Anna Karenina – Lev Tolstoj

 

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L’estate scorsa senza una vera ragione ho riletto, dopo tanti anni dalla prima volta, Anna Karenina, avrò avuto, allora, circa vent’anni. Come sempre capita la lettura è anche plasmata dalla nostra esperienza di vita e così è stato come leggere un altro libro. Le sensibilità variano a seconda dell’età e anche grazie alle conoscenze e al sapere acquisito, stratificato e assimilato in tanti anni, non può che essere così e tante opere letterarie andrebbero rilette periodicamente per verificare anche quanto siamo cambiati noi lettori. Per i classici, secondo me, è ancora più necessario.  Non solo per poter penetrare un tempo storico che non ci appartiene più, bensì proprio perché quella  narrazione che via via tesse la tela di un mondo andato ci insegna tanto anche di ciò che è il presente e perché esso è come è.
L’opera letteraria si misura, dunque, con quanto è capace di dirci anche del presente seppur rappresentando il passato. E’ ciò che Tolstoj fa perché ha saputo infondere ai suoi personaggi uno spessore senza tempo, la sua analisi interiore dei suoi personaggi trascende le dimensioni spazio-temporali rendendoli attuali seppure il contesto storico-sociale in cui essi si muovono e agiscono appare, a prima vista, diverso da quello in cui viviamo oggi.

Ma questa è, appunto, solo un’impressione superficiale in quanto le ragioni che spingono gli individui ad agire in un modo piuttosto che in un altro sono sempre le stesse. La grandezza di un vero artista sta, allora, nella sua capacità di trasporre la realtà, di cui è testimone e osservatore profondo, nella sua stessa rappresentazione che si rinnova ogni volta che qualcuno s’immerge in essa attraverso l’atto della lettura. Pertanto, si può dire che l’arte rende la vita immortale. Ogni volta che io, o chiunque altro, s’inoltrerà in quell’universo rappresentato da Tolstoj, Anna e tutti coloro che le ruotano intorno torneranno a vivere volta per volta e con essi il loro artefice.
Durante la lettura rimango incantata dal modo in cui è tutto orchestrato, un gioco ad incastro perfetto, dove azioni e pensieri dei personaggi s’incontrano, si influenzano, si condizionano e ne determinano eventi, cause ed effetti attraverso la loro interazione inconsapevole, a volte, a loro stessi ma ben presente al narratore onnisciente dietro cui si cela sapientemente l’autore. Egli costruisce parola per parola non solo l’intreccio ma un’atmosfera, tutto un mondo complesso e vario ma, allo stesso tempo, composito. Ogni scena, ogni parola espressa o pensata, ogni dettaglio è funzionale, necessario a quanto accade nel libro, ed è un romanzo corale, un affresco sì di un preciso periodo storico, di un mondo e della Russia di quel tempo, ma è soprattutto un romanzo su e dell’uomo con tutte le sue contraddizioni, quindi, vivo.

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Man mano che m’inoltro nelle sue pagine mi accorgo, che a differenza della prima volta, non è tanto la storia tra Anna e Vronskij che cattura la mia attenzione, storia che è per certi aspetti banale, persino squallida soprattutto per il comportamento del conte che, ben presto, si rivela un materialista e un opportunista, piuttosto è la sua contrapposizione a quelle di altri personaggi che non sono propriamente di contorno, infatti oggi trovo molto più interessante lo sviluppo del personaggio di Levin e le sue considerazioni e analisi sull’ipotesi di adottare in agricoltura mezzi di coltivazione più razionali che sono già una realtà collaudata in Inghilterra. Una razionalizzazione che in Russia è ostacolata dai contadini che fanno fallire ogni tentativo d’innovazione anche quelli che migliorerebbero le loro condizioni di lavoro rendendole meno faticose e lasciandogli più tempo libero. Levin non si spiega perché i contadini salariati sono così ostili ai cambiamenti che porterebbero benefici anche a loro, però, a differenza di altri proprietari che tornerebbero volentieri all’uso della forza per imporre la loro volontà di padroni come avveniva ai tempi della servitù della gleba, lui osserva quanto avviene, consulta libri e inizia a penetrare ciò che appare il mistero della natura umana che configura, secondo i più, i contadini russi come esseri inferiori.

L’opera allora si arricchisce di personaggi minori al fine di sviluppare e contrapporre le varie tesi, tutte molto interessanti circa la riforma agraria; l’autore fa in modo, con questo procedimento, che Levin confronti le sue opinioni, inizialmente indefinite, con quelle di chi pensa di aver capito tutto, o di chi si limita ad enunciare tesi di altri senza apportarvi alcun contributo personale sostenuto da analisi proprie basate sull’osservazione diretta della sua gente e così delinea anche tipi umani caratterizzati da superficialità che si accontentano di riportare pensieri presi qua e là pur di fare impressione sui loro interlocutori.

