Riflessioni sulla scuola pubblica, parte 3^ – Valutazione e merito

VALUTAZIONE E MERITO

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Siamo arrivati alla terza ed ultima parte della mia riflessione sulla scuola pubblica che rientra nella terza grande area individuata, VALUTAZIONE E MERITO, ancora una volta, è necessario sottolineare l’uso improprio di due termini che potrebbero avere un’accezione positiva se non fossero strumentalizzati per mascherare fini non dichiarati ma pervicacemente perseguiti, delegittimare la classe docente in blocco presso un’opinione pubblica sempre in cerca di un capro espiatorio.

Valutazione degli studenti – INVALSI

Cerchiamo di capire cosa si intende nelle alte sfere per VALUTAZIONE E MERITO, per quanto concerne gli studenti, non se ne può discutere senza prendere in considerazione i test INVALSI, tuttavia ho già scritto in merito un articolo alquanto esteso e dettagliato, a cui rimando tutti i lettori interessati; peraltro sulla questione si dibatte già da tempo e sono stati ampiamente evidenziati limiti e debolezze di questi test, del metodo utilizzato per la loro compilazione, dei criteri adottati per la correzione, dei fini perseguiti (presunti e reali) e, infine, dell’istituto stesso sia in termini di organizzazione interna, dirigenza e sia in termini di approccio generale. Ciò che, in questa sede, mi preme rilevare è che, laddove la cosiddetta valutazione oggettiva dei risultati conseguiti degli alunni, è stata messa in pratica da oltre tre lustri essa ha dato esiti complessivamente negativi, tant’è che nel Regno Unito e in U.S.A., si sta tentando di correggere il tiro per rimediare agli errori del passato.

Valutazione dei docenti

Da noi, invece purtroppo, si persevera e VALUTAZIONE E MERITO è diventato un mantra anche nei confronti dei docenti. Il neoministro Giannini, sulla scia dei suoi predecessori, un giorno sì e l’altro pure si affanna a ricordare a tutti noi, nullafacenti, che presto saremo puniti e solo i migliori saranno premiati. Di grazia, ci piacerebbe sapere come si deciderà chi sono i belli e bravi e i brutti e cattivi. L’Onorevole Ministro dice che si affiderà alla perspicacia dei dirigenti scolastici, e allora possiamo star certi della trasparenza e imparzialità adottate per stilare le liste dei più meritevoli. Siamo in una botte di ferro.

Se però si vuole fare un discorso serio in merito alla valutazione della classe docente bisogna anche dare uno sguardo alla situazione attuale. Fino a questo momento la professione non offre alcun avanzamento di carriera, gli aumenti salariali sono sempre stati determinati dagli scatti di anzianità fino ai blocchi imposti dagli ultimi governi a tutti i dipendenti statali e degli enti locali. Ciò vuol dire che, da diversi anni, non c’è nemmeno l’adeguamento salariale al tasso d’inflazione per uno stipendio, quello degli insegnanti, che, a parità di monte ore è, a detta di tutti, il più basso di Europa. All’immobilità retributiva si aggiunge anche quella relativa all’incapacità del sistema di valorizzare le singole competenze, le abilità individuali e/o le legittime ambizioni personali che, attualmente, trovano come unico sbocco l’adesione ad attività precedentemente descritte nell’articolo sull’AUTONOMIA SCOLASTICA, in gran parte, a discrezione dei dirigenti scolastici creando non poche sacche di potere di chiaro stampo clientelare.

È evidente che, come in tutti i settori professionali, ci sono docenti che lavorano con passione, capaci d’infondere e trasmettere la medesima passione ai propri studenti e altri che si accontentano di tirare avanti alla meno peggio. È altrettanto evidente che i primi vorrebbero riconosciuto il maggiore impegno profuso e però la questione principale nello specifico è individuare i criteri realmente trasparenti e imparziali che possano veramente misurare le capacità di un docente mantenendo salva, da un lato, la dignità di ogni singolo individuo e, dall’altro, tutelando la libertà di docenza.

