LE PROVE INVALSI 2022 SCATENANO DIBATTITI STERILI, LA QUESTIONE DI FONDO CHE LEGITTIMA L’ISTITUTO E LE SUE FAMIGERATE PROVE RISIEDE ALTROVE

Il sistema di istruzione che l’attuale ministro intende attuare è stato già programmato interamente a luglio del 2020 e non è che l’applicazione della L. 107/2015. La sua nomina al ministero dell’istruzione ha dunque un chiaro ed inequivocabile indirizzo politico, di matrice neoliberista.

Gli obiettivi del ministro

Tacciato spesso di incompetenza e grossolana incapacità comunicativa, nella realtà dei fatti Patrizio Bianchi è tutt’altro che incompetente e padroneggia piuttosto bene la comunicazione.

Come si può ben vedere leggendo attentamente il rapporto finale con data 13 luglio 2020 del comitato di esperti istituito con D.M. 21 aprile 2020, n. 203 SCUOLA ED EMERGENZA Covid-19, il ministro ha le idee chiare sin da allora (ma sarebbe lecito pensare che questo è un piano che viene da molto lontano) ed ha effettivamente colto l’incredibile opportunità fornitagli dalla pandemia, quando si dice: battere il ferro finché è caldo.

Mentre tutti noi docenti ci leccavamo le ferite riportate durante la nostra personalissima e solitaria guerra contro il COVID perché chiusi in casa a forza e totalmente abbandonati dal ministero, l’allora coordinatore del comitato di esperti ci preparava l’ennesima polpetta avvelenata, in piena estate, ovviamente.

Di questo rapporto se n’è parlato all’inizio ma superficialmente, mentre osservando quanto si sta già facendo da tempo e rileggendolo alla luce delle disposizioni contenute nel PNRR per ricerca e istruzione, oltre che a seguito delle innumerevoli e ben pianificate dichiarazioni esternate dal ministro in questo frangente vi si sente riecheggiare con timbro sicuro al limite della supponenza proprio la sua voce e per quanto ci possano sembrare le farneticazioni di un incompetente, quella che vagheggia è una scuola da far impallidire le più spinte profezie orwelliane.

Ciò che emerge da una lettura più attenta e mettendola in relazione con gli ultimi provvedimenti è che di affrettato e improvvisato non c’è proprio niente e che il comitato lavora a questo progetto già da tempo, la pandemia ha solo fornito l’occasione giusta per sviluppare il piano in tutti i suoi aspetti. Tutto questo mentre in molti speravano che la pandemia potesse essere invece il momento propizio per la resipiscenza e che evidenziando tante criticità concrete la politica avrebbe finalmente preso coscienza dell’urgenza non più procrastinabile di cambiare verso.

Poveri illusi!

Infatti, se a parole il ministro ha stigmatizzato la didattica da remoto che i docenti si sono affannati ad attivare anche con mezzi di fortuna immaginando di ricevere medaglie al valore, didattica da remoto che, anche per ammissione di Bianchi, ha provocato gravi danni alla gestione delle emozioni da parte di bambini e adolescenti con significativi incrementi di stati d’ansia negli stessi; nei fatti non solo il ministro assolve la didattica a distanza, ma addirittura si prefigge di imporre a studenti e docenti dosi sempre più massicce e integrate che richiederà ai docenti un carico di lavoro e un’estensione temporale del proprio impegno lavorativo di non poco conto senza però mai menzionare né il rinnovo del contratto scaduto già da anni e men che meno aumenti salariali a fronte di un incremento di lavoro, come si può notare dalla schermata successiva dove si dice chiaramente che “il lavoro a scuola non più rappresentato solo dall’orario frontale di lezione” e giù a fare un elenco che di fatto modifica anche lo stato di diritto della figura del docente e il dialogo con le parti sociali? Non pervenuto.

p. 49

Inoltre la scuola prefigurata da questo rapporto, oltre ad attuare in pieno la L. 107/15 di renziana memoria, è una scuola senza classi e senza discipline, si fa invece, quasi ossessivamente, riferimento ad una scuola che deve uscire dalle “gabbie del novecento” in cui si devono ridurre all’osso i contenuti privilegiando solo quelli realmente essenziali per aprire la scuola ad esperti, enti locali, terzo settore, al fine di far circolare idee informali e non formali, sostiene il ministro, e allora giù un altro elenco di proposte che, a dispetto degli anglicismi, non innova niente visto che si perpetuano le pratiche già in uso da lungo tempo, semmai la new entry per restare in tema di anglicismi, è il game based learning, ovvero imparare attraverso i giochi al computer (sic!) che altro non è che un incitamento alla competizione più feroce. Il giocatore più avanza di livello e più viene premiato con medagliette di carte, certo, ma il vero premio è essere classificato come il più bravo. Tra l’altro questo approccio viene adottato sempre più spesso dalle aziende che anziché pagare straordinari e premi di produzione usano questo espediente per spingere i dipendenti, ormai lobotomizzati, a lavorare di più facendosi la guerra tra loro senza uno straccio di riconoscimento economico in più, piuttosto facendo leva sulla competizione tra gli stessi.

