOLIBERISMO CHE SOFFOCA L’ISTRUZIONE

the globe

The individual is not allowed to reach ”heaven on earth”, but is rather expected to try to learn to live with the idea that a continuous learning process is the closest we can come to fulfilment in life. In fact this construction is not a recent or new one. In some respects it is a fundamental feature of the European tradition of Bildung. With the risk of over simplifying we could say that while the Bildung tradition emphasizes learning as emancipation, independence, self-awareness and maturity, the lifelong learning ideology or dogma explicates learning activity as something that the individual has to exhibit in order to meet “legitimate” expectations of those towards one is considered to be responsible. A learning attitude is the ethos of an “alert readiness to change” according to what the situation needs, but where oneself is not defining this situation. In this sense the lifelong learning dogma is opposite to the concept of Bildung. (Uljens e Siljander)

Non è concesso all’individuo di conquistare il “paradiso in terra”, piuttosto ci si aspetta che impari a convivere con l’idea che sia necessario imparare lungo il corso della propria vita e che ciò sia quanto di meglio si possa fare per conseguire il senso di appagamento in vita. In effetti quest’idea non è poi tanto nuova, per certi versi è la caratteristica fondamentale della tradizione europea di Bildung. Con il rischio di semplificare troppo si potrebbe dire che mentre la tradizione di BIldung mette in rilievo l’importanza di imparare come forma di emancipazione, di indipendenza, di consapevolezza di sé e di maturità, l’ideologia, o dogma, del lifelong learning configura l’atto di imparare come qualcosa che l’individuo debba esibire per poter soddisfare le “legittime” aspettative di coloro verso i quali esso è considerato responsabile. Un atteggiamento verso l’atto di imparare è l’ethos di chi si pone “con prontezza al cambiamento” a seconda delle necessità poste dalla situazioni, ma solo quando non è l’individuo a stabilire quali siano queste situazioni. In questo senso il dogma del lifelong learning è l’esatto contrario del concetto tradizionale di Bildung. (La traduzione è dell’autore)

PREMESSA

Da qualche giorno, come ogni anno più o meno in questo periodo, i media nazionali si affannano a dar conto all’opinione pubblica dei rapporti ufficiali, pubblicati dall’OCSE-OECD, in merito allo stato dello sviluppo economico dei paesi aderenti a quest’organizzazione e, come sempre, anche quest’anno l’Italia è agli ultimi posti della ormai famigerata, nonché temuta, classifica – così ci viene detto con solerzia da più parti – per numero di occupati, per trattamento economico dei lavoratori di vari settori che, però soffrono di una persistente inadeguata competenza, specie nei domini misurati dalle rilevazioni OCSE-PISA. L’Italia, inoltre, ha un numero di laureati inferiori rispetto ad altri paesi, presenta un divario altissimo tra Nord e Sud e investe in Ricerca e Istruzione percentuali di risorse inferiori. Tuttavia, proseguono dall’OCSE-OECD, le riforme recentemente avviate, come il Jobs’Act e quelle sul sistema d’istruzione vanno nella giusta direzione e, quindi, per migliorare le prestazioni del nostro paese in questa classifica internazionale, bisogna insistere e perseverare su questa via già tracciata[2].

Tenuto conto dell’enorme considerazione assegnata all’OCSE-OECD da esperti di tutto il mondo, dai politici, in particolar modo, che tremano davanti ai risultati contenuti in questi rapporti accompagnati, come si è detto, da una campagna mediatica contrassegnata da toni apocalittici – bollettini di guerra, li ha definiti Svein Sjøberg[3] – , e tenuto conto del fatto che ottenere i primi posti in questa classifica è diventata, per tutti i governi in carica, un’urgenza ossessiva e irrinunciabile al fini di mantenere il consenso, è necessario capire cos’è l’OCSE-OECD e perché i suoi rapporti detengono una così alta stima da poter promuovere o bocciare gli indirizzi politici dei vari paesi aderenti in materie di mercato del lavoro, politiche economiche e sistemi di istruzione, nonché fornire indicazioni politiche e programmatiche di miglioramento.

Per chi non lo sapesse ancora l’OCSE-OECD è l’Organizzazione per la Cooperazione dello Sviluppo Economico (in inglese OECD Organization for the Economic Cooperation for Development – d’ora in poi solo OCSE -) con sede a Parigi che opera dagli anni ’60 del secolo scorso e i cui paesi membri – 20, quando iniziò a muovere i primi passi nel 1960, fino ai 30 nel 2000[4] – sono rappresentati nel Consiglio di Amministrazione.

Così come esplicitamente dichiarato nel nome, quest’organizzazione è interessata a favorire lo sviluppo economico, pertanto promuove il libero mercato fortemente competitivo e globale ed ha tra i suoi più agguerriti sostenitori attori di prim’ordine degli ambienti economico-finanziari internazionali[5] perciò ha, progressivamente, sviluppato un interesse crescente per i sistemi di istruzione dei paesi aderenti, un interesse, evidentemente, incentrato sulla spinta economica che può venire dall’istruzione, ma si tratta di una spinta pilotata e asservita essenzialmente solo a fattori economici – come vedremo nel corso di quest’analisi articolata – che rompe radicalmente con quelli che erano gli obiettivi perseguiti dai vari sistemi di istruzione del passato.

Infatti, se nel periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale e fino alla fine degli anni ’80, la maggior parte dei paesi europei puntava su una diffusione crescente dell’istruzione accessibile a tutti gli strati sociali con l’impegno di ridurre progressivamente anche gli squilibri geografici e, al contempo, garantendo pari opportunità attraverso lo sviluppo di idee di solidarietà e veicolando una sempre più capillare e consapevole partecipazione civica, quindi sistemi di istruzione che si inserivano nel solco del modello educativo del cosiddetto Welfare State secondo cui, crescita economica, welfare e partecipazione attiva alla vita politica avrebbero garantito benefici per tutti; dopo il 1989 il dibattito sull’istruzione, improvvisamente, vira su posizioni aziendaliste arrivando persino a mutuare dal mondo dell’imprenditoria il lessico adottato in riferimento all’istruzione e si introducono concetti di eccellenza, di efficacia ed efficienza, produttività e competizione, internazionalizzazione dell’istruzione; si parla di costi-benefici e di razionalizzazione degli investimenti fino a giungere alla rendicontazione degli obiettivi raggiunti e si procede quindi, quasi come conseguenza diretta, ad una serie di deregolamentazioni e autonomie che non si fermano solo all’istruzione ma che investono anche le comunicazioni, le infrastrutture e la sanità pubblica[6].

