Gli esami di stato sono stati pesantemente ridimensionati dai crediti scolastici, introdotti per la prima volta nel 1998 e via via aumentati, sempre a scapito dell’esame.
Breve storia dell’esame di stato
Il vecchio esame di stato, previsto come tappa conclusiva del secondo ciclo di istruzione, una sorta di rito di passaggio per tutti gli italiani scolarizzati ha subito, specie in tempi recentissimi, una trasformazione continua e molto profonda. Ricordiamo, peraltro, che l’esame di stato è previsto dalla Costituzione all’art. 33.
L’esame di stato fu introdotto dalla riforma Gentile risalente al lontano 1923 era previsto solo per i licei classico e scientifico per i quali era un esame di maturità liceale che consentiva l’iscrizione all’università, agli studenti del liceo classico e scientifico, appunto. Era molto selettivo e classista, come era tutta l’impostazione di quella riforma e rimase in vigore, sostanzialmente invariato, fino al 1969 ad eccezione di leggere modifiche apportate nel 1951 dall’allora ministro Gonnella. È pur vero che il ministro Bottai nel 1942, durante la guerra, aveva già introdotto delle variazioni e addirittura nel 1943 fu reso necessario sostituirlo con i soli scrutini finali.
L’esame di stato cambia radicalmente dopo la stagione delle lotte studentesche
Ma è solo nel 1969, a seguito delle lotte studentesche del 1968, che ci fu una vera e propria rivoluzione, quindi, ben 66 anni dopo la sua prima introduzione.
Il merito di questa radicale trasformazione fu sicuramente quello di apportare maggiore equilibrio tra la verifica di una buona preparazione culturale dei candidati e lo sforzo di ridurre le disuguaglianze che invece la riforma Gentile promuoveva. L’esame fu, infatti, reso più snello e volto a indagare le conoscenze degli studenti in modo trasparente grazie ad una commissione composta da membri esterni, salvo la presenza di un unico membro interno; inoltre, a differenza del precedente, esso consentiva a tutti gli studenti di tutti gli indirizzi di studio l’iscrizione all’università. L’esame veniva considerato ancora una prova importante per i giovani che lo sostenevano per la serietà con cui veniva condotto.
Il nuovo clima sociale, a tratti anche fortemente conflittuale, che aveva spinto il democristiano Sullo, durante il suo breve ministero, sulla via delle riforme progressista darà poi un’ulteriore spinta alla stagione di grandi sperimentazioni didattiche dei primi anni ’70 avviando un percorso di democratizzazione interna alla scuola facendola diventare “scuola di massa” e favorendo l’alfabetizzazione di un paese che era ancora molto arretrato.
L’esame di stato e i crediti scolastici
Seppur, introdotto come sperimentazione e solo per un anno, rimase in vigore fino al 1998, quando con l’arrivo a V.le Trastevere di Lugi Berlinguer, primo governo Prodi, il sistema di istruzione italiano viene complessivamente deformato. Già il pacchetto di leggi Bassanini imprime una prima e sostanziale torsione “al sistema di istruzione italiano organizzandolo sulla base di una rete di istituzioni scolastiche dotate di autonomia” e stato giuridico, come si evince da un rapporto Eurydice, in concreto questo è il primo passo verso una scuola-azienda che la modifica all’esame di stato voluta da Berlinguer conferma, nella misura in cui con essa si introducono anche i crediti scolastici che concorreranno all’attribuzione del voto in sede d’esame.
Da sottolineare la terminologia usata: “crediti” che richiama un lessico di mercato, aziendalista appunto. Bene, inizialmente i crediti scolastici, da attribuire agli studenti a conclusione di ogni anno scolastico del triennio sulla base della media dei voti riportati in sede di scrutinio, erano contenuti (il massimo dei punti di crediti che si potevano raggiungere era di 20) e l’esame manteneva ancora una sua dignità (per l’esame si arrivava ad un massimo di 80 punti), ridimensionata, ovviamente.
Negli anni successivi invece il peso dei crediti scolastici è andato via via aumentando, mentre quello dell’esame di stato si è alleggerito sempre più, oggi, infatti, un candidato può essere presentato all’esame di stato con un massimo di 40 punti, mentre il punteggio massimo dell’esame è di 60 (20 per ciascuna prova scritta e orale).
Il paradosso: INVALSI esautora l’esame di stato
Verrebbe quindi da pensare che sia diventata una mera formalità, per di più in netta concorrenza con i risultati conseguiti dagli studenti nelle prove INVALSI (la partecipazione a queste rilevazioni è ormai diventata obbligatoria per tutti i maturandi ai fini dell’ammissione all’esame), il cui punteggio, sebbene non incida formalmente nell’attribuzione del voto conseguito all’esame di stato, a differenza dei crediti scolastici, viene comunque ritenuta una certificazione se non obbligatoria, ma richiesta dalle università all’atto dell’iscrizione.