Tolstoj non si limita ad imbastire una trama, un intreccio, una storia, questa è la parte più facile perché in realtà la trama serve per costruirvi attorno tutto un mondo, un periodo storico ben delineato; per scavare nella natura umana, materia necessaria per creare personaggi, la trama è utile come ossatura per indagare sulle questioni che gli stanno a cuore come intellettuale.

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Infatti nel caso specifico l’adulterio è l’argomento solo apparente, perché attorno ad esso ruota l’ipocrisia della società del tempo, le regole sociali che rendono la donna subalterna all’uomo e che, anche a causa della loro educazione e dell’ambiente in cui vivono, sono condannate, in un modo o nell’altro, all’infelicità o alla menzogna, ma sono sempre succubi. Sempre un passo indietro all’uomo a cui devono per forza affidarsi senza possibilità di scelta.

Emblematico in questo senso è il dialogo che intercorre tra Dolly e Levin, durante il quale Dolly, cognata di Anna, tenta di spiegare a Levin le ragioni che hanno indotto la sorella Kitty a credersi innamorata di Vronskij. Levin, geloso e offeso per il comportamento della ragazza di cui è innamorato rifiuta di avere altri rapporti con lei ma Dolly, sicura che Levin possa essere il marito ideale per Kitty, fa del suo meglio per fargli capire lo stato d’animo reale di Kitty quando lei rifiuta la sua proposta di matrimonio.

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Levin e Kitty – http://www.youtube.com

“… voi soffrite solo per l’amor proprio offeso…”
“Sì, ora capisco tutto” continuò Dolly. “voi non potete intendere certe cose. Voialtri uomini avete la libertà della scelta e potete rendervi meglio di noi conto dei vostri sentimenti. Ma la ragazza deve attendere con la timidezza che le è propria, la ragazza è ignara della vita e crede ciecamente alle parole. Talvolta i sentimenti di una fanciulla sono così incerti e confusi, che ella non è in grado di pronunciarsi.”
“Già, quando il cuore non parla …”
“Anche se il cuore parla … Pensate un poco: voialtri uomini, se avete preso di mira una fanciulla, come agite? Ne frequentate la casa, cercate di conoscerla meglio, l’osservate, esitate, studiate bene se avete trovato proprio la donna che potete amare; poi, quando ne avete la certezza, fate la domanda …”
“No, non è proprio così.”
“In ogni modo, fate la domanda quando il vostro sentimento si è ben definito, quando tra le fanciulle ne avete prescelta una. Invece, alla ragazza, non si lascia la possibilità di fare la sua scelta liberamente: ella deve rispondere un «sì» o un «no».”
«Già, la scelta fra me e Vronskij» pensò Levin, e l’amore, un momento prima risuscitato nel suo cuore, parve morire un’altra volta, premendo quel cuore con un peso insopportabile.
“Daria Aleksandrovna, in codesto modo si può scegliere un vestito o qualunque altra cosa, ma non l’amore! La scelta è stata fatta, e tanto meglio … Non si torna indietro.”
“Ah, l’orgoglio! L’orgoglio!” Disse Dolly con rimprovero, quasi volesse alludere alla bassezza di questo sentimento in confronto d’altri sentimenti, alti, conosciuti solo dalle donne. “Quando avete fatto la proposta a Kitty, ella si trovava in un momento di incertezza, ed era incapace di darvi una risposta. Esisteva allora nella sua scelta: voi o Vronskij. Vedeva quell’uomo ogni giorno, mentre, voi, non vi vedeva da molto tempo, certo, se non fosse stata così giovane … ”

E’ interessante soprattutto l’analisi che Dolly fa delle reali condizioni della donna in generale, dettate dalle convenzioni sociali del tempo, ed è durante questa conversazione che emerge il destino ineludibile di Anna che a quelle condizioni sociali si ribella e perciò viene punita.

ANNA E VRONSKIJ – La trama

La vicenda è nota, Anna Karenina è una donna dell’aristocratica Russia, bella, colta e ammirata da tutti nel suo cerchio sociale. Annoiata e insoddisfatta del suo matrimonio  allo stesso tempo lo accetta senza farsi alcuna illusione, appare inizialmente ben conscia della sua posizione e pur dando segni di sottile insofferenza e ben celata irritazione a quel mondo appartiene e non pensa affatto di sottrarsi alle sue responsabilità di moglie, ma soprattutto di madre. Tant’è che inizialmente sfugge alle attenzioni sempre più insistenti di Vronskij. Finché non cede.

