PROGRAMMA OFFERTA FORMATIVA, MA E’ SCUOLA O AZIENDA?
Prosegue la mia riflessione iniziata con l’articolo Riflessioni sulla scuola pubblica, parte 1^ – Autonomia scolastica, passando alla seconda grande area, denominata, PROGRAMMA OFFERTA FORMATIVA (POF) alla quale collego altri termini che mi sembrano esemplificativi di quella mistificazione di cui ho già parlato, e cioè: qualità, produttività, utenti/clienti riferiti precipuamente agli studenti, orientamento e, per concludere, alternanza scuola-lavoro. Partendo proprio dalle nude parole il precedente elenco è stato chiaramente mutuato dal mondo delle aziende che operano sul mercato, e in effetti l’obiettivo principale che si persegue da anni è proprio quello di trasformare la scuola o, per meglio dire, le scuole in aziende che appunto stanno sul mercato e, facendosi concorrenza, grazie anche all’AUTONOMIA SCOLASTICA, si contendono i clienti, ossia gli studenti, che sulla base dell’OFFERTA FORMATIVA loro proposta attraverso un orientamento che non è assolutamente studiato per aiutare nella scelta del loro futuro gli alunni, bensì per vendere meglio la scuola che va a proporsi come in una vetrina e perciò sfrutta tutte le strategie di vendita a sua disposizione, incluso l’inganno.
Ecco che le scuole si propongono tutte come scuole di qualità per il percorso di studi proposto che sicuramente garantirà, agli studenti che la frequentano, un posto di lavoro alla fine, per le attività extra curriculari, per i viaggi di istruzione, per i soggiorni all’estero, per l’alta percentuale di promozioni presentati come successi conseguiti. I successi intesi come produttività, quasi si vada ad equiparare le persone in carne ed ossa a prodotti di fabbrica finiti. Ancora un inganno. D’altra parte come biasimare dirigenti e docenti che si impegnano nell’orientamento, i finanziamenti statali sono commisurati al numero di iscritti e non c’è altra via che accaparrarsi quanti più iscritti è possibile per assicurare l’esistenza stessa dell’istituto pena il cosiddetto dimensionamento, leggi chiusura, eliminazione.
Ma il concetto di OFFERTA FORMATIVA contiene, a mio parere, un’altra inesattezza di fondo, infatti posto in termini di formazione e non di istruzione va a sovrapporsi al servizio di stretta competenza degli istituti di formazione, ovvero quelle scuole di esclusiva pertinenza regionale preposte a fornire formazione professionale a coloro che non possiedono un diploma o che, avendo perso il lavoro, intendono riqualificarsi professionalmente. La scuola pubblica, al contrario, ha ben altri scopi.
L’istruzione pubblica per diventare cittadini liberi e migliori
La scuola pubblica e l’università dovrebbero saper veicolare il messaggio che lo studio non deve essere finalizzato solo al perseguimento del “pezzo di carta”, seppur utile. L’istruzione innanzitutto, per dirla con il prof. Nuccio Ordine, “deve nutrire lo spirito, per farci diventare migliori, per rendere più umana l’umanità”. Tant’è, continua Ordine, “solo all’interno di un universo lontano da ogni forma di utilitarismo è facile comprendere che la dignità dell’uomo non si misura sulla quantità di denaro che si possiede, ma si misura elusivamente sui grandi valori che animano la nostra vita: l’amore per il bene comune, per la giustizia, per la solidarietà umana, per la tolleranza, per la libertà per ogni forma di pluralismo (politico, linguistico, culturale, religioso, etc.)”. Perciò non è affatto corretto continuare a porre l’accento sulla specializzazione degli studi e sulla loro finalità professionalizzante; ciò di cui invece abbiamo bisogno è di riappropriarci dell’istruzione pubblica come mezzo per favorire la libertà degli individui attraverso la conoscenza, l’arricchimento culturale che, a loro volta, consentano a coloro che li possiedono di sviluppare il pensiero critico.