Per quanto concerne l’istruzione nello specifico il punto di non ritorno è rappresentato dall’ingresso della componente dei rappresentanti dei genitori nei consigli di istituto un po’ ovunque a partire dai primi anni ’90[7]. In concomitanza a questa novità si sviluppa anche una selvaggia pratica di commercializzazione di scuole e università che iniziano a pubblicizzare su larga scala i loro prodotti offerti alla platea di clienti – studenti e genitori – da accaparrarsi, un numero sempre più consistente per battere la concorrenza e ottenere così più fondi statali. In quest’ottica di mercato l’istruzione viene scelta sulla base del successo internazionale che ogni istituzione afferma di poter garantire ai suoi clienti-studenti [8]. Tutto ciò è inevitabilmente collegato, a partire dal nuovo millennio, ad un’ulteriore novità introdotta in ambito specificamente scolastico, nel 2000 appunto, e cioè al raggiungimento, dei singoli istituti, delle posizioni più alte nelle classifiche stilate tramite le rilevazioni INVALSI, a livello nazionale, che servono per accertare il successo internazionale certificato dall’OCSE-PISA, almeno per molti sistemi di istruzione al mondo questo dato, nella scelta delle scuole, assume un’incidenza notevole [9].

OBIETTIVI DI QUESTA ANALISI

Da quanto finora esposto ne consegue che i rapporti OCSE si profilano necessariamente come i risultati di una raccolta dati di grande attendibilità e affidabilità, non a caso la valutazione oggettiva condotta con estrema cura proprio per garantire a tutti i paesi aderenti il massimo dell’imparzialità, dell’equità e della competenza professionale nelle misurazioni, nonché la trasparenza vantata verso tutti gli osservatori esterni sono i tratti distintivi dell’OESE, raramente messi in discussione né dai media né da esperti funzionari che si occupano di istruzione, specialmente in Italia, salvo rare eccezioni [10].

Eppure nonostante il plauso incondizionato è proprio nell’ambito dell’istruzione e, quindi, delle rilevazioni OCSE-PISA che sono emerse negli anni più recenti le maggiori perplessità da parte di numerosi accademici internazionali [11] e proprio in relazione agli aspetti più fieramente difesi dai più alti esponenti dell’OCSE-PISA. Grazie ai tanti contributi raccolti nel corso di questa ricerca i dubbi sono aumentati e in questa analisi si tenta di comprenderne le ragioni e, incrociando i vari dati – da prospettive altre rispetto a quelle adottate dall’OCSE-PISA – si tenta di dare anche delle risposte a questi dubbi che attengono all’oggettività delle valutazioni che non può prescindere dalle modalità di scelta dei campioni valutati, dall’oggetto stesso valutato e dagli scopi inerenti; allo stesso tempo, meritano attenzione le modalità attraverso cui le classifiche sono stilate tenendo conto dei parametri adottati anche per la lettura dei dati raccolti che confluiscono nelle classifiche di cui sopra. Infine, ultimo punto, ma non meno importante, quali e quanti fattori correlati influiscono, se influiscono, nelle conseguenti conclusioni che vengono tratte alla fine di questo lavoro.

1. SCOPI E OBIETTIVI DELLE RILEVAZIONI OCSE-PISA

Come si è detto le prime rilevazioni OCSE-PISA, dove PISA sta per Programme of International Student Assessment, furono effettuate nel 2000 – in Italia sono svolte dall’INVALSI [12], – e per capire lo spirito iniziale con cui vennero concepite ci viene in aiuto una dichiarazione d’intenti ufficiale dell’OCSE stessa che nel 1999 così recitava:

How well are young adults prepared to meet the challenges of the future? Are they able to analyse, reason and communicate their ideas effectively? Do they have the
capacity to continue learning through life? Parents, students, the public and those who run education systems need to know [13]

Possiedono i giovani l’adeguata preparazione per affrontare le sfide del futuro? Sono in grado di analizzare le loro idee, di ragionarci su e di comunicarle efficacemente? Sono in grado di continuare ad imparare lungo l’arco della loro vita? Genitori, studenti, l’opinione pubblica e coloro che si occupano dei sistemi d’istruzione devono sapere. (La traduzione è dell’autore).

Gli intenti iniziali sembrerebbero anche lodevoli, parrebbe un servizio reso a tutta la comunità internazionale e al fine di valutare lo stato dell’arte, uno strumento di comparazione da cui magari trarre ispirazione; in questa prima fase, infatti, non viene accennata alcuna volontà di comparare, promuovere o bocciare singoli sistemi d’istruzione, tant’è che fin dall’inizio si evita di utilizzare comuni denominatori di comparazione legati a programmi scolastici o indirizzi di studio specifici dei vari paesi e, men che meno, si tengono in considerazione obiettivi educativi e culturali perseguiti dai diversi sistemi di istruzione.