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The Vienna Review

Ma Anna vuole restare fedele a se stessa e tenta in ogni modo di regolarizzare la sua unione extra-coniugale, Anna non si accontenta di una banale storia clandestina ed esorta il marito a concederle il divorzio. Al contrario, Karénin si oppone e pretende che la moglie salvi le apparenze per non guastare la sua reputazione di irreprensibile funzionario. Accetterebbe persino la relazione della moglie con Vronskij purché si mantengano le convenzioni sociali.

Ormai bersaglio di critiche e pettegolezzi Anna si ritrova irretita in una situazione senza via di uscita. Emarginata e isolata da tutti lentamente scivola verso la depressione per una colpa di cui solo lei, agli occhi del suo mondo, è oggetto. Nel frattempo la sua forza d’animo viene meno mentre si vede sempre più in balìa degli eventi e del volere altrui. Si accorge che Vronskij la evita e, costretto a rinunciare alla carriera militare e alla vita di corte per causa sua, mostra tutto il suo disappunto, la sua smania di occuparsi mostra con tutta evidenza quasi subito che il loro amore non può bastargli, se per Anna quell’amore è diventato il centro di tutto, è lei che viene allontanata da tutti, per lui non è così, in quanto uomo ha bisogno di occuparsi di altro e ciò rende Anna insicura e timorosa del proprio futuro. Teme di perdere il suo amore e con esso ogni equilibrio, ogni sostentamento; inoltre, per stare con lui, sfidando tutte le convenzioni, lei è costretta a rinunciare al figlio e questo immane sacrificio le impedisce di provare e dimostrare attaccamento nei confronti della bambina avuta da Vronskij, quasi che non potendosi occupare del figlio come conseguenza delle sue scelte si autopunisce negandosi l’amore per la figlia. Di fatto questo amore su cui lei investe tutta se stessa e che tenta di vivere senza inganni e menzogna è la sua rovina totale e la cui unica via d’uscita lei intravede nella propria morte. La vita di tutti gli altri continua e lei cade nell’oblio, il ricordo che ne rimane è di una donna perduta ma non tanto per il tradimento compiuto verso il marito quanto per la sfida alle convenzioni sociali. Se lei anche avesse continuato la sua relazione mantenendo salve le apparenze non avrebbe subito la condanna che, invece, le è toccata mettendo in discussione l’ordine sociale precostituito. È questa la sua colpa.

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Povera Anna messa al bando e condannata da tutto il suo mondo porta su di sé il marchio di donna perduta solo perché donna. Ciò che ne determina la totale esclusione dal suo ambiente e, quindi, la sua morte sociale è solo il suo essere donna, e tanto più intensa è la sua ribellione, tanto più determinata la sua lotta contro regole sociale ingiuste, tanto più ostinata la sua volontà a non cedere, a non rassegnarsi tanto più violento è l’ostracismo che le viene riservato. Lei, nella sua ricerca di autenticità, nel suo voler essere fedele a se stessa e, quindi, nel suo voler affermare pubblicamente il suo diritto di libertà di scelta poiché donna subisce lo stigma pubblico delle altre donne innanzitutto, ed è proprio la condanna inappellabile di tutte le altre donne della sua cerchia sociale a decretarne la fine. Infatti, è un’altra donna, Lidjia Ivanovna gelosa e invidiosa di lei, che, scorgendo l’opportunità di prenderne il posto, le impedisce di vedere il figlio e convince il marito di Anna a toglierle ogni umana possibilità di riscatto sociale. L’unica strada che le rimane da percorrere è il suicidio.

Anna e le donne

Sono le donne della sua cerchia che non vogliono avere niente a che fare con lei perché giudicano le sue scelte empie ed esecrabili per aver trasgredito all’ordine sociale delle apparenze e della rispettabilità esteriore. Vronskij, al contrario, è commiserato e compatito da tutti perché il comportamento sfrontato di Anna lo ha trascinato nella sua caduta, lui non subisce alcuna condanna, nessun rifiuto, è comunque accettato in società, col tempo ricopre cariche pubbliche di rilievo, ed ogni sua limitazione è riconducibile a lei che in tutto e per tutto dipende da lui e che vive nel terrore di perdere anche il suo amore, è ossessionata dal timore che lui si stanchi di lei e che l’abbandoni al suo destino disperato. Non può esserci alcuna redenzione per Anna che è punita non tanto per il suo tradimento coniugale piuttosto per aver messo in discussione, minacciandone la tenuta, l’ordine sociale. È questo il peccato imperdonabile commesso da Anna. Tolstoj mette ben in evidenza come questo stato di cose è difeso soprattutto dalla componente femminile di quella società.