Ne consegue che la valutazione di un ente terzo acquisisce nella prassi maggiore credibilità rispetto a quella espressa da una commissione di docenti della scuola pubblica e statale. In parole povere il valore legale del titolo di studio diventa, sostanzialmente, nullo; la prassi, dunque, che s’impone sull’ufficialità della legge esautorando anche il potere dello Stato che sulle leggi si fonda.
Ai crediti scolastici si sommano anche i cosiddetti crediti formativi (in misura sicuramente irrisoria, ma è il principio che conta) che gli studenti possono ottenere tramite certificazione rilasciata da associazioni di volontariato (sic!), sportive o più in generale appartenenti al terzo settore. Purché l’attività svolta sia inerente all’indirizzo di studio.
I crediti scolastici e non il voto numerico creano ansia e stress agli studenti
Ma i crediti scolastici non rappresentano solo un meccanismo perverso che depotenzia il valore intrinseco dell’esame di stato. Essi sì che costituiscono il motivo per cui oggi, molto più che in passato, gli studenti si affannano ad ottenere voti alti e il voto, non la preparazione culturale e disciplinare, assurge a fine da conseguire.
A differenza, infatti di quanti molti vanno dicendo, non è il voto in sé a costituire importanza, bensì ciò che esso rappresenta alla fine di ogni anno scolastico del secondo biennio e dell’ultimo anno delle superiori. Il credito scolastico scaturito dalla media dei voti conseguita allo scrutinio.
Inoltre, ogni anno scolastico non è più, com’era prima, un momento a se stante che poteva andar bene oppure, qualche volta, male ma l’anno dopo si cominciava da capo e se anche si fosse vissuto un periodo negativo, una volta superato non rappresentava un’eredità. Al contrario, con l’attuale sistema gli studenti ogni anno scolastico degli ultimi tre si porta dietro un’etichetta che non si scrolla di dosso perché rappresenta il loro vissuto in quegli ultimi tre anni e se anche uno solo di questi anni è stato accidentato – sappiamo bene quante difficoltà possano attraversare gli adolescenti durante questa loro fase di vita tanto delicata e pregna di alti e bassi – ne porterà i segni e non potrà azzerare tutto e riprendere il cammino senza strascichi. Gli strascichi saranno certificati dai crediti scolastici, fonte di ansie crescenti per i voti.
La polemica sull’abolizione del voto numerico non sfiora minimamente i crediti scolastici
Negli ultimi mesi si è discusso tanto di valutazione formativa Vs valutazione sommativa che, per i non addetti ai lavori, significa che c’è chi dall’alto del suo piedistallo tuona contro la valutazione numerica che vorrebbe fosse sostituita anche alla secondaria di secondo grado – è stata già sostituita alla primaria, con somma gioia da parte dei docenti “brutti e cattivi” – con una valutazione descrittiva.
Nello specifico vuol dire che anziché attribuire un voto da 1 a 10 per ogni verifica periodica lungo tutto il corso dell’anno, al suo posto ogni verifica di ogni singolo studente dovrebbe essere accompagnata da una descrizione discorsiva e ben argomentata, al fine, sostengono quelli sul piedistallo, di fornire agli studenti un riscontro più comprensibile dei loro punti di forza e di debolezza. Ma soprattutto allo scopo, dicono sempre dal piedistallo, di non studiare per il voto che sarebbe nocivo per il sereno processo di apprendimento.
Immaginiamo cosa possa voler dire per un docente con cinque e più classi, composte da un numero di studenti che va da 25 a 30 circa, compilare per iscritto note descrittive per ogni singola verifica, per ogni singolo studente: una delirante e folle mole di lavoro senza alcun costrutto serio. Ora, lasciamo da parte il fatto che tutto ciò si fa già (salvo casi che non costituiscono la norma), ovvero che ogni voto, sia per una verifica scritta che per una orale, viene sempre debitamente motivato e spiegato; lasciamo da parte pure il fatto che il voto numerico è una mera convenzione e il suo scopo è di certificare una prestazione e mai lo si intende come un voto alla persona (tranne, appunto, rari casi per i quali servirebbe un’ispezione); lasciando da parte, dunque, tutto questo, appare più che evidente che l’intera diatriba si riduce più semplicemente a questione di lana caprina.
Infatti, se così non fosse e quelli sul piedistallo avessero davvero a cuore il benessere degli studenti e il loro apprendimento nel senso più profondo non si occuperebbero del voto numerico e basta.
Si preoccuperebbero invece di un meccanismo perverso che, quello sì, è a totale detrimento della serenità degli studenti e che li spinge a studiare “per il voto”. Eppure, quelli sul piedistallo di crediti scolastici non si occupano, né se ne preoccupano mai. Mai, infatti, si sono sentiti tuonare con la stessa vibrante commozione contro i crediti scolastici, ma nemmeno contro il sovraffollamento delle classi.
Ma costoro stanno sul piedistallo e noi docenti siamo “brutti e cattivi”!
© L. R. Capuana