Nelle dichiarazioni ufficiali contenute nel rapporto del 2007 però si rileva già un lieve cambio di tendenza che pur non facendo esplicito riferimento all’intenzione di valutazione i sistemi di istruzione attraverso questi test si inizia a fare qualche inferenza, quasi di tipo esplorativo, così, per vedere l’effetto che fa e infatti si legge:

If a country’s scale scores in reading, scientific or mathematical literacy are significantly higher than those in another country, it cannot automatically be inferred that the school or particular parts of the education system in the first country are more effective than those in the second. However, one can legitimately conclude that the cumulative impact of the learning experiences in the first country, starting at in early childhood and up to the age of 15 and embracing experiences both in school and at home, have resulted in higher outcomes in the literacy domains that PISA measures. (OECD, 2007a) [14]

Se i risultati conseguiti da un paese in alfabetizzazione generale, matematica e scientifica sono significativamente più alti di quelli conseguiti da un altro paese non si può dedurre che l’intero sistema d’istruzione, o sue parti, sia automaticamente migliore del secondo. Tuttavia, si può legittimamente supporre che l’apprendimento degli studenti del primo paese iniziato in tenera infanzia e proseguito fino ai quindici anni, insieme ad altre esperienze di vita hanno avuto un impatto complessivo positivo consentendo loro di conseguire risultati migliori nell’accertamento del loro livello di alfabetizzazione negli ambiti misurati dai test OCSE-PISA (la traduzione è dell’autore).

Nel 2009 l’OCSE-PISA fa qualche precisazione per chiarire che i sistemi di istruzione rimangono fuori dalla valutazione in questione e scrive:

[the knowledge and skills tested on PISA] are defined not primarily in terms of a common denominator of national school curricula but in terms of what skills are deemed to be essential for future life.(OECD, 2009) [15]

[la conoscenza e le abilità valutati da OCSE-PISA] non sono determinati principalmente partendo da un comune denominatore presente in tutti i curriculum scolastici di ciascun paese preso in esame, bensì su quali abilità sono ritenute essenziali per le sfide del futuro (la traduzione è dell’autore).

ciononostante, rileva Loveless sempre nel 2009, i risultati OCSE-PISA vengono interpretati come validi per misurare la qualità dei singoli sistemi di istruzione dei paesi aderenti e, oltretutto, i rapporti contengono numerose raccomandazioni riguardanti le politiche scolastiche [16].

È nel 2010 che il riferimento ai sistemi d’istruzione diventa esplicito e nella premessa del rapporto l’OCSE-PISA scrive:

In a global economy, the yardstick for success is no longer improvement by National standards alone, but how education systems perform internationally. The OECD has taken up the challenge by developing PISA, the Programme for International Student Assessment, which evaluates the quality, equity, and efficiency of school systems in some 70 countries that, together, make up 90% of the world economy [17].

In un regime di economia globale il buon funzionamento di un sistema scolastico non può più essere determinate solo sulla base di parametri nazionali, la pietra di paragone del suo successo si misura invece su base internazionale. L’OCSE ha accettato questa sfida sviluppando PISA che ha il compito di valutare la qualità, l’equità e l’efficienza dei sistemi di istruzione di circa 70 paesi, che insieme, rappresentano il 90% dell’economia mondiale. (La traduzione è dell’autore)

Dunque, dieci anni dopo le prime rilevazioni OCSE-PISA, l’organizzazione modifica esplicitamente lo scopo delle sue rilevazioni, comunicando che raccoglie la sfida grazie a PISA, quindi ponendosi, ancora una volta, come un estensore di servizio reso ai ben 70 paesi che partecipano a dette prove, – è bene notare però che non tutti questi 70 paesi sono membri OCSE perciò non tutti hanno rappresentanti nel Consiglio di Amministrazione per cui non sono interpellati sulle decisioni da adottare –; ma è altresì interessante notare, come sottolinea Sjøberg [18], che nel suddetto rapporto si dica che quei 70 paesi insieme rappresentano il 90% dell’economia mondiale. Si può allora legittimamente dedurre che il loro tratto distintivo sia questo, ovvero la loro potenza economica su scala mondiale e, di conseguenza le rilevazioni OCSE-PISA non vertono affatto sulla misurazione delle qualità intrinseche ai sistemi di istruzione accessibili alla popolazione mondiale, ma solo su quella che rappresenta una valenza economica sul piano internazionale, cioè l’elemento dirimente di tali misurazioni è quanta crescita economica i sistemi di istruzione di questi 70 paesi potranno ancora garantire in futuro. Ne discende che non è il benessere di chi da questi sistemi di istruzione è formato ad essere in cima alla lista degli obiettivi dell’OCSE-PISA.

1.1 COSA E CHI L’OCSE-PISA VALUTA

Fermo restando che, come si è più volte ribadito, pur esprimendo una valutazione di merito dei singoli sistemi di istruzione, l’OCSE-PISA non tiene minimamente conto dei programmi scolastici svolti, né degli obiettivi didattici e culturali perseguiti da questi programmi nazionali, su cosa si basa, allora, questa valutazione? Secondo le dichiarazioni ufficiali rese dal direttore dell’OCSE-PISA, Schleicher, nel corso di una breve intervista [19], le prove coprono un ampio spettro di elementi come:
– la prestazione degli studenti
– la loro dimensione socio-emotiva
– le loro attitudini e motivazioni
– varie questioni di equità
– il sostegno ricevuto dagli studenti da parte delle loro famiglie
Tutto ciò attraverso quesiti che, è bene ripeterlo, mirano a misurare la capacità degli studenti di analizzare le loro idee, quella di effettuare ragionamenti intorno ad esse e quella di comunicarle efficacemente, essendo queste, oltre a quella di essere in grado di continuare ad imparare lungo il corso della loro vita, le abilità necessarie per affrontare le sfide del futuro in un contesto professionale sempre più internazionale.

Chi sono dunque i soggetti sottoposti a valutazione tramite le prove OCSE-PISA? Ebbene, essi sono quindicenni scelti a campione – circa 500,000 a tornata [20] – che eseguono test a risposta chiusa o aperta volte a valutare i livelli di alfabetizzazione nella lingua madre, in matematica e scienze e, dal 2012, circa 40 paesi hanno introdotto anche l’alfabetizzazione finanziaria [21]. Vengono, invece completamente escluse dalle rilevazioni in questione discipline inerenti agli ambiti umanistici o alle lingue straniere – alquanto singolare escludere una verifica della conoscenza della lingua inglese se il contesto di competizione professionale si configura come globale -, perché l’OCSE-PISA ritiene sempre più necessarie le capacità di sviluppo in scienze e tecnologie.