Bella prospettiva per i nostri studenti, imparare sui banchi di scuola a farsi sfruttare e magari ringraziare il “padrone”, Orwell a confronto era un povero dilettante.

Tornando all’immagine di cui sotto si evince con assoluta chiarezza che la scuola di Bianchi è una scuola senza contenuti, senza sapere e senza conoscenza:

p. 52

E appunto la scuola deve essere un gioco per i ragazzi, come si afferma nel rapporto, soprattutto per gli studenti delle scuole secondarie di primo grado, deve essere seduttiva e oggi non lo è:

p. 75

pertanto non più una scuola con le materie i cui contenuti vengano trasmessi – che orrore, la scuola del novecento, la scuola delle nozioni trasmesse ex cathedra – ,  bensì una scuola che si connetta alle esperienze dei preadolescenti, non intellettiva, piuttosto emotiva, d’altra parte il ministro parla spesso di scuola “affettuosa”, eccola qua, una scuola che parli ai ragazzi “nella maniera più adatta ai loro bisogni più profondi”, una scuola che insegni le soft skill tanto care a Valentina Aprea.

Quanto alle previsioni per le scuole secondarie di secondo grado non ci sono idee più felici, anzi permane la medesima idea che permea l’intero rapporto, una scuola depotenziata di sapere e conoscenze e tutta imperniata intorno allo sviluppo di competenze che, secondo il rapporto, non sono mai state veramente sviluppate capillarmente, ma solo in alcuni istituti con spiccata vocazione all’innovazione e invece sono le competenze delineate dal ministero nelle linee guida e nelle indicazioni nazionali che vanno assolutamente sviluppate e non lasciando ai docenti la libertà di scelta metodologica come previsto dall’articolo 33 della Costituzione, al contrario i docenti dovranno essere “riaddestrati” in modo da essere “programmati” per affrontare le nuove sfide dell’istruzione che il mondo in rapido cambiamento ci impone, essi dovranno essere controllati, sottoposti a valutazione e al vaglio di chi è più sapiente di loro, la classe dirigente ministeriale, dal Ds di istituto fino ai gradi più alti della gerarchia, d’altra parte come si permettono questi pezzenti di maestri e professori che intascano “due euri” appena a puntellare la cultura del paese, che ne sanno loro di quale cultura vada trasmessa?  

E infatti il ministro punta a “riaddestrare ben 650 mila docenti” nell’arco di pochi anni, espressione infelice, ma non involontaria, usata il 25 giugno 2022 in occasione della seconda conferenza internazionale  tenutasi a Venezia su Ethics and Artificial Intelligence promosso dall’istituto “Aspen Italia”, TIM e GOOGLE.

IFAB International Foundation (ifabfoundation.org)A bridge between research and business

C’è forse conflitto di interessi?

Il tema però che sottende la conferenza è anche la raccolta dati e non solo l’intelligenza artificiale e il ministro è competente in entrambe le materie essendo dal 2020 direttore scientifico della Fondazione Internazionale Bid Gata e Intelligenza Artificale per lo Sviluppo Umano (IFAB):

In fondo il paradigma non cambia, la ricerca universitaria, quindi fondi pubblici, a servizio delle imprese e guarda caso nella zona di Bologna.

Tra le altre informazioni interessanti si segnala che Aspen USA riceve finanziamenti anche dal CATO Institute, un think tank finanziato dai fratelli Koch strenui sostenitori del modello neoliberista di ispirazione della scuola di Chicago, per l’Italia il presidente è Giulio Tremonti e tra i consiglieri figurano tra gli altri anche Lucia Annunziata e Paolo Mieli.

Si potrebbe obiettare e che c’entra?