A tal proposito reputo molto positiva la proposta avanzata dal prof. G. Israel in un’intervista di Eleonora Fortunato pubblicata su Orizzonte Scuola il 4 marzo 2014, proposta che svincola il docente dall’asservimento implicito e surrettizio al dirigente scolastico pur sottoponendolo ad una verifica esterna da cui sarebbe anche possibile trarre un confronto aperto a beneficio della propria crescita professionale. Ritengo, infatti, positiva la disponibilità di ciascuno di mettersi continuamente in gioco e, ancor di più, in un settore professionale come l’insegnamento che si rapporta con giovani la cui età impone un’evoluzione costante anche da parte dei docenti a proposito di metodi e strumenti utilizzati per veicolare apprendimenti di saperi e sapere.

CLIL (Content Learning Integrated Language),

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Tra gli ultimi aspetti, non certo per ordine di importanza, c’è il CLIL (Content Learning Integrated Language), ossia l’insegnamento di una disciplina linguistica in lingua straniera. Su questo ultimo aspetto si concentrano davvero tutte le mistificazioni che gravitano attorno alla scuola e, infatti, su questo terreno si consuma un’ingiustizia incredibile.

Per comprendere bene bisogna fare, anche in questo caso, un passo indietro. In Europa si comincia a parlare di CLIL nel 1995, le intenzioni originali, come si può evincere dal libro bianco ’95 dell’UE, erano di incentivare e favorire la mobilità di personale docente di madre lingua in tutte le istituzioni scolastiche europee, al fine di sviluppare il plurilinguismo in Europa. Un approccio sostenuto anche da G. Langé, tecnico di lingue straniere presso il MIUR, fino al 2005, con qualche variante e cioè, a causa della mancanza di disponibilità di docenti di madre lingua a trasferirsi, si è promossa l’attività con docenti di lingua straniera in compresenza con colleghi di altre discipline favorendo la sinergia tra contenuti e lingua. In effetti, inizialmente, sono stati proprio i docenti di lingua straniera a promuovere progetti in tal senso coinvolgendo anche gli altri colleghi.

Di fatto però, negli ultimi anni, si è avviato un altro percorso, almeno per quanto riguarda la scuola italiana, tant’è che sono stati esclusi dai progetti CLIL proprio gli insegnanti di lingua straniera a favore di tutti gli altri a cui sono stati garantiti corsi di lingua gratuiti, presso gli atenei italiani, per raggiungere un’accettabile padronanza linguistica compresi i soggiorni all’estero con i progetti COMENIUS, oggi confluiti nell’ERASMUS +, con conseguente esenzione dalle attività didattiche per tutta la durata del soggiorno.

Senza nulla togliere al nobile intento di incentivare ogni tipo di accrescimento professionale ai vari docenti perché un analogo e proficuo aggiornamento viene precluso proprio ai docenti di lingua straniera il cui potenziamento della lingua d’insegnamento andrebbe, al contrario, favorito e facilitato attraverso un’esposizione intensiva alla lingua d’insegnamento nei paesi in cui viene parlata con cadenza periodica e regolare? Allo stato attuale chi vuole aggiornarsi e mantenere sempre viva la lingua studiata e insegnata deve farlo a proprio spese e nel proprio tempo, ed è qui che si ravvisa oltre all’ingiustizia anche la beffa perché ai docenti CLIL si intende persino offrire un maggiore punteggio ai fini dei trasferimenti o del pensionamento, la “stelletta del merito”.

A volte potrebbe sorgere il dubbio che ci sia una precisa volontà politica nel denigrare tutto ciò che si riesce a fare in Italia, anche con limiti di risorse non indifferenti, grazie al senso di responsabilità dei singoli, grazie alla dedizione al lavoro e al desiderio intimo di fare bene comunque, a dispetto delle difficoltà oggettive. Il confronto con altri paese europei, e non solo, è volto sempre a rimarcare le nostre carenze, reali o presunte, e mai per valorizzare ciò che di buono nei fatti si produce. Restando in tema di CLIL e di insegnamento delle lingue straniere, quanti sanno realmente quali sono i contenuti trasmessi e le modalità adottate nella didattica, tanto per fare qualche esempio, nei programmi scolastici ministeriali gli insegnanti di lingua straniera, già a partire dal terzo anno di scuola superiore di secondo grado, sono tenuti ad ampliare l’insegnamento con la cosiddetta micro lingua attinente ai vari istituti a seconda dell’indirizzo specifico. Ciò significa che, nel caso dei licei linguistici, si svolgono lezioni di storia e letteratura, nelle varie lingue scelte dai discenti, dalle origini ai giorni nostri. Gli alunni svolgono temi argomentativi in lingua e sostengono interrogazioni orali sempre in lingua. Riguardo ai tanti dubbi sollevati dagli esperti, non è affatto vero che si tratta di un uso della lingua meccanico e standardizzato per il semplice fatto che il lessico utilizzato per le lezioni di storia e letteratura è un lessico molto vario e attinente alla lingua corrente forse anche più forbito e ricco, capace di motivare gli studenti nella conversazione libera che, ovviamente, non si limita ad un uso della lingua puramente comunicativo o volto a scambiare poche e limitate informazioni.