1.2 COME SI VALUTA – OGGETTIVITA’ E IMPARZIALITA’, SONO EFFETTIVAMENTE ATTUATE?

Come si è detto in apertura uno dei vanti più sbandierati dall’OCSE-PISA è sicuramente l’oggettività adottata nella valutazione e ciò nonostante le tante critiche a riguardo, una tra tutte che, di fatto, è impossibile in quanto ciò che si vuole valutare è astratto [22]; un altro perno su cui ruota la valutazione OCSE-PISA è poi l’equità e, quindi, l’imparzialità.

Per capire bene anche la scelta di ignorare i singoli programmi scolastici pur mantenendo inalterato il proposito di valutare la qualità dei sistemi di istruzione bisogna soffermarsi sulla prassi adottata per la scelta dei quesiti da sottoporre agli studenti. Si tratta, in effetti, di una procedura lunga e complessa a cui partecipano numerose commissioni internazionali composte da esperti provenienti dai singoli paesi che scelgono e sottopongono al vaglio di altre commissioni un certo numero di quesiti – in misura sempre molto superiore a quella realmente necessaria per evitare di averne troppo pochi nella fase di esclusione -; vengono eliminati tutti quei quesiti che hanno troppe attinenze ai programmi scolastici per evitare che quegli studenti che non hanno conoscenze specifiche, o perché certi programmi risultano troppo avanzati rispetto ad altri, o perché in alcuni casi non si contemplano certi argomenti, siano penalizzati; vengono eliminati, inoltre, tutti quei quesiti che possono avere anche una minima inclinazione culturale che magari possa risultare offensiva o controversa per altri. Tutti i quesiti poi sono prima stilati in lingua inglese e poi tradotti nelle lingue dei discenti scelti a campione con conseguenti errori [23].

La selezione dei quesiti è, oltre tutto, condotta nella massima segretezza per consentire all’OCSE-PISA di mantenerne una riserva a disposizione viste le difficoltà riscontrate per reperirne sempre di nuovi e cionondimeno questa segretezza, né la complessità farraginosa che contrassegnano questa prassi, fa notare Sjøberg, sono fattori atti a garantire l’oggettività perché non vengono consegnati a tutti gli studenti esaminati i medesimi quesiti nella medesima rilevazione, anzi si fa in modo che non siano gli stessi per tutti, ciò però comporta un’implicita disparità nella misurazione e nella comparazione dei diversi sistemi di istruzione che l’OCSE-PISA sostiene di voler eseguire con assoluta oggettività e trasparenza perché ciò è possibile solo se tutti, indistintamente, eseguono lo stesso identico test nella stessa identica tornata di test.

Inoltre, vi è anche un altro elemento che ne mette in discussione la presunta oggettività rivendicata dall’OCSE-PISA ed esso è, invece proprio, riconducibile a fattori culturali, come evidenziato in un articolo del Guardian che sottolinea che, ad esempio, gli studenti francesi si rifiutano di tirare ad indovinare nelle domande a scelta multipla di cui non conoscono la risposta pregiudicandosi, in questo modo, il 25% di possibilità di dare la risposta corretta; oppure nel caso di studenti provenienti dai paesi dell’estremo oriente, sempre il Guardian fa notare che, i loro ottimi risultati, costanti e continuativi nel tempo, dipendono, probabilmente dalla loro comprovata altissima deferenza nei confronti dell’autorità, inoltre la loro smania di successo – tipicamente asiatica, ancora il Guardian ,– induce i genitori a ricorrere ad un aiuto esterno alla scuola per garantire ai figli un’alta prestazione. A conferma di ciò, ribadisce il Guardian, i risultati australiani mostrano che gli studenti residenti in Australia ma nati nei paesi dell’estremo oriente conseguono risultati di gran lunga superiori e in linea con la prima classificata: Shangai, rispetto a quelli conseguiti dagli studenti australiani, anche se di origine asiatica che si attestano al 19° posto. Infine, sottolinea il Guardian, vi sono paesi in cui non è culturalmente del tutto riprovevole barare, perciò consentono ai loro studenti di copiare o, in taluni casi, escludono dalle rilevazioni gli studenti ritenuti più fragili inficiando le statistiche dei risultati [24].

Stabilito dunque cosa si valuta e perché, c’è da capire come vengono effettuate le valutazioni dei quesiti e, a tal proposito, sembra interessante quanto rilevato da Uljens secondo cui, la scelta dell’OCSE-PISA di utilizzare delle procedure di valutazione adottando un unico parametro transnazionale valido per tutti e, sottolinea Uljens, indipendentemente dal curriculum di ciascun paese, potrebbe indicare la volontà dell’OCSE-PISA di favorire una progressiva omogeneizzazione di tutti i sistemi di istruzione nel mondo attraverso un sistematico processo di auto-adattamento dei vari paesi. Questo spiegherebbe perché l’OCSE-PISA che, dichiara essere interessato solo alle posizioni in classifica (ranking nell’originale) dei vari paesi, non si preoccupi affatto di indagare e spiegare i motivi che sottendono le così numerose differenze nei risultati conseguiti dai quindicenni dei vari paesi. Lasciare il compito di interpretare e capire i dati ai politici, agli esperti e ai media nazionali potrebbe rappresentare una precisa strategia adottata dall’OCSE-PISA, giocata su due fronti [25].

1.3 LETTURA E INTERPRETAZIONE DEI DATI RACCOLTI DALLE RILEVAZIONI OCSE-PISA

Il primo fronte di cui parla Uljens potrebbe essere quello di spingere i vari stati ad uniformare progressivamente i loro sistemi di istruzione per migliorare la prestazione dei loro studenti e raggiungere così i primi posti in classifica e allo stesso tempo sviluppare il secondo fronte di questa strategia che è, sempre secondo Uljens, favorire il potenziamento di una mentalità fortemente competitiva sullo scacchiere mondiale. Ma con quali conseguenze, si chiede ancora Uljens.