Come può, quindi, un adolescente comprendere quali sono le proprie attitudini nello studio e svilupparle, approfondirle per perseguire future aspirazioni professionali se l’istruzione è troppo specialistica e settoriale? L’adolescenza è l’età della sperimentazione, della ricerca, e quella del sé in particolare, che passa anche attraverso i sogni e i desideri, se si canalizza questa energia solo su finalità utili e materiali si uccide lo spirito dei nostri ragazzi, s’impedisce loro di crescere e maturare una coscienza necessaria per diventare adulti.
Alternanza scuola-lavoro o addestramento allo sfruttamento legalizzato?
In merito alla questione relativa all’alternanza scuola-lavoro tanto cara ai noti economisti che pontificano sulla necessità di creare relazioni stabili che si traducano in “fare rete” tra le scuole e le aziende del territorio, questa potrebbe essere un’opportunità per gli studenti degli istituti professionali e di alcuni tecnici posto, però, che siano esplicitate certe condizioni di base come, ad esempio, l’obbligo da parte delle aziende di fornire un concreto apprendistato ai discenti che saranno regolarmente retribuiti per ore di lavoro svolto con copertura completa di tutte le garanzie precipue al loro status di lavoratori. In altri termini, che l’alternanza scuola-lavoro non sia l’ennesimo trucco a favore dello sfruttamento di manodopera a costo zero tutta a danno degli studenti e dei lavoratori, questi ultimi magari costretti a subire una concorrenza sleale, diventando quindi soggetti ricattabili e licenziabili se non rinunciano a diritti faticosamente conquistati. Nella malaugurata ipotesi che si trattasse di questo a beneficiarne sarebbero solo imprese e imprenditori. Vorrei inoltre sottolineare che, a detta di gran parte degli esperti, il problema strutturale italiano è la mancanza di lavoro e non di personale qualificato, pertanto si fatica a comprendere come un tempestivo inserimento degli studenti nel mercato del lavoro possa essere realistico con un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 40%. E ancora come inserire in questo meccanismo quegli studenti che vivono in zone disagiate del paese dove non esistono o sono pochissime le aziende che potrebbero assorbirli per un apprendistato? Non si rischia, ancora una volta, di creare disuguaglianze e ingiustizie senza prevedere una mobilità in questo senso anche all’interno dei confini italiani?
Il diploma un anno prima per abolire il valore legale dei titoli di studio?
A proposito di fretta che hanno molti di far uscire i ragazzi dalla scuola, si vocifera con sempre maggiore insistenza l’intenzione del governo di ridurre di un anno la permanenza a scuola dei discenti italiani. A sostenere questa tesi sono coloro i quali fanno appello all’Europa ogni volta che difettano di motivazioni consistenti a favore delle loro posizioni. Pare che in Europa la maggior parte dei cicli scolastici si concluda a 18 anni, e se si concludesse a 15 saremmo ancora favorevoli? Il punto non è se consegnare il diploma a 18 o 19 anni, il punto è la preparazione che conseguono i nostri studenti in cinque anni di scuola superiore. Sarebbe possibile garantire lo stesso livello di preparazione in soli quattro anni? O non è anche questo un altro espediente finalizzato ad apportare, come sembra abbastanza evidente, un ulteriore taglio del personale docente al fine di ridurre ulteriormente le già scarse risorse per risparmiare sulla spesa pubblica con ulteriori danni alla qualità della scuola pubblica come già fatto negli ultimi decenni? Non è forse il malcelato tentativo di abolire il valore legale dei titoli di studi così da avere la strada spianata verso la definitiva privatizzazione delle scuole migliori abbandonando al proprio triste destino le altre? Non è forse a questo fine che mirano anche gli stanziamenti finanziari elargiti alle scuole paritarie proprio quando si piange miseria e si riducono ad oltranza i finanziamenti alla scuola pubblica in barba a quanto stabilito dalla Costituzione e, cioè che le scuole private non devono comportare alcun onere per lo Stato.
© L. R. Capuana