LE DISUGUAGLIANZE INDOTTE E RIVENDICATE
Imperversa sul web lo scandalo destato a tutti i livelli dal RAV (Rapporto di Auto-Valutazione) di alcuni dei più prestigiosi licei classici delle più importanti città italiane.
Il RAV è un documento che tutte le scuole del paese sono tenute a compilare (si tratta, infatti, di una serie di moduli preconfezionata da parte del MIUR a cui bisogna dare risposta, in alcuni casi secca senza chiarimenti e dettagli) e rendere pubblico (per ragioni di trasparenza, si dice).
Lo scandalo è dovuto principalmente all’effetto prodotto dalla raccolta e pubblicazione di dati inerenti alla popolazione scolastica e alla loro provenienza socio-economica. Se ne trae un’impressione di pubblicità razzista e classista. Ma non si tratta solo di mera impressione poiché, in effetti, la popolazione scolastica degli istituti incriminati si delinea come di provenienza socio-economica medio-alta. L’aspetto più singolare è che dai RAV pubblicati le suddette scuole facciano vanto di una siffatta omogeneità di studenti e la utilizzino per attrarre ancor più discenti appartenenti ai ceti abbienti sottolineando peraltro come siano quasi del tutto assenti alunni stranieri o diversamente abili, anche questi due dati vengono promossi come fattori che garantiscono un alto livello di qualità dell’offerta formativa proposta da questi istituti.
Sembra quasi dicano che la presenza di alunni stranieri, con disagio economico o disabilità varie possano essere invece fattori che determinano un livello di qualità sicuramente inferiore.
E loro, vivaddio, ne sono esenti!
IL VERO SCANDALO E’ L’AUTONOMIA SCOLASTICA
Personalmente trovo scandaloso che l’opinione se ne accorga solo ora, di fatto questo è lo stato dell’arte delle scuole italiane da ben vent’anni. L’autonomia scolastica, introdotta dall’art. 21 della prima legge Bassanini, L. 59/1997, determina il demansionamento delle scuole italiane a cui assegna personalità giuridica (tradotto significa l’accorpamento degli istituti scolastici con un numero di studenti inferiori a 500 sotto un’unica presidenza, anche se in comuni diversi, in alcuni casi la totale chiusura di certi istituti), mentre l’art. 4 del D.P.R. 275/99 introduce il POF (Piano dell’Offerta Formativa) la cosiddetta carta d’identità delle varie istituzioni scolastiche che deve garantire ai potenziali studenti una scuola di qualità attraverso proposte mirate che tengano conto delle esigenze delle famiglie, delle richieste degli studenti e della fattispecie dei territori in cui le scuole insistono.
Detta così sembra una cosa bella, peccato però che si innesca un meccanismo perverso, le scuole iniziano a farsi concorrenza tra loro per accaparrarsi il maggior numero di studenti, da un lato per non perdere la presidenza, dall’altro, e ancor più importante, per garantirsi un adeguato finanziamento statale che avviene in base al numero degli iscritti e al successo conseguito dagli studenti. Si dice razionalizzazione della spesa e si ottiene, con tutta evidenza, un minor numero di bocciature per non risultare troppo esigenti rispetto ad altre scuole e tenersi stretti gli studenti – a questo punto diventati però clienti -, evitando di chiudere battenti.
Questa è la realtà dei fatti, il RAV grazie alla L. 107/15 è diventato lo strumento attraverso il quale gli istituti scolastici dimostrano al MIUR i loro punti di forza ed elaborano il piano di miglioramento per eliminare i punti di debolezza in una perenne ricerca della perfezione perché allo slancio di miglioramento, come a quello di crescita economica, non c’è mai fine.