La libertà di interpretare i dati da parte di politici, esperti e media nazionali, sostiene Uljens, fa sì che questi si concentrino solo sulle politiche da adottare (su come le cose vadano fatte e/o come correggerle), complice, come si è già visto, la copertura mediatica che ha dato esiti disastrosi legittimando le riforme scolastiche che si sono susseguite recentemente.

In questo modo i politici anziché tentare di capire che ruolo giocano questi risultati diversi, interrogandosi sullo scopo perseguito dal sistema d’istruzione, compatibilmente con le specifiche peculiarità culturali nazionali, concentrano tutte le loro politiche sullo sforzo di raggiungere i primi posti in classifica, trasformando l’istruzione e le scuole in aziende [26].

Ma, ancor più significativo a tal proposito, quanto sottolineato da Sjøberg e cioè che i rapporti OCSE-PISA hanno dato degli indirizzi politici volti a far superare le presunte difficoltà riscontrate da alcuni paesi per il loro posizionamento in classifica. Così, nel rapporto del 2008 per la Norvegia l’OCSE-PISA raccomandava di migliorare il rapporto costi-benefici attuando le seguenti indicazioni:
– chiudere gli istituti scolastici più piccoli per creare poli comprensivi più grandi
– aumentare il numero di alunni per classe
– aumentare il numero di verifiche strutturate (test) pubblicando sistematicamente i risultati
– agganciare i salari dei docenti ai risultati conseguiti dagli alunni.
Il rapporto, inoltre, evidenziava, continua Sjøberg, che stanziare altri fondi per il sistema scolastico non avrebbe portato alcun miglioramento [27].

Tuttavia, questa gara continua non si esaurisce mai e con essa la competizione, infatti una volta raggiunti i primi posti l’obiettivo successivo è dato dal mantenere quelle posizioni tanto faticosamente raggiunte, ciò significa, dice Uljens, che si tratta di una competizione senza fine perché in realtà non si raggiunge mai la meta. La conseguenza è dunque un’infinita condizione di incertezza.

Di fatto, competizione e insicurezza sono le due facce della stessa medaglia, la competizione implica un’insicurezza di fondo, mentre è nella natura umana prodigarsi per raggiungere una condizione di sicurezza, di salvezza che metta a riparo dalla precarietà per superare quel senso di angoscia e di inadeguatezza che ne deriva e allora, evidenzia Uljens, l’idea di lifelong learning più che un’opportunità si trasforma in un incubo, una condanna a vita [28].

Ma non finisce ancora qui, l’OCSE-PISA ha recisamente negato che ci possa essere alcuna relazione tra povertà e scarsi risultati conseguiti sui test [29], eppure dati alla mano le cose non stanno affatto come sostiene Schleicher.

2. CORRELAZIONE TRA DATI OCSE-PISA E POVERTA’

In realtà uno studio condotto da Christopher Tienken dimostra che la correlazione di fatto esiste. Tienken sostiene che i dati OCSE-PISA vengono interpretati in modo inesatto e per dimostrare l’attendibilità della sua tesi fa riferimento ai dati USA del 2012 [30], sottolineando che gli Stati Uniti, come paese si attestano al 29° posto della classifica OCSE-PISA ma, evidenzia Tienken, nel 2012, ben il 22%, sul totale complessivo della popolazione giovanile statunitense versava in stato di povertà. E questo, indubbiamente, fa una differenza sostanziale.

Tant’è che quegli istituti scolastici statunitensi con una popolazione giovanile in condizione di povertà sotto il 10% conseguiva risultati nella media degli altri paesi OCSE e, addirittura, come nel caso del Massachussetts, migliorando significativamente le prestazioni nazionali. Infatti prendendo in esame, Tienken nota, la parte riguardante i quesiti di matematica gli studenti di quello stato portano, con il loro punteggio di 520, gli Stati Uniti a scalare la graduatoria fino a raggiungere il 12°, un punto dietro all’Estonia quindi; e se, continua Tienken, dalla comparazione dei risultati si escludessero quelli conseguiti da Hong Kong, Macao e Shangai, in quanto non possono essere considerati rappresentativi della Cina, come si spiega più avanti, gli USA raggiungerebbero il 9° posto in classifica, dietro a nazioni come: la Svizzera, il Liechtenstein, i Paesi Bassi, il Giappone, la Corea e Singapore, tutti con livelli di povertà infantile sotto il 15% [31].

3. IL CASO CINESE

Ne consegue, dall’esempio riportato sopra, che la lettura dei dati varia sensibilmente a seconda delle scelte che si operano quando questi stessi dati vengono incrociati con altri. Il motivo per cui Tienken decide di non considerare i risultati delle rilevazioni OCSE-PISA conseguite da Hong Kong, Macao e Shanghai come rappresentativi della Cina nel suo complesso è da ricercare nelle caratteristiche specifiche di questi luoghi.
Innanzitutto, sostiene Tienken, riprendendo Levin, Macao e Hong Kong sono regioni della Repubblica del popolo cinese, dotate di amministrazioni speciali e i loro sistemi di istruzione sono del tutto diversi rispetto a quelli previsti per la Cina [32].

Quanto a Shanghai, si tratta di una città con 23 milioni di abitanti, di cui quasi 140,000 sono milionari, il che fa di Shanghai la terza città con la più alta concentrazione di ricchezza in tutta la Cina. La popolazione di Shanghai oltretutto è tra le più istruite e internazionali al mondo; circa l’83% degli studenti prossimi al diploma della secondaria, nel 2008, proseguirono con gli studi universitari, dati ufficiali del governo di Shanghai del 2013. Al contrario gli alunni poveri, benché residenti a Shanghai, non frequentano alcuna scuola, di questi ce n’è tanti che non possono nemmeno frequentarle dovendo, per legge, tornare nelle loro province di origine dove spesso vengono mandati dai genitori a vivere con nonni o altri parenti in condizione di indigenza [33].

