Capitolo 2 – LE GRANDI LOBBY DEGLI INDUSTRIALI E LA SFIDA GLOBALE ENTRANO A SCUOLA

A. ERT (European Round Table/La Tavola Rotonda Europea degli Industriali – 1989)

– La pazienza e la tenacia di chi manovra e indirizza dietro le quinte

L’interesse politico ed economico nei confronti dell’istruzione non è  solo storia del passato, anzi, e dietro ogni riforma o contro-riforma attuate in tempi recenti è evidente il disegno politico-economico che le sottende. Tuttavia è necessario rintracciare il filo rosso che lega insieme l’ideologia politica e gli interessi economici che si alimentano e condizionano reciprocamente.

A tal proposito è interessante notare che a febbraio del 1989 la European Round Table (ERT)[32] pubblica un rapporto dal titolo Education and European Competence – ERT Study on Education and Training in Europe[33] ed è questo il punto di inizio cui si fa risalire questa stretta connessione tra interessi economici e le politiche perseguite da quel momento in poi dalla nascente Unione Europea e, quindi dai politici dei vari paesi coinvolti sia a livello europeo sia a livello dei rispettivi governi nazionali.

Sin dalla premessa si evince che la ERT individua come causa principale, a suo dire, della crescita della disoccupazione in seno all’Europa la scarsa preparazione dei lavoratori europei sia in termini di istruzione generale sia per quanto concerne l’acquisizione di nuove abilità professionali, e quindi ritiene che l’istruzione sia un settore strategico per favorire la competitività europea su scala internazionale e si stupisce che, tenuto conto della scarsa capacità di rispondere alle esigenze dell’industria da parte dei vari sistemi di istruzione europei, ci siano ancora paesi in Europa che favoriscano e persino incoraggino  i giovani a perseguire studi di loro interesse anziché indirizzarli espressamente verso quei percorsi di studi più rispondenti al mercato del lavoro, è bene tenere a mente questo concetto di limitare le personali attitudini ed aspirazioni degli studenti in quanto esso è dirimente nel perseguimento degli obiettivi prefissati dagli industriali e tornerà spesso nel nostro racconto; sempre nella premessa l’ERT si pone come obiettivo da raggiungere l’incremento delle abilità e della competenza nei giovani oltre all’introduzione del nuovo concetto di apprendimento per adulti e lungo tutto l’arco della vita, specie quello riferito alla fase produttiva (life-long learning)[34].

Da questo momento però non cambia solo il lessico che viene adottato per parlare di istruzione e che viene mutuato direttamente dai settori industriali e commerciali, espressamente aziendalista; cambiano anche le idee cui si rifaceva prima di quel momento specifico il sistema di istruzione dei singoli paesi europei, non a caso il rapporto in questione sottolinea che se in passato era comprensibile che i singoli sistemi di istruzione fossero ispirati da una forte impronta di identità culturale nazionale con il preciso intento di rafforzare il senso di appartenenza e la cittadinanza specifica, ora l’ERT ritiene essere più importante sviluppare le similitudini presenti tra i popoli europei evidenziando meno le loro differenze[35]. Perciò tra i vari scopi da perseguire si pone anche la necessità che in Europa vi sia l’equipollenza dei titoli studi – come ad esempio l’MBA statunitense –, che si sviluppino dei curricula scolastici uniformi e che venga introdotto lo studio di almeno tre lingue comunitarie[36]. Non solo, si aggiunge anche la necessità di fissare dei parametri uniformi per la conoscenza delle lingue e per l’acquisizione delle abilità[37], che oggi sono, appunto, in uso, e di ridurre i tempi medi per il conseguimento del diploma in modo da anticipare quanto più possibile la fase di formazione[38], inoltre sostengono sia necessario introdurre nelle scuole la figura di tutor industriali, la didattica per moduli flessibili e di creare opportunità di scambio e mobilità tra staff industriale e scolastico, infine ritiene di primaria importanza sviluppare e promuovere schemi di apprendimento imprenditoriali[39]. È interessante altresì notare che questi sono gli stessi obiettivi entusiasticamente promossi dalle lobby italiane, tra cui TREELLE, la FGA (Fondazione Giovanni Agnelli) e l’ANP (Associazione Nazionale Presidi)