E invece c’entra, perché è tutto collegato. La scelta di Bianchi come coordinatore del comitato di esperti da parte dell’allora ministro Azzolina, la quale tra l’altro aveva nominato Bruschi come dirigente al ministero appena insediatosi, lo stesso Bruschi che scrisse a suo tempo la riforma Gelmini, quella delle indicazioni nazionali e delle linee guida, e poi sempre Bianchi fu scelto per sostituirla a V.le Trastevere con l’attuale governo, a sua volta Bianchi ad agosto del 2021 nomina Roberto Ricci alla presidenza di INVALSI. Sono tutte coincidenze?

La presentazione del rapporto INVALSI 2022

Quindi si arriva al rapporto INVALSI del 2022 che come riportano quasi tutti i giornali italiani, pur non disdegnando la polemica contro i docenti, non presenta grandi variazioni, anzi per lo più conferma la tendenza degli anni precedenti. Per cui il divario tra nord, sud e isole è sempre una costante; tanto quanto lo è il divario esistente tra licei e istituti tecnici e professionali, fanalini di coda, per quanto attiene alle secondarie di secondo grado.

Qualche lieve differenza rispetto ai risultati degli anni scorsi si segnala nel fatto che nonostante la pandemia i dati di quest’anno dimostrano che il calo evidenziato dai quelli del 2021 è stato frenato grazie al rientro a scuola in presenza degli studenti, sostengono sia Ricci che Bianchi, senza lontanamente citare i tanti istituti con classi quasi dimezzate durante l’anno con una metà di studenti in presenza e l’altra a casa in DiD (didattica integrata digitale), una goduria per noi docenti, davvero.

C’è stato inoltre un netto miglioramento dei risultati nelle prove di inglese e pressoché in tutto il territorio nazionale, forse da attribuire al fatto che durante la pandemia gli studenti hanno fatto un uso massiccio della rete dove imperversano video in lingua inglese che ha evidentemente fatto migliorare le loro conoscenze della lingua.

Invece la vera novità di quest’anno è un concetto inedito che INVALSI ha il merito di aver introdotto, grazie alla mente illuminata del suo Presidente, ovvero la cosiddetta “dispersione implicita”, trattasi, dice INVALSI, di giovani che pur in possesso di titolo di studio di fatto mostrano di possedere le medesime fragilità tipiche dei cosiddetti Neet. Surrettiziamente dunque si sta dicendo che il titolo di studio attesta il falso mettendo, ancora una volta, in dubbio la capacità dei docenti di valutare i propri studenti e quindi, conseguentemente, si mette in discussione implicitamente il valore legale del titolo di studio.

Puntualmente, due giorni dopo la presentazione del rapporto INVALSI, arriva l’assist al pensiero unico espresso dall’emerito Ds Zen in un suo sfogo su Tecnica della Scuola, rivista dedicata alla scuola, la cui conclusione in merito alla cosiddetta discrepanza tra risultati delle prove INVALSI e i voti degli esami, discrepanza che di fatto non esiste in quanto diversi gli elementi valutati, è di abolire l’esame e conseguentemente eliminare il valore legale del titolo di studio di modo che venga aperta la strada maestra della classificazione di istituti tanto desiderata e già applicata dalla Fondazione Agnelli. Istituti di serie A con le materie, meglio se classiche e umanistiche, e quelli di serie B per i figli dei plebei con la vocazione al lavoro manuale e a cui riservare la didattica laboratoriale.

Tuttavia quest’anno, a mio parere, è cambiata leggermente anche la narrazione complessiva che è stata fatta durante la presentazione del rapporto nazionale delle prove INVALSI tenutasi il 6 luglio scorso all’università Sapienza di Roma.

INVALSI, bene pubblico

Narrazione diversa nel senso che il rapporto vero e proprio è stato introdotto dalla responsabile delle rilevazioni nazionali, la dott.ssa Alessia Mattei (il cui curriculum, si legge sul sito, è in fase di revisione, quindi non disponibile) che definisce sin dalle prime slide le prove INVALSI “un bene pubblico” per le ragioni di cui sotto.

https://invalsi-areaprove.cineca.it/docs/2022/rilevazioni_nazionali/rapporto/Presentazione_Responsabile_Rilevazioni_Nazionali.pdf

La dottoressa prosegue evidenziando l’altissima partecipazione di studenti e scuole alle prove, omette però di dire che sono obbligatorie, specie quelle della terza classe della secondaria di secondo grado propedeutiche all’esame di fine ciclo. Prosegue dicendo che lo scopo delle prove è di raggiungere tutti gli studenti e seguirli uno per uno, anche quelli con bisogni speciali perché la scuola vi tiene molto (salvo tagliare i docenti di sostegno), i genitori addirittura le inviano email per sollecitare risposte su punti interessanti senza specificare quali e comunque INVALSI e queste prove hanno lo scopo di migliorare il sistema scolastico e che esse sono una risorsa, un arricchimento e un’opportunità, un investimento su basi solide e scientifiche, è tutto ben documentato dalle slide della presentazione.