Per quanto invece riguarda la Cina nel suo insieme, solo il 25% dei suoi diplomati prosegue con studi universitari [34], inoltre il 29% di tutta la popolazione cinese (392 milioni di abitanti) vive con due dollari statunitensi al giorno, o anche meno [35], in pratica più della totalità degli abitanti degli USA, e poiché le scuole secondarie in Cina non sono pubbliche e finanziate dallo stato centrale solo i figli delle famiglie più abbienti frequentano ancora la scuola a quindici anni. Infine, le zone rurali in Cina hanno un tasso di dispersione scolastica piuttosto alto, solo il 40% della popolazione giovanile complessiva frequenta scuole secondarie, di questa percentuale solo il 35-45% si diploma; mentre un buon 25% di studenti cinesi delle secondarie di primo grado lascia la scuola prima di arrivare al primo anno della secondaria di secondo grado [36]. Altro elemento importante né in Cina né a Shanghai alunni con bisogni educativi speciali vengono ammessi a frequentare le scuole [37].

Perciò, conclude Tienken, al momento i test OCSE-PISA vengono effettuati solo su una percentuale di studenti cinesi appartenenti alle classi più abbienti, e tuttavia ciò non impedisce a Schleicher di asserire, come riportato da Loveless [38], che le rilevazioni OCSE-PISA in Cina hanno interessato ben 15 province e persino alcune delle più povere hanno conseguito risultati nella media OCSE-PISA il che è alquanto sorprendente [39], pur tacendo il fatto non irrilevante, che la Cina ha fornito solo i dati relativi alle rilevazioni effettuate a Shanghai, perciò, continua Loveless, sarebbe opportuno che l’OCSE-PISA, nel rispetto della sua rivendicata trasparenza e oggettiva valutazione, rendesse pubblici gli accordi esistenti con la Cina che consentono a questo paese di scegliere quali dati fornire per una comparazione internazionale, scelta per nulla consentita ad altri paesi.

4. I DATI OCSE-PISA SONO ALL’ALTEZZA DELLE ASPETTATIVE CHE CREANO?

In merito alle aspettative create dall’OCSE-PISA e i suoi sostenitori, ancora Tienken fa notare che, se fosse vero l’assunto iniziale relativo ai risultati OCSE-PISA e cioè che i paesi con i risultati migliori dovrebbero anche avere uno sviluppo economico più avanzato o con prospettive superiori al resto dei paesi aderenti, confrontando agli USA i paesi che detengono posizioni in classifica più alte come la Lettonia, l’Estonia, l’Ungheria, la Slovenia, il Vietnam e la Polonia è più che evidente che ciò non corrisponde affatto al vero [40]. Semmai si potrebbe azzardare un’altra ipotesi che spiegherebbe, peraltro perché sono valutate le prestazioni di studenti di quindici anni il cui percorso di studio non è neanche lontanamente concluso e non si prendono invece in esame adulti con lauree o dottorati.

Stando così le cose, ovvero se nonostante i paesi OCSE che ottengono risultati eccellenti nei Test OCSE-PISA, o quelli che seguono pedissequamente le indicazioni di riforme di politiche scolastiche, e non solo, promosse dall’OCSE, come si è visto, non ottengono parimenti lo sviluppo economico promesso dall’OCSE e dalle sue previsioni sul futuro, c’è da chiedersi se le abilità, le qualità dei sistemi di istruzione e la loro efficacia siano misurati correttamente così come sostiene l’OCSE, o se non vadano riviste anche le abilità stesse prese in esame nelle rilevazioni OCSE-PISA?

Su questo punto Tienken nel suo studio fa notare per esempio che, se uno degli aspetti su cui si concentra l’OCSE è quello di favorire l’occupabilità della futura forza lavoro a livello globale e perciò punta alla valutazione dei quindicenni, ma allora come mai, si chiede Tienken , non c’è correlazione tra ciò che valuta l’OCSE-PISA e ciò che le grandi multinazionali – per la maggior parte statunitensi – ritengono essere qualità da ricercare nei loro potenziali impiegati? Quali sono appunto quelle abilità necessarie per affrontare le sfide del futuro di cui parla l’OCSE-PISA, non certo tenacia ed elasticità mentale, né capacità di collaborare; non misura alcuna consapevolezza culturale perché, di fatto, per presunti fini di equità tutti i quesiti OCSE-PISA vengono totalmente svuotati da specifici riferimenti culturali, epurati da eventuali questioni culturali controverse, né tanto meno le rilevazioni OCSE-PISA misurano capacità strategiche dei quindicenni o la loro empatia o compassione e nemmeno il pensiero critico, ovvero la loro capacità di pensare in modo difforme, fuori dagli schemi e di andare contro corrente.

Quindi se mettiamo a confronto tutto ciò che l’OCSE-PISA non misura con ciò che, invece, uno studio eseguito nel 2012, per conto di 1700 amministratori delegati in rappresentanza di 64 nazioni e 18 delle maggiori industrie, dalla multinazionale IBM si scopre che i dirigenti e gli impiegati in un contesto di economia globale devono possedere i seguenti requisiti [41]:
– capacità di innovare
– capacità di collaborare a livello internazionale tra addetti ai lavori e con la base dei loro clienti
– essere creativi
– capacità di cercare e trovare opportunità
– capacità di sfruttare la complessità a proprio vantaggio strategico
– essere comunicativi

Requisiti che, come si è delineato sopra, i test OCSE-PISA non misurano.

5. I TEST OCSE-PISA E IL PROBLEM-SOLVING IN CONTESTI VEROSIMILMENTE REALI

Su questa criticità delle rilevazioni OCSE-PISA pare essere d’accordo anche Sjøberg il quale sottolinea che, a dispetto di quanto dichiarato dall’OCSE-PISA, ovvero la volontà esplicita di ricreare situazioni di vita reale tramite i suoi quesiti per valutare l’effettiva capacità degli adolescenti esaminati di risolvere problemi che, in effetti, potrebbero emergere, egli nota che proprio la modalità di svolgimento dei test nega, di fatto, questa possibilità.