Il ritardo della scuola dell’infanzia e primaria

Semmai il ritardo della scuola italiana riguarda invece l’insegnamento di una lingua straniera nella scuola dell’infanzia e primaria dove, sarebbe opportuno e doveroso, inserire in organico insegnanti di madre lingua con adeguata preparazione per la didattica infantile che potrebbero sviluppare, sin dalla primissima infanzia, l’abilità di ascolto e di produzione orale, e solo in un secondo tempo procedere all’introduzione di attività cognitive più complesse per l’apprendimento. Questo rappresenterebbe un valore aggiunto anche per l’apprendimento delle lingue straniere.

Al contrario si ha la sensazione che si cerchi sempre la strada più facile e più veloce anche se non risulta essere la migliore. Il multiculturalismo ed il multilinguismo va preparato con una visione a lungo termine e non credo che la strada scelta contempli questa possibilità. Il docente CLIL che impara la lingua straniera in età avanzata che garanzie può dare sulla realistica padronanza linguistica sviluppata, e ancora, durante le lezioni CLIL il docente dovrà valutare gli studenti solo in merito agli argomenti della sua disciplina o sarà tenuto a valutarli anche per la lingua e in base a quali competenze e conoscenze? E non si corre il rischio di ridimensionare gli argomenti delle discipline non linguistiche perché possano essere impartiti in lingua straniera?

Proposte

Dall’ultimo rapporto ministeriale pubblicato circa il primo anno di sperimentazione del CLIL su scala nazionale, il 40% dei docenti CLIL ritiene necessario un maggiore sostegno per il loro apprendimento della lingua scelta. Tutto ciò dovrebbe far riflettere anche in merito all’opportunità di razionalizzare la spesa, infatti non sarebbe tanto più conveniente per lo Stato investire sulla prestazione linguistica dei docenti di lingua straniera promuovendo, come detto sopra, un’esposizione intensiva periodica e regolare alla lingua d’insegnamento nei paesi in cui si parla, visto che il nuovo ministro ha definito i docenti di lingua straniera evidentemente scarsi? Non sarebbe, altresì, più funzionale allo sviluppo del multiculturalismo e multilinguismo europeo promuovere e favorire la mobilità degli studenti con periodi di studio all’estero, come accade già con gli studenti universitari tramite l’Erasmus+? Non sarebbe più opportuno aumentare le ore destinate allo studio delle lingue nelle scuole?

CONCLUSIONE

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Infine, si ha un bel dire che la scuola italiana non è efficiente, attuale e di qualità, si punta sempre il dito contro i docenti che lavorano poco e che non sono preparati abbastanza, ma non si dice nulla di coloro che mantengono anche la libera professione oltre all’insegnamento, questi sicuramente non avranno molto tempo per preparare lezioni o aggiornarsi autonomamente, come fanno tutti gli altri. Inoltre, in pochi si lamentano dei tagli imposti alla scuola pubblica, delle classi sempre numerose.

Una scuola di qualità parte dallo stanziamento statale di fondi che mettano i docenti in condizioni di lavorare bene senza dover fare i salti mortali ogni giorno, una scuola di qualità dovrebbe avere a cuore il benessere degli studenti e fornire loro degli spazi sicuri e adeguati, quindi si dovrebbe sicuramente ridurre il numero di alunni per classi, si dovrebbero fornire laboratori scientifici e multimediali efficienti, si dovrebbe ripristinare l’insegnamento della geografia e della storia dell’arte, mantenere quello di filosofia. Sarebbe opportuno dare la possibilità ai docenti di aggiornarsi attraverso corsi davvero validi e non costringerli, ob torto collo, a seguire quelli tenuti dagli amici degli amici o dalle case editrici.

Mancano i soldi? Iniziamo a recuperarli tagliando le cattedre di religione, eliminando lo stanziamento di soldi pubblici alle scuole paritarie. Quanto meno sarebbe un inizio.

© L. R. Capuana

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