Insomma una difesa sentita dello strumento di valutazione esterno del sistema scolastico che è appunto INVALSI, ma forse traspare di più tra le righe, la necessità di una tale accorata difesa dettata da altri motivi, come la relazione sui costi dell’istituto della Corte dei Conti.

La dispersione implicita, concetto introdotto da INVALSI

Sull’intervento del presidente di INVALSI, Roberto Ricci non c’è molto dire. È la ripetizione di dati già noti, come si è detto. A parte, appunto, l’introduzione del concetto di “dispersione implicita” su cui si segnala che anche la FLC-CGIL esprime perplessità:

È pur sempre vero che INVALSI fa il suo mestiere, esautorare tramite delegittimazione surrettizia e implicita il ruolo dei docenti. Colpisce invece il tono oltremodo dolente assunto dal presidente durante tutto il suo intervento, specie in due casi particolari. Il primo è quando, ripetutamente poverino, si trova a dover commentare il divario socio-economico degli studenti e in particolar modo quello legato alle varie aree geografiche del paese, si sente proprio la sofferenza nella sua voce. Il secondo è quando esprime forte rammarico per la reticenza di quegli studenti che non compilano quella parte dei moduli in cui INVALSI raccoglie i dati anagrafici degli stessi riferito al titolo di studio posseduto dai genitori. Non si capacita proprio di questo fatto che inficia la raccolta dei dati censuari e quindi non gli consente di dedurre un quadro complessivo e censire debitamente la popolazione scolastica, infine e a chiusura, Ricci sostiene con grande convinzione che, “INVALSI contrasta il calo demografico con efficacia” (affermazione che si può ascoltare dalla sua viva voce al min. 1.17.18). Ecco, questi soltanto sono i punti più salienti del suo intervento.

Il ministro e ciò che non dice

Di ben altro spessore è quello del ministro, nel senso che è talmente sicuro di ciò che dice i cui contenuti si potrebbe persino pensare che gli siano stati incastonati nel cervello tale è la ripetizione ossessiva degli stessi concetti ad ogni apparizione pubblica. E bisogna dargli atto che lo riconosce lui stesso, specie quando parla di formazione dei docenti che ripetutamente dice essere sprovvisti di competenze digitali. Contraddicendo per alto se stesso perché afferma anche che l’apporto dei docenti durante la pandemia è stato straordinario, lo dice lui. Eppure, eppure non resiste alla tentazione di sostenere l’insostenibile fattuale e cioè che tutti i docenti italiani sono degli analfabeti digitali.

Ma anche qui siamo nell’alveo dell’ovvio. La tattica è sempre la stessa: si riducono gli investimenti e si rende il lavoro impossibile, le condizioni lavorative tossiche; successivamente e a causa di tutto questo si evidenziano le inefficienze prodotte dal calo di investimenti e, quindi, dopo una massiccia campagna di delegittimazione si procede alla privatizzazione, è successo pari pari per la sanità, è il sentiero tracciato per l’istruzione pubblica e statale. Non c’è via di uscita, hanno già deciso e la pandemia viene usata per accelerare il processo, non gli sembrerà vero di avere avuto questa fortuna.

Per le questioni essenziali, come appunto gli studenti con disabilità o fragilità, il ministro omette di dire che mancano i docenti di sostegno e che per ovviare al problema hanno cooptato i docenti di disciplina, come se il problema in questi casi non fosse gestire bisogni diversi interne ad un unico ambiente; perciò mentre lui si gloria del fatto che a settembre l’ONU dedicherà la giornata di apertura all’educazione e l’Italia è stata scelta come paese leader per l’inclusione, “siamo il paese più avanzato in termini di inclusione”, quello che non ricorre più da decenni alle classi differenziali, si guarda bene dal dire che siamo anche il paese che alle buone intenzioni e ai grandi ideali non fa seguire il passo conseguente, non ci mette i soldi lasciando tutto alla buona volontà dei singoli.

È così per gli studenti con disabilità varie, è lo stesso per gli studenti provenienti dall’estero e quindi in disperato bisogno di apprendere l’italiano. Si vanta persino dell’accoglienza riservata agli studenti ucraini ma ancora una volta tace sul fatto che se ciò è stato possibile è solo grazie all’impegno dei docenti, quegli stessi docenti che devono essere “riaddestrati” che non insegnano per competenze.