Se questi sono i fini da concretizzare al più presto il rapporto individua anche alcune questioni da affrontare per ridurre il ritardo accumulato dall’Europa nei confronti della competitività statunitense e asiatica, specie con il Giappone. Prima fra tutte è il livello non idoneo dell’istruzione di base, sempre secondo l’ERT, per raggiungere i requisiti necessari per soddisfare le esigenze espresse dal mondo industriale e, in particolar modo, per sviluppare le necessarie capacità di comunicazione, quelle per poter lavorare in squadra e per risolvere problemi. Altra questione, poi è la scarsa comprensione del cosiddetto ambiente economico, degli affari e come fare per produrre profitti sia da parte degli studenti sia da quella dei docenti. Ed è proprio tra i docenti che l’ERT individua la causa principale che impedisce agli studenti di sviluppare proprio quei requisiti necessari e rispondenti alle esigenze dell’industria, infatti, continua il rapporto ERT, gli insegnanti dell’istruzione primaria e secondaria non possiedono le capacità per promuovere e far emergere forme di istruzione di base più flessibili e adattabili per favorire l’inserimento degli studenti in più e varie tipologie di percorsi professionali.[40]

Le conclusioni esposte nel rapporto salvano tuttavia l’istruzione universitaria in Europa pur auspicando che i laureati possano presto dotarsi anche del pensiero olistico e acquisire le capacità comunicative di cui necessitano oltre a saper prendere iniziative e di essere consapevoli di ciò che accade intorno a loro, pertanto, sostengono, che il loro retroterra culturale debba privilegiare una cultura appunto vasta.

Potremmo dire che l’interesse manifestato dalla Tavola Rotonda Europea degli Industriali (ERT) a partire dal 1989 si intreccia ad interessi ben più vasti che persegue con determinazione facendo pressioni politiche sia a livello europeo, sia su quello dei vari paesi del continente. Pressioni e condizionamenti che incidono sulle politiche europee facendo sì che queste piano piano vadano sempre più incontro alle esigenze delle multinazionali favorendo la globalizzazione[41].

– Ma chi c’è dietro l’ERT e cos’è?

L’ERT altro non è in fondo che una potentissima lobby con ramificazioni, per quanto riguarda il panorama italiano, in associazioni sedicenti no-profit, come TREELLE e la Fondazione Gianni Agnelli (FGA) (è sufficiente dare un’occhiata ai nomi dei membri di tutte e tre le suddette lobby per comprendere chiaramente che si tratta delle stesse persone), l’ultima, in particolare, la FGA, è particolarmente attiva nel campo dell’istruzione con il suo ormai celeberrimo “Eduscopio”, un rapporto annuale che stila classifiche di merito circa le scuole ritenute migliori sul territorio nazionale[42].

Come tutte le lobby l’ERT ha un’organizzazione vasta e ben articolata con riferimenti politici di primo piano su cui, da sempre, fa leva per ottenere gli obiettivi che ritiene prioritari sia a livello europeo sia a livello dei vari governi nazionali. I risultati dell’impegno tenace e indefesso dell’ERT sono stati enormemente positivi e dalla caduta del muro del Berlino in poi fino agli inizi degli anni ’90 i suoi sforzi sono stati indirizzati soprattutto verso la creazione di un mercato europeo unico e la realizzazione di una vasta rete di infrastrutture per il trasporto in Europa (Trans-European Network – TENS) fino a gettare le basi per il raggiungimento del trattato di Maastricht e l’unione monetaria europea (Association for Monetary European Union – AMUE)[43].

Gli effetti negativi che un mercato europeo unico avrebbero avuto furono ben delineati subito in una relazione che metteva in evidenza la crescita esponenziale dell’inquinamento dovuta all’aumento altrettanto esponenziale del traffico su gomma, i rifiuti derivanti da tali volumi di trasporti oltre all’obbligo dei vari paesi di accettare di effettuare minori controlli sui prodotti trasportati, infine,  sarebbe stato impedito ad ogni paese dell’Unione di imporre una tassazione a favore del rispetto ambientale[44]. Eppure, nonostante tutto ciò, a fronte di un mercato libero che avrebbe visto gli scambi commerciali allargarsi ad una platea di ben 340 milioni di abitanti qualsiasi remora fu ben presto spazzata via, anche grazie alla prospettiva che le infrastrutture necessarie per agevolare queste vie di trasporto venissero costruite tutte dai singoli stati e, quindi, tutte a carico esclusivo dei rispettivi contribuenti[45]. Si tratta infatti di opere faraoniche come l’alta velocità su rotaia, ma anche l’ampliamento di numerosi aeroporti europei e ben 12,000 chilometri  circa di nuove reti autostradali che avrebbero interessato l’intero continente. La maggior parte di queste opere sono state già completate mentre altre sono ancora in via di sviluppo[46]. Queste priorità individuate dall’ERT come imprescindibili furono inserite nel trattato di Maastricht che, appunto, individuava la realizzazione di tali opere attraverso ingenti stanziamenti di finanziamento pubblico[47] e tutto a scapito dei sistemi di Welfare dei vari Paesi europei che subiscono ridimensionamenti importanti, ancora una volta propagandati come razionalizzazione della spesa e riduzione degli sprechi.