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Gli uomini, con la giusta spinta, potrebbero anche cedere alla comprensione come dimostra in un primo momento Karénin, il marito tradito, che, pur risultando al fondo meschino, privo di grandi qualità umane, preoccupato soprattutto del giudizio sociale, di perdere la sua reputazione di funzionario statale; nonostante tutto ciò non ha nei confronti della moglie spirito vendicativo, questo emerge solo quando egli è incitato da una donna che spera e trama per prendersi il posto di Anna e per fare questo deve distruggerla nello spirito e le vieta di vedere il figlio.
Tutto il romanzo è permeato dalla ferrea volontà femminile di non perdere quel limitato potere di cui possono disporre ed è anche permeato dalla contrapposizione tra la nobiltà russa e la popolazione contadina.

Tolstoj sottolinea, da una lato la vacuità maschile rappresentata in alcuni personaggi dediti al divertimento effimero come il gioco, le scommesse, le donne; e dall’altro la supponenza maschile tratteggiata in altri personaggi come Levin e Vronskij che pur amando intensamente e ammirando, per certi aspetti, le donne cui sono legati, si sentono, comunque superiori ad esse intellettualmente; per contro le figure femminili sono al tempo stesso espressione di realismo e pragmatismo ma altresì di insicurezze ed emotività che sfociano spesso in gretto opportunismo per via della loro inferiorità socio-economica.

Levin e Kitty

Levin, il personaggio maschile speculare ad Anna, anche lui alla ricerca di una verità superiore, combattuto tra l’ordine apparente delle cose e il suo tentativo di penetrare in profondità il significato stesso della vita è colui che chiude il romanzo con una nota di speranza avendo individuato nel bene collettivo quella divinità che egli cerca per darsi delle risposte circa la sua stessa esistenza. Nelle ultime pagine del romanzo sembra che Tolstoj rimetta tutto al suo posto, trionfa infatti Kitty, pura e morale, la donna che non si dà pena di comprendere i dubbi esistenziali che affliggono il marito perché è convinta della sua innata bontà e non cerca spiegazioni filosofiche poiché in cuor suo sa che la vita famigliare con la sua quotidiana routine ben salda nelle convenzioni sociali indurranno il marito a trovare le spiegazioni di cui ha bisogno. Kitty non si pone il problema, è così che devono andare le cose come sono sempre andate seguendo quell’ordine tradizionale e rassicurante per se e il suo mondo, non a caso Kitty considera Anna una donna cattiva, una donna con la quale lei, che è invece per bene, non può avere rapporti e deve assolutamente tenere a distanza. Kitty ne ha pietà solo quando scorge in lei tutta la disperazione che la spingerà verso la morte.

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Levin e Kitty, femnista – WordPress.com

I due livelli narrativi del romanzo – due mondi a confronto

Il romanzo ha poi due livelli, quello maschile attraverso cui l’autore ci dice che gli uomini si occupano di argomenti seri pur dissipando tempo e fortune in occupazioni vacue e frivole come il gioco o pranzi pantagruelici al club, ma appunto al club c’è il loro mondo da cui le donne sono del tutto escluse e là dentro c’è una solidarietà granitica che nulla potrà scalfire, e, in un certo senso si evince chiaramente che l’uomo può fare facilmente a meno della presenza femminile, che è, in effetti, solo la nutrice della propria prole. L’altro livello è quello femminile, in questo mondo non c’è solidarietà fuori dalle regole, le donne si occupano degli aspetti materiali e pratici del quotidiano vivere; stanno dietro ai figli, seguono la loro istruzione, poi si occupano di combinare buoni matrimoni, sono loro le custodi della tradizione, della morale, proteggono l’ordine sociale e non possono fare a meno dell’uomo; una donna senza marito è alla mercé di parenti e della sorte, non ha un ruolo sociale e mendica sussistenza sottomettendosi e umiliandosi. Le donne non si occupano di argomenti seri; tranne Anna che è intelligente e colta, infatti partecipa ad ogni conversazione a proposito ed anche per questo è punita, perché con la sua intelligenza si interessa, si informa, ha delle opinioni personali e usa la ragione ma non conserva la tradizione e con le sue scelte radicali scardina l’ordine sociale, tuttavia essendo priva di mezzi propri, di tutela legale, viene facilmente abbattuta, l’unica pena che Vronski paga è il suo rimorso, è la sua coscienza non la società a condannarlo. La società lo compatisce.

Anche dopo il suicidio è sempre Anna che subisce ancora la condanna, nessuna accettazione, è questa colpa che la spinge inesorabilmente verso la morte.

© L. R. Capuana

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Anna Karenina, Lev Tolstoj – © 1937 Arnaldo Mondadori S.p.A. Milano; edizione del 1989 – traduzione di Ossip Felyne, Introduzione, bibliografia e cronologia di Igor Sibaldi.

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