Infatti, continua, gli studenti valutati sono obbligati a rispondere al questionario in tempi contingentati senza avere alcuna possibilità di accesso a fonti quali libri, dizionari o le nuove tecnologie che, nella realtà concreta, sono di grande utilità per reperire informazioni, dati, approfondimenti per risolvere problemi ma che, soprattutto, sono gli strumenti necessari, attuali e imprescindibili nella vita reale [42]. Quindi, se ne deduce che non siano tanto le varie capacità sviluppate dai quindicenni l’oggetto principale delle valutazioni OCSE-PISA bensì le conoscenze acquisite che pure quest’organizzazione nega recisamente di voler valutare tanto è vero che i vari programmi scolastici sono del tutto ignorati così come non si tiene in alcun conto l’obiettivo perseguito da ciascun diverso sistema di istruzione che invece rappresenta il pilastro portante della struttura di base di ciascuno di essi.

6. IL SECONDO FINE DIETRO LE RILEVAZIONI OCSE-PISA

Da quanto esaminato fino adesso sorge il sospetto che vi sia in realtà un secondo fine dietro i test OCSE-PISA e l’analisi condotta da Uljens ci fornisce qualche conferma in merito. Del resto essa è pur sempre un’organizzazione il cui unico interesse è stimolare la crescita economica dei paesi membri perciò promuove un’idea di competizione globale e si adopera per favorire un’uniformità di sistema (COMMON STANDARDS) tra i paesi membri al fine di rendere, appunto, più semplici tutte le misurazioni, incluse quelle sui sistemi di istruzione che, come si è già detto, si tende a voler rendere omogenei, perché così diventano perfettamente funzionali al mercato globale.

Tutto ciò fa supporre, continua Uljens, che il secondo fine perseguito dall’OCSE possa essere di natura ideologica, ovvero una malcelata spinta di tutti i sistemi di istruzione dei paesi membri verso un modello di istruzione neoliberale che vede dunque la politica, l’economia e l’istruzione come fattori dipendenti gli uni dagli altri [43].

Dello stesso parere è anche Tienken e lo dimostra quando chiedendosi il motivo per cui il target di valutazione scelto dall’OCSE-PISA siano proprio i quindicenni alla luce del fatto, ribadisce Tienken, che se si intende, veramente verificare la qualità di un sistema di istruzione non si scelgono gli adolescenti come soggetti in quanto, ovviamente, il percorso di studi non si esaurisce certo a 16 anni, a meno che non è affatto la qualità dell’istruzione o della preparazione degli studenti di quindici anni per affrontare il futuro che si intende misurare, quanto piuttosto la loro capacità negoziale in materia di retribuzione sul mercato globale. Perciò non si tratta di competizione sul piano della preparazione quanto piuttosto sul piano salariale.

D’altra parte, come ben rileva Tienken, le multinazionali hanno un unico interesse e cioè massimizzare il profitto che è l’unico motivo per cui de-localizzano la loro produzione manifatturiera nei paesi in cui è più facile ottenere manodopera a basso costo pagando un operaio dai $ 2 ai $25 al giorno, pertanto non si tratta di essere competitivi in qualità e preparazione, piuttosto si tratta di una competitività salariale [44], nonché di flessibilità del lavoro, o, per meglio dire, la libertà assoluta di licenziare. Ne deriva che è del tutto infondato il sillogismo secondo cui migliori risultati sui test OCSE-PISA garantiscono migliori posti di lavoro nel futuro. Ne deriva inoltre, che c’è un ben definito progetto politico perseguito anche dai ferventi sostenitori dell’OCSE-PISA e cioè l’ideologia neoliberista.

7. LE MULTINAZIONALI DENTRO LE SCUOLE

Alla luce di quanto dimostrato sinora è logico supporre che la spinta al digitale come strumento principale per una presunta didattica innovativa non possa prescindere dalla volontà di agevolare l’ingresso nelle scuole delle multinazionali che proprio questi dispositivi producono, si pensi alla nuova moda dei BYOD (Bring your own device), o dei MOOC di google per preparare lezioni interattive e online [45], presentate come un’ulteriore opportunità offerta agli studenti di essere sempre in grado di rivedere una lezione per non restare indietro ma che, invece, potrebbe non essere altro che la resa totale a pratiche che si configurano più che altro come forme di indottrinamento occulte con un fine, come si è adombrato prima, fortemente ideologico volto non a sviluppare nei discenti il libero pensiero, bensì a veicolare un pensiero unico finalizzato a favorire quelle multinazionali che, oggi, sono i protagonisti di uno sfruttamento globale della forza lavoro sempre meno tutelata nella difesa dei diritti umani, ancorché di quelli del lavoro, come attestano molti fatti di cronaca che puntano l’indice contro aziende del calibro di Amazon, Foodora, o altre del settore sportivo o dell’abbigliamento.

Preoccupa ancora di più l’onnipresenza di Pearson-Longman [46], non solo con la sua vastissima produzione nell’editoria scolastica, ma persino per la sua collaborazione con l’OCSE-PISA, infatti è proprio questa multinazionale, con sede centrale a Londra, che si occupa in modo sempre più incisivo e invasivo dell’elaborazione dei quesiti per le rilevazioni OCSE-PISA, non solo ma fornisce anche servizi per le scuole primarie statunitensi, nonché per quelle in Africa dove, peraltro, l’OCSE-PISA si prepara ad introdurre, a breve, le sue rilevazioni [47].