Tutto ciò, come si è detto, è un processo in atto che si dipana dal lontano 1997 e le riforme scolastiche che si sono susseguite nell’arco di questi decenni non hanno fatto che rafforzare questa filosofia di fondo in modo trasversale. E’ la scuola-azienda, bellezza che deve competere sul mercato dell’istruzione. E le scuole in questi anni si sono adeguate, molte lo hanno fatto anche con piacere senza rendersi conto della deriva in corso, o forse hanno cavalcato l’onda pensando di crearsi una nicchia di prestigio per guadagnarsi una bella medaglia da appuntarsi al petto, il petto di tanti docenti che, tutto sommato, non disdegnano certi privilegi di classe.
IL DIRITTO ALLO STUDIO TRADITO
Tuttavia solo ora l’opinione pubblica ne prende atto, meglio tardi che mai, eppure sorprende ancora che anziché individuare il reale significato di tutto ciò, si punta il dito contro il liceo classico reo di essere razzista e fascista e ancor più sorprendente c’è chi sostiene che lo è sempre stato, il liceo classico classista, e quindi va abolito.
Ora, al di là dei vari POF e dei vari RAV, la realtà è ben diversa e cioè, a parer mio, che è la società ad essere razzista, fascista e dunque classista, ma forse neanche tanto. E’ indubbiamente vero, come ho letto in alcuni commenti sui social, che i genitori sceglieranno le scuole migliori da far frequentare ai propri figli, mi pare una scelta più che naturale. Quale genitore potrebbe desiderare di mandare il proprio figlio o la propria figlia in una scuola di periferia, difficile e frequentata da ragazzi disagiati da tutti i punti di vista? Nessuno. E come dargli torto? Pertanto non si tratta solo di società classista, se potesse anche la famiglia meno attrezzata economicamente desidererebbe che i figli potessero realizzare i loro sogni, come tutti.
E allora il punto è proprio questo, come recita la nostra costituzione:
Art. 34 – Costituzione della Repubblica Italiana
La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
E ancora:
Art. 3 – Costituzione della Repubblica Italiana
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ecco, allora le domande da porsi sono: cosa fa effettivamente lo Stato italiano oggi per rimuovere gli ostacoli di cui sopra, come realizza la rimozione di quegli ostacoli? Come può rimuovere quegli ostacoli se non tutti i suoi cittadini sono messi nella condizione effettiva, e non solo auspicata, di avere accesso a tutti gli indirizzi scolastici seguendo le proprie attitudini e aspirazioni; come può realizzare quei sacrosanti principi se tanti istituti scolastici sono relegati in periferie disagiate che, di fatto, sono dei ghetti dove rinchiudere la parte più debole della società?
IL CLASSICO E’ CLASSISTA. ABOLIAMO IL CLASSICO!
La risposta, a mio avviso, non è certo di abolire il liceo classico bensì di far sì che tutti coloro che lo desiderano possano frequentarlo con profitto e soddisfazione a prescindere dalla loro provenienza socio-economica. La risposta è far sì che la scelta dell’indirizzo scolastico sia davvero libera per tutti, anche per coloro i quali il classico non rappresenta nulla e il loro desiderio è invece di poter frequentare un istituto tecnico o professionale, senza perciò rinunciare alla qualità dell’offerta formativa ché al contrario dovrebbe essere garantita a tutti i discenti italiani di qualsiasi scuola di ogni ordine e grado.
Come? Riducendo innanzitutto il numero di alunni per classe, garantendo a tutte le scuole del paese infrastrutture adeguate e sicure da ogni punto di vista, garantendo servizi, dispositivi tecnologici e laboratori funzionanti ed efficienti per tutti e allo stesso modo, attraverso fondi statali. Abolendo l’autonomia e liberando le scuole dall’ansia di concorrere sul mercato, di procacciarsi fondi – magari chiedendo agli studenti contributi volontari, una richiesta che molto spesso diventa obbligatoria in contraddizione assoluta con il dettato costituzionale e anch’essa fonte di disuguaglianze sociali e territoriali – di stipulare convenzioni e consentendo a tutte le scuole di tornare a fare ciò per cui la scuola esiste: dare un’istruzione di qualità a tutti i cittadini futuri di questo sbalestrato paese.