La European Round Table e l’Unione Europea

Si è già detto dell’enorme influenza esercitata dai vari membri della ERT nei confronti dell’UE e di suoi politici di spicco, tra tutti sembra di grande importanza rilevare la stretta collaborazione intercorsa tra l’allora presidente della Commissione Europea, Jacques Delors, ed esponenti dell’ERT durante l’elaborazione del Libro Bianco del 1993 su crescita, competitività e occupazione[48]; mettendo a confronto il rapporto dell’ERT, Beating the Crisis (Come battere la crisi) ed il succitato libro bianco del 1993 è davvero sorprendente notare quante similitudini sono presenti tra i due documenti tanto da far pensare che si sia trattato di un “vero e proprio copia e incolla”[49]. Ma ciò che in questa sede preme rilevare è che le conclusioni e le raccomandazioni emerse dal rapporto della nota lobby europea sono state recepite pari pari dal Libro Bianco di cui sopra e che nello specifico sono: progressivo aumento della deregolamentazione e della flessibilità nel mercato del lavoro, aumento degli investimenti nazionali in opere di trasporto infrastrutturali e competitività internazionale.

Una volta messo nero su bianco quelle raccomandazioni in un documento ufficiale dell’Unione, rimaneva, tuttavia, il problema di come realizzare questi obiettivi prioritari, la strategia adottata fu abbastanza simile a quelle precedenti, ossia una lenta e tenace opera di persuasione da una parte, lavorando ai fianchi i vari ministri nazionali dei settori individuati, e dall’altro lato l’istituzione di commissioni di ricerca e di studio presiedute e coordinate da personalità di spessore appartenenti ad ambiti rilevanti per garantire autorevolezza e credibilità assolute alle relazioni che avrebbero evidenziato soluzioni non solo adeguate, ma persino inevitabili per risolvere problemi annosi di tutto il continente, tra queste ci sono le CAG (Competitiveness Advisory Group), appunto strutture decisionali cui il presidente della Commissione, Santer, chiese aiuto per individuare priorità di politiche economiche per l’UE e di stilare delle linee guide per aiutare l’UE a sviluppare e migliorare la propria prestazione in ambito concorrenziale.

Questo genere di commissione istituzionalizzò l’apporto che la ERT avrebbe assicurato all’UE e gli diede voce nel contesto e nel consesso internazionale, né c’è da stupirsene perché come ebbe a dire l’allora segretario generale dell’ERT, Richardson, “abbiamo buone relazioni perché per molti aspetti i nostri interessi coincidono […] più o meno abbiamo le stesse priorità”[50]. I membri di queste commissioni che, duravano in carica due anni e alla fine dei quali venivano sostituiti da altri membri sempre scelti direttamente dal presidente Jacques Santer comprendevano: 4 esponenti di ERT, altri amministratori delegati di banche e grandi multinazionali, 3 sindacalisti, un certo numero di politici tra cui, nella prima commissione, figura anche l’italiano Carlo Azeglio Ciampi.[51]

Queste commissioni avevano il compito di stilare dei rapporti con le conclusioni e raccomandazioni derivanti dai loro studi, il primo dei quali fu pubblicato immediatamente prima del Summit europeo tenutosi a Cannes nel 1995 con le seguenti raccomandazioni: (a) finanziare le opere infrastrutturali per il trasporto (TENS) attraverso partneriati pubblici e privati; (b) veloce espansione ad est dell’UE; (c) introduzione del concetto di apprendimento per tutto l’arco della vita (life-long learning) e della società dell’apprendimento (learning-society), ovvero continua formazione della forza lavoro per adattarsi ai bisogni in continua trasformazione dell’industria.