Mi piace chiudere con una nota finale tratta dal lavoro di M. Uljens:

A final note, or wonder, concerning where PISA is or has been discussed the past years. Compared with the immense attention PISA issues have got in the public debate all over the world, and the impact it has had on governmental policies and school practices, it is fascinating how seldom educational researchers touch upon the topic in international research conferences and journal articles. If the observation is correct, which I do think it is, then it seems that we have two different worlds of educational debate which are not necessarily in touch with each other. Is this how things should be [48]?
Un’ultima annotazione, o perplessità, su dove i test OCSE-PISA sono o sono stati messi in discussione negli ultimo anni. Se paragoniamo l’immensa attenzione suscitata dalle questioni riguardanti l’OCSE-PISA nel dibattito pubblico mondiale e il conseguente impatto avuto sulle riforme scolastiche di governo, è quanto meno interessante notare quanto raramente la questione sia stata anche solo toccata da esperti in istruzione durante conferenze internazionali o su articoli in riviste specializzate. Se l’osservazione è corretta, e io credo che lo sia, allora sembra che vi siano due mondi diversi intorno al dibattito sull’istruzione che viaggiano su binari paralleli. È così che le cose dovrebbero essere? (La traduzione è dell’autore).

NOTE: Le note con il link nel testo sono collegate comunque a quelle di chiusura che trovate qui di seguito, quelle senza link sono incluse sono in quelle di chiusura qui di seguito.

  1. https://books.google.it/books?id=YYpjDQAAQBAJ&pg=PA477&lpg=PA477&dq=siljander+2007&source=bl&ots=PIyF_Ym8Tr&sig=p-AGNiypFZGO97QD2bvghKAIkeo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiJ6Kf7m-bWAhUD6xoKHWywA9IQ6AEISjAJ#v=onepage&q=siljander%202007&f=false, p. 447
  2. Rapporto OCSE, 2017 http://www.oecd-ilibrary.org/education/education-at-a-glance-2017/italy_eag-2017-54-en
  3. S. Sjøberg, PISA Global and Educational Governance – A Critique of the Project, its Uses and Implications, sottoposto e accettato per la pubblicazione nel dicembre del 2014
  4. M. Uljens, http://www.vasa.abo.fi/users/muljens/pdf/the_hidden.pdf
  5. https://www.ert.eu/members

I diktat della Fondazione sulla Buona Scuola di Stato

https://pensareliberi.com/2012/01/03/i-membri-italiani-della-trilateral-commission-e-il-gruppo-bilderberg/

http://www.disinformazione.it/Bilderberg2017.htm

  1. Cfr. M. Uljens, op. Cit.
  2. Ibidem
  3. Ibidem
  4. Heikkinen, p. 55 https://books.google.it/books?id=Dnc1hJuwbgIC&pg=PA53&lpg=PA53&dq=eu+documents+heikkinen&source=bl&ots=xIcKr0pohe&sig=92PxOfEYLrIXrfLesmufpfNvdv4&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjmlvbenObWAhXJPRoKHeBHAiEQ6AEIJzAA#v=onepage&q=eu%20documents%20heikkinen&f=false
  5. R. Calogiuri, http://www.archivio.ilfriuliveneziagiulia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2808:dietro-alle-prove-invalsi-un-disegno-preciso-delle-lobby-imprenditoriali-competenza-contro-conoscenza&catid=27&Itemid=134
    https://www.roars.it/online/fondamentalmente-errati-i-dubbi-della-bbc-sui-test-ocse-pisa/
  6. https://www.theguardian.com/education/2014/may/06/oecd-pisa-tests-damaging-education-academics
  7. https://lrcapuana.com/2015/09/17/trentanni-di-distruzione-della-scuola-pubblica/
  8. Fonte OECD, 1999
  9. Fonte OECD, 2007a
  10. Fonte OECD, 2009
  11. https://www.brookings.edu/research/the-2008-brown-center-report-on-american-education-how-well-are-american-students-learning/
  12. Fonte OECD, 2010
  13. Cfr. S. Sjøberg, op. cit.
  14. https://www.oecd.org/pisa/aboutpisa/OECD-response-to-Heinz-Dieter-Meyer-Open-Letter.pdf
  15. https://www.theguardian.com/commentisfree/2013/dec/01/dont-let-pisa-league-tables-dictate-schooling
  16. Cfr. S. Sjøberg, op. cit.
  17. Cfr. Letter Heinz-Dieter-Meyer, op. Cit.
  18. Cfr. S. Sjøberg, op. cit.
  19. Cfr. The Guardian, art. Cit.
  20. Cfr. M. Uljens, op. cit.
  21. Ibidem
  22. Cfr. S. Sjøberg, op. cit.
  23. Cfr. M. Uljens, op. cit.
  24. Cfr. Fonte OECD, Response to Heinz-Dieter-Meyer, art. cit.
  25. C. Tienken, http://christienken.com/wp-content/uploads/2013/01/PISA_ProblemsAASA.pdf  (p. 6)
  26. Ibidem
  27. D. Levin, http://www.nytimes.com/2012/11/22/world/asia/in-china-schools-a-culture-of-bribery-spreads.html
  28. https://www.theguardian.com/world/2013/dec/03/shanghai-china-oecd-education-ranking
  29. https://www.brookings.edu/research/pisas-china-problem/
  30. http://povertydata.worldbank.org/poverty/country/CHN
  31. Cfr. C. Tienken, art. cit.
  32. Cfr. T. Loveless, art. cit.
  33. Ibidem
  34. Cfr. The Guardian, art. cit.
  35. Cfr. C. Tienken, art. cit., p. 12
  36. Ibidem
  37. Cfr. S. Sjøberg, op. cit.
  38. Cfr. M. Uljens, op. cit., p. 9
  39. Cfr. C. Tienken, art. cit.
  40. R. LaTempa, https://www.roars.it/online/gli-insegnanti-lultimo-ostacolo-alla-rivoluzione-digitale-della-scuola/
  41. Cfr. Letter Heinz-Dieter-Meyer, op. Cit.
  42. https://www.theguardian.com/education/2012/jul/16/pearson-multinational-influence-education-poliy
  43. Cfr. M. Uljens, op. cit., p. 10

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2 Replies to “L’OCSE-PISA E IL DOGMA DEL NEOLIBERISMO CHE SOFFOCA L’ISTRUZIONE”

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