La scuola secondaria di secondo grado in quattro anni
Il ministro Fedeli, oggi, ha firmato un decreto che autorizza cento licei a sperimentare la riduzione di un anno a parità di monte ore curricolari e con l’obbligo per gli studenti di assolvere l’alternanza scuola-lavoro nei periodi di sospensione didattica, quindi durante le vacanze estive, natalizie e pasquali. Se ne deduce che le classi sperimentali vedranno allungata la giornata scolastica nell’arco dei quattro anni al fine di conseguire il diploma un anno prima. Questo quanto annunciato al TG de La7 e al TG3 dell’ora di pranzo.
A parte le obiezioni più ovvie e cioè che già ora si fa fatica a completare gli argomenti essenziali proposti nei programmi annuali, che in tanti lamentano di fermarsi agli inizi del Novecento in quasi tutte le discipline curricolari, che è di pochi mesi fa l’allarme lanciato da 600 docenti universitari che hanno riscontrato negli universitari scarsa capacità di scrivere in italiano. Pertanto correndo il serio rischio di impoverire la preparazione dei discenti.
Ci si chiede perché la politica ripropone la riduzione di un anno degli istituti secondari di secondo grado? Qual’è il vantaggio per gli studenti che si sottoporranno a questa sperimentazione specie se dovranno affrontare i sacrifici di cui sopra?
Sostenere che il vantaggio consista nella possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro con un anno di anticipo mi sembra davvero poca cosa, soprattutto in virtù del fatto che il tasso di disoccupazione giovanile è altissimo, e allora?
La mistificazione delle parole
La spiegazione più ovvia è che in questo modo si riduce il numero di cattedre, si stima che gli esuberi sarebbero di circa 40,000, tradotto: in prossimità di una finanziaria da votare in tempi brevi senza grandi coperture si pesca sempre nel solito posto, ridurre la spesa pubblica a danno dei lavoratori, si parla del risparmio di circa un miliardo e trecento milioni di retribuzioni lorde.
La propaganda politica però presenta questo ennesimo taglio alla scuola pubblica come un’opportunità unica per quegli studenti, 25 per ognuna delle cento classi sperimentali avviate, un’opportunità che comporta oneri e sacrifici per studenti fortemente motivati (così dicono che dovranno essere) e disposti a sottoporsi all’esperimento.
Che fine ha fatto la sperimentazione già avviata?
Se a questo decreto è stato dato grande risalto mediatico nella stampa e in TV poco se n’è dato ai risultati che pur saranno emersi circa questa stessa sperimentazione avviata già tempo fa in altri istituti. Prima di allargarla ad altre cento scuole non sarebbe opportuno capire come procede quella già esistente e che risultati ha prodotto sulla didattica e sui reali benefici ottenuti dagli studenti? Tra l’altro negli Stati Uniti ci sono realtà in cui si sperimenta la tendenza inversa e cioè di allungare di due anni l’istruzione superiore. Per un’analisi comparativa tra sistema di istruzione italiano e statunitense ne ho già scritto qui.
La questione di fondo è sempre la stessa, si mistificano le parole per vendere meglio il prodotto ma a rimetterci in modo massiccio sono sempre le nuove generazioni che progressivamente perdono le reali opportunità di accesso ad un’istruzione di qualità che dovrebbe essere garantita a tutti i ragazzi del nostro paese, come recita la nostra costituzione.
Art. 34: “la scuola è aperta a tutti. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.»
La scuola nel mirino
L’accanimento che si registra quotidianamente nei confronti dell’istruzione pubblica non può più essere considerato casuale, appare evidente invece che c’è un disegno ben preciso dietro. C’è la precisa volontà di svalutare il sistema d’istruzione: si è iniziato mettendone in discussione la validità didattica, la competenza dei docenti di cui si dice che sono troppo vecchi e incapaci di stare al passo con i tempi o, in alternativa che sono adagiati sulle loro care abitudini e poco inclini al cambiamento; poi si è seminato il dubbio che forse c’è una reale differenza di merito tra scuole del nord e quelle del sud, è di questi giorni la campagna mediatica che grida allo scandalo per i risultati emersi dagli esami di stato.
Questo annuncio non è l’ultimo colpo all’istruzione pubblica e non coinvolge solo le scuole bensì interessa anche le università e lo scopo finale può essere uno soltanto: abolire il valore legale del titolo di studio, privatizzare tutti gli atenei e ciò porterà progressivamente alla desertificazione di ogni centro di cultura nel meridione.
Non è un’ipotesi azzardata e apocalittica, è nei fatti che la politica mostra di perseguire grazie alla propaganda costante messa in atto contro tutto il sistema di istruzione in Italia da parte di tanta stampa e televisione compiacente.
Solo i collegi dei docenti potranno tutelare gli studenti
Qualcosa però si può fare per contrastare questa deriva, è compito dei collegi dei docenti, a mio parere, rifiutare questa logica aziendale che da trent’anni, piano piano ma con tenacia indefessa, vede la pubblica istruzione italiana perdere pezzi e ridursi a società per azione che deve produrre utili per azionisti di riferimento, non meglio identificati, e che fa un gran parlare di costi-benefici.
Sono i docenti che dovranno opporsi a tale sperimentazione nei singoli collegi senza farsi tentare dalle sirene che cantano di una modernità tecnologica avanzata e che invece vuole solo uomini proni al potere.
Sono i docenti che dovranno ergersi a difensori degli studenti e della pubblica istruzione.
Solo la scuola può permettere ai migliori di ogni classe di emergere e divenire classe dirigente. (Pietro Calamandrei)
© L. R. Capuana
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