Il secondo studio fu pubblicato prima del summit europeo di Madrid nel dicembre del 1995 col quale si raccomandava ai governi locali di facilitare la deregolamentazione e la privatizzazione del settore pubblico come telecomunicazione, energia e trasporto; in secondo luogo si raccomandava di adattare le politiche ambientali ai bisogni del mercato e dei suoi mezzi di produzione.

Il terzo rapporto fu pubblicato appena prima del summit europeo di Firenze a giugno del 1996 nel quale la CAG fornisce raccomandazioni in merito alla riduzione della disoccupazione di massa in Europa, tra questi spicca quella di istituire un patto sociale tra datori di lavoro, forza lavoro e governo per modernizzare il mercato del lavoro che vedrebbe tra le priorità la flessibilità nelle ore di lavoro, salari calmierati ed una maggiore mobilità tra dipendenti di varie aziende in regioni e paesi europei diversi; la seconda raccomandazione riguarda la legislazione sociale da adottare in tutti paesi membri dell’unione che dovrebbe tenere in considerazione le analisi costi-benefici, ancora una volta il tutto a favore delle esigenze espresse dalle multinazionali a spese totali della collettività.

Il quarto rapporto esce a ridosso del summit di Dublino nel dicembre del 1996 e mette a confronto le prestazioni commerciali globali dell’UE con quelle di uno dei suoi più temibili concorrenti in termini di crescita di mercato, ossia il Giappone e conclude che l’UE deve continuare sulla linea tracciata e proseguire con la liberalizzazione del commercio investendo nel WTO (World Trade Organization) e completando l’adesione, perorata dall’OCSE, al MAI[52]; inoltre preme affinché vengano apportate modifiche all’art. 133 del Trattato di Maastricht (politiche commerciali comuni) che consentirebbero alla commissione di negoziare su temi cruciali come: i servizi, la proprietà intellettuale e gli investimenti esteri diretti.

Il secondo gruppo di consulenti per la competitività (CAG) fu composto da 13 membri, il precedente segretario generale dell’OCSE Jean-Claude Paye, membri dell’ERT come esponenti della Telecom britannica, Pirelli e Repsol; due altri rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori della Germania e del Portogallo, un membro della compagnia di investimenti BFE, tre sindacalisti: un italiano, uno svedese e uno del Regno Unito. I due focus principali che vanno evidenziati riguardano entrambi l’occupazione e la competitività. Nel primo rapporto pubblicato a novembre del 1997 prima del summit sul lavoro che si tenne in Lussemburgo sostiene che la globalizzazione economica è orami un processo irreversibile che impone rapidi e necessari aggiustamenti che coinvolgano tutti i paesi, quindi, da una parte, si professano a favore della coesione sociale, ma consigliano ai paesi di accelerare sulle riforme strutturali, dall’altro, premono perché si proceda con una legislazione meno stringente per le aziende e, infine, premono per la responsabilità individuale in merito ai piani pensionistici dei lavoratori. Il secondo rapporto, quello del giugno 1998 precedente il summit di Cardiff pone invece l’accento sulla valuta unica per agevolare la competitività del mercato del capitale.[53]

Sebbene il secondo gruppo (CAG) non ebbe più una forte presenza di esponenti ERT per evitare che si potesse ravvisare un conflitto di interessi troppo marcato, è comunque indubbio che la sua presenza nel primo gruppo di consulenti indirizzò i lavori in modo evidente e, tra l’altro, offrì un’ufficialità insperata facendo sentire in modo netto e chiaro la loro voce tant’è che le politiche UE sono sin da allora orientate a perseguire come scopo principale la competitività industriale europea mettendo in secondo piano, quando non trascurando del tutto altri interessi e obiettivi. Lungi dall’essere la ERT ignorata o trascurata dalle politiche UE i suoi interessi vengono comunque tutelati e il lavoro svolto da questa lobby persiste dietro le quinte forte della consapevolezza del suo peso ancora oggi all’interno dei gruppi di decisori politici nell’UE.[54]

La politica dell’UE, l’istruzione e la strategia comunicativa

Non a caso, infatti, e sebbene negli anni la ERT abbia diradato le sue pubblicazioni e i suoi consigli troppo palesi in merito alle politiche perseguite dall’UE è altresì evidente una comunione di intenti tra i due specie per quanto concerne temi come l’istruzione e la ricerca. Nella strategia 2020, perseguita dopo il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati nel patto di Lisbona a causa della crisi economica che ha avuto effetti molto negativi in Europa e in tutta l’economia globale, ritorna immancabile lo scopo originario, ovvero mantenere ferma la barra verso una riduzione sostanziale del gap tra scienza e mercato al fine di costruire legami sempre più forti tra i settori pubblici e privati nell’istruzione con il sostegno della comunità industriale, entrambi, inoltre, promuovono l’idea di riformare i curriculum scolastici per adattarli al soddisfacimento dei bisogni dell’industria[55].