Il nodo centrale del suo discorso a cui va ancorato anche il rapporto INVALSI di quest’anno è proprio la didattica per competenze, infatti Ricci ha aperto il suo intervento sottolineando che il problema dello scarso apprendimento degli studenti italiani è da far risalire al 2011 e il motivo è perché i docenti italiani sono refrattari ad insegnare per competenze aderendo alle indicazioni nazionali.

Tuttavia, si potrebbe anche sostenere il contrario visto che proprio le indicazioni nazionali risalgono al 2010, quindi potrebbe invece essere l’applicazione delle indicazioni nazionali da parte dei docenti ad aver prodotto quel calo negli apprendimenti rilevati da INVALSI. Strano però che non emerga quando i nostri studenti frequentano l’anno o il semestre all’estero, che non emerga quando i nostri laureati fanno ricerche negli atenei stranieri e come è possibile allora che quei rari studenti statunitensi che vengono da noi come exchange student tornano in patria con i crediti da under graduate da sfruttare per i loro studi universitari e noi invece collochiamo i nostri studenti sotto la soglia della sufficienza?  Il ministro, inoltre, non dice nemmeno che i fondi del PNRR non contemplano alcuna assegnazione ai CPIA

Il ministro allora racconta ciò che gli conviene, a tratti si ingarbuglia pure e in merito a quelli assegnati alla regione Campania prima dice cinquecento milioni di euro (in realtà ripartite tra ben 3000 scuole) e poi si corregge parlando di 79 milioni. E un po’ tutto così, come quando sottolineando l’importanza dell’autonomia si lancia in un discorso come questo: “un sistema cresce non perché tu lo coerci (testualmente)  con una capacità coercitiva dall’alto verso il basso, ma perché tu liberi le capacità innovative che esistono in ognuno, capacità di rendersi complementari gli uni con gli altri (1.49.13 circa)” e conclude dicendo che l’autonomia è responsabilità, che la responsabilità è la base della democrazia e che non basta rivendicare diritti bisogna dimostrare di essere capaci, di trasformare i diritti in doveri, conclude poi con un affondo: l’articolo 1 della costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non sui sussidi. Finale moralista.

Di tutto l’intervento ciò che rimane impresso è che il ministro preme con indefessa determinazione per una scuola al servizio delle imprese e in cui le imprese devono entrare a pieno titolo per modellare gli studenti a loro piacimento che poi è ciò che vogliono tutte le grandi lobby come Fondazione Agnelli, TREELLE, ERT, il terzo settore composto per lo più da finto volontariato con in testa fondazioni come quella San Paolo, solo per citarne una, mettere le mani sulla scuola. Il ministro persegue questo scopo e lo sta facendo, finora con grande successo.

Scelte politiche precise

Molte delle cose che sono state dette durante gli interventi che si sono susseguiti sono condivisibili, quale ad esempio che la scuola non è un contesto avulso dal territorio in cui insiste e che se la scuola mostra dei problemi questi non possono esserle addebitate in quanto sono il sintomo e le cause invece risiedono fuori, ovvero sono esogene alla scuola perciò la scuola non può risolverle da sole. Tutto ciò è abbastanza ovvio, sono le ricette proposte che non possono invece trovarci d’accordo.

All’esigenza improrogabile di ridurre il numero di studenti per classi che agevolerebbe ogni tipo di didattica contenendo anche eventuali contagi da future recrudescenze del virus, come già accade, il ministro risponde con affermazioni tipo: non c’è un problema di classi pollaio, l’emergenza non sono le classi pollaio bensì il calo demografico; è arrivato persino a dire che:

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Alle richieste accorate di investire di più nell’istruzione per il bene del paese il ministro risponde che bisogna formare gli insegnanti e stanzia due milioni di euro per una scuola di alta formazione.

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Ne consegue che malgrado la sua più volte ripetuta disponibilità all’ascolto, di fatto il ministro ascolta solo chi è dalla sua parte e, come lui, persegue il pensiero unico neoliberista. Sostenere che siamo al cospetto di uno dei tanti ministri ininfluenti e incompetenti messi al ministero dell’istruzione solo perché bisogna che ci sia un ministro rispondo che invece Bianchi è stato scelto proprio perché competente, proprio perché la sua strategia politica in materia di istruzione è condivisa pienamente dal governo e da tutti i partiti che lo sostengono. Sostenere il contrario vuol dire sottovalutare lui e la sua azione politica sulla scuola. È un rischio che non dobbiamo correre.

© L. R. Capuana

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