Telemachia, di R. Calogiuri

Proprio come la Telemachia dell’Odissea, ovvero i suoi primi quattro libri, anche Telemachia romanzo di Roberto Calogiuri, uscito a maggio per ComunIcare Edizioni,  è un romanzo di formazione che consiglierei a tutti gli adolescenti.

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“Telemachia” di R. Calogiuri, ComunIcare Edizioni – Pordenone; pp. 175, € 12,00. Acquistabile online anche presso IBS.

Il protagonista è Telemaco e quindi è dal suo punto di vista che l’autore osserva l’assenza di Ulisse da Itaca. La vicenda ruota attorno alla crescita del protagonista passando dall’infanzia alla giovinezza fino all’età adulta e mettendo in luce i cambiamenti che contrassegnano i tre momenti di passaggio e le difficoltà ad essi connessi tra il rifiuto e, allo stesso tempo, l’ansia di crescere.

I fatti vengono narrati in media res da un Telemaco ormai vecchio per sottolineare che è solo con il senno di poi che si può comprendere e fare pace con se stessi, districarsi tra le maglie fitte di emozioni e sentimenti che, come tessere di un mosaico intricato e complesso, trovano naturale sistemazione e senso solo a fine lavoro.

E’ anche un romanzo che indaga nel profondo i rapporti intergenerazionali e, nello specifico, quello tra padre (un padre assente) e figlio, ma allo stesso tempo il rapporto con la difficile gestione del potere. Telemaco è il re di Itaca ed è ossessionato dagli incubi  che lo tormentano, ora che è vecchio, per la violenza e ferocia di cui si è servito per liberarsi dall’assedio dei Proci.

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Riandando a ritroso nella memoria Telemaco ripercorre, con maggiore enfasi, i suoi primi vent’anni e, dall’idolatria infantile che nutre nei confronti del padre assente e perciò idealizzato, piano piano inizia a vedere il padre per ciò che è, rifiutando dapprima questa rivelazione e sentendosi in colpa per le sue riflessioni scaturite dalle informazioni che raccoglie e poi venendo a patti con i difetti e la natura stessa di Ulisse che, peraltro e in parte, osserva anche in se stesso.

Se da bambini, dunque, i genitori rappresentano la perfezione per i figli, sono le figure cui aspirano a somigliare, c’è piena identificazione; crescendo e durante l’adolescenza, in particolar modo, i genitori diventano figure ingombranti da cui i figli hanno bisogno di prendere le distanze e diventa quasi necessario scaraventarli giù dal piedistallo su cui da bambini li si è innalzati. Attraverso questa demolizione del mito dei propri genitori che, quasi inevitabilmente passa attraverso una fase di amore-odio spesso difficile da gestire per le emozioni che scatena, si giunge alla piena comprensione che non c’è simbiosi e che i genitori sono anch’essi persone, individui diversi da sé, l’emancipazione degli adolescenti è, come racconta l’autore nella sua narrazione del viaggio che compie Telemaco alla ricerca di informazioni sulla sua sorte del padre prima a Pilo e poi a Sparta, una nuova nascita.

Una rinascita per certi versi traumatica perché gli impone di riconoscere e accettare la caducità umana di chi lo ha generato, e con essa tutto quel bagaglio di vita che contraddistingue ogni individuo e perciò anche Ulisse, quindi difetti, gesti, scelte e azioni che non sempre gli fanno onore e che, talvolta, al contrario, fanno vacillare l’ammirazione che Telemaco prova per il padre facendolo arrossire di vergogna; ma è solo dopo aver fatto i conti, prima con lo stupore, poi con il giudizio spietato e, infine con l’accettazione della realtà che è diversa da come l’aveva immaginata che Telemaco approda all’emancipazione e anche lui, come ogni figlio, metaforicamente, uccidendo la perfezione ideale incarnata dal padre durante l’infanzia diventa adulto e può accettare la propria essenza umana e la propria esistenza imperfetta senza competere più con un dio immaginario di sua invenzione.

L’opera di Roberto Calogiuri allora non può non farmi tornare in mente L’isola di Arturo di E. Morante per l’analogo percorso di crescita compiuto dai due protagonisti entrambi costretti a ridimensionare la loro adorazione infantile per i rispettivi genitori vissuti, inizialmente, come semi-dei e poi, lentamente spogliati dal velo di Maya che li rendeva così incantevoli agli occhi dei due ragazzi, essi si rivelano in tutta la loro nudità e perciò in tutto il loro umano egoismo di padri assenti persi nella loro personale ricerca. Da un lato l’inseguimento del loro piacere e della soddisfazione di un “io” sopra le righe e, dall’altro, la ricerca di significati sfuggenti.

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Quando entrambi i protagonisti, Arturo e Telemaco, comprendono di aver idolatrato due individui che nulla hanno di eccezionale e di eroico ma che anzi i loro idoli sono uomini come tanti e per certi versi contrassegnati da debolezze e fragilità, persino più meschine di altre, si accorgono di non avere nulla da temere e che la forza per emanciparsi alberga in loro ed è dentro di loro che devono cercare per emergere come individui adulti e pronti ad assumersi le loro responsabilità.

Telemachìa e L’isola di Arturo raccontano proprio la crescita e la trasformazione di due ragazzi, ma se quella di Arturo è una crescita in solitario, dove forse è l’isola a fare da controcanto a quanto lui sta sperimentando dentro e rappresenta anche l’immagine del luogo incantato che è poi l’adolescenza, quindi Procida è una sorta di madre benigna che in silenzio e con i suoi bagliori e la sua bellezza assoluta mostra ad Arturo piano piano la verità che lui vorrebbe non vedere, la scoperta della vera natura del padre, Willhelm Gerace, suo idolo indiscusso che annega nella miseria umana di meschine debolezze e spregevoli sottomissioni.

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Telemaco invece in questa sua ricerca di sé e di comprensione del padre è accompagnato da tanti anziani, ancora fedeli ad Ulisse e il cui ritorno anch’essi attendono con trepidazione, e che lo guidano con la loro esperienza. Nel caso di Telemaco inoltre, gli indizi che la sua idea del padre è fuori misura gli giungono dall’esterno quando i Proci si insediano a casa sua mettendo chiaramente in discussione Ulisse e la sua autorità. Man mano che cresce Telemaco è costretto a mettersi alla prova per contrastare la baldanza dei pretendenti la mano di Penelope e che insidiano il trono di Itaca, estromettendo proprio lui dal posto e dal ruolo che dovrebbero appartenergli. E’ in questo vuoto di potere che Telemaco deve inserirsi dimostrando, innanzitutto a se stesso, di esserne in grado e allora il viaggio da lui compiuto in cerca di notizie del padre simboleggia il rito di iniziazione per dimostrare a se stesso di essere pronto a prendere decisioni e assumersi il carico del proprio destino, infatti torna diverso, più risoluto e determinato.

Al rientro dal suo viaggio e dopo aver superato incolume tranelli e pericoli Telemaco si sente forte e pianifica la disfatta dei Proci con acume; è impaziente di mettere in atto il suo piano quando, inaspettatamente, si trova davanti Odisseo dapprima ha un moto di antico trasporto, poi lentamente capisce di essere contrariato del ritorno del padre, proprio ora che lui finalmente aveva trovato la forza di reagire e di agire, soprattutto. L’attimo in cui si trova al cospetto di quel padre tanto desiderato non è affatto come lo ha sognato migliaia di volte, anzi le circostanze, il contesto sono del tutto diversi, lui è diverso. Non è più un fanciullo ma è diventato uomo e l’azione che segue fugherà ogni dubbio, seppur con l’aiuto del padre.

Il racconto che prende spunto dall’Odissea, restandole fedele, è tuttavia molto attuale perché mai come in questo nostro tempo gli adolescenti si trovano di fronte allo smarrimento della crescita  e una contrapposizione generazionale solo apparentemente più liquida e che, sebbene oggi sia, in tanti casi, priva di antagonismo aperto e scontro, genera comunque confusione proprio per via di confini non più ben delineati come in passato e senza una vera e propria lotta per imporsi quali individui autonomi nei confronti degli adulti.

La scrittura di Calogiuri attinge alla tradizione classica riscontrabile anche nell’eco della sua lingua per distaccarsene con delicatezza attraverso i monologhi interiori del protagonista, alternati da una narrazione in terza persona che stempera il pathos.

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© L. R. Capuana

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