Tuttavia prima di pubblicare gli studi che avrebbero presentato le soluzioni miracolose andavano poste sul tappeto e comunicate alle opinioni pubbliche dei vari stati membri le questioni cruciali alle quali la ERT stava lavorando per trovare le soluzioni più idonee. È in questo modo che la campagna comunicativa ha inizio e comincia appunto con una crociata a favore della competitività, come si è sottolineato prima, il problema dei problemi individuato dalla ERT è appunto la scarsa capacità di competere che caratterizza il vecchio continente rispetto ai suoi concorrenti più agguerriti, Stati Uniti d’America e Giappone, pertanto è la creazione di un mercato unico europeo che possa stimolare gli investimenti, aumentare la produttività e creare nuovi posti di lavoro la risposta più idonea a migliorare le prestazioni europee, infatti l’adozione del mercato unico da parte dell’UE nel consiglio di Amsterdam del 1997 dovrà avere come risvolti principali: (a) una maggiore liberalizzazione delle telecomunicazioni, dei mercati energetici e dei trasporti, oltre a (b) assicurare i brevetti a vita, (c) la concessione di monopoli a società specializzate per lo sviluppo di prodotti con tecnologie biotech e, infine, (d) l’armonizzazione di tassazione europea per tutte quelle aziende di tipo corporativistico a livelli multinazionali.[56]

La seconda questione da affrontare era rappresentata dai parametri di riferimento (benchmarking), ovvero una sorta di vangelo a cui si atterranno d’ora in poi tutti i documenti pubblicati dall’UE in stretta connessione con il concetto di competitività. In pratica per ottemperare alla necessità di tutti i paesi dell’UE di mostrarsi all’avanguardia e competitivi i parametri di riferimento dovranno essere uniformi e condivisi per poter adottare le migliori decisioni politiche che dovranno dunque attenersi a specifiche tecniche e non ad esigenze di tipo politico. È questo il presupposto che impone una severa politica di bilancio per tutti i paesi dell’UE, ma non solo, è sempre questo dispositivo dei parametri di riferimento che imporrà anche un’ulteriore liberalizzazione dei mercati che spingerà inoltre i singoli paesi in una sorta di gara per privatizzare quanto più possibile aziende che erano ancora pubbliche come quelle del settore delle telecomunicazioni, dell’acqua e della gestione delle reti fognarie. I primi e quasi unici beneficiari di queste politiche furono sin da subito le grandi multinazionali mentre a risentirne a livello continentale furono le politiche sociali e quelle delle protezioni ambientali che subirono quasi ovunque un drastico ridimensionamento.

Il terzo aspetto che fu subito evidenziato come prioritario fu l’allargamento ad est dell’UE. Con la caduta del regime sovietico, infatti, si rese disponibile un fertile mercato pressoché vergine, quello dei paesi del centro e dell’est europeo; all’incirca ben 150 milioni di nuovi consumatori che erano anche operai altamente specializzati a basso costo rispetto al resto degli operai europei inseriti in un mercato del lavoro tutelato e ben retribuito. Una vera manna per gli industriali della zona dell’UE che quindi avevano tutto l’interesse di inglobare nell’UE questi nuovi membri all’interno del mercato unico ai quali si chiese immediatamente di fare sforzi notevoli per raggiungere una rapida trasformazione economica che ebbe, con tutta evidenza, degli effetti negativi quali: (a) una pesante ristrutturazione economica e infrastrutturale; (b) adozione complessiva e totale della legislazione EU; (c) una riduzione consistente della sovranità nazionale e del ruolo dello stato e, infine, (d) una maggiore dipendenza sugli investimenti stranieri diretti. Ciò determinò, già a partire dal 1997, un investimento di capitali stranieri diretti per circa 9 miliardi di euro provenienti da aziende europee verso paesi come l’Ungheria, la Repubblica Ceca, metà dei quali solo verso la Polonia, in compenso le aziende europee ottennero ben 80 miliardi di esportazione verso quei paesi[57].

L’ultimo mantra caro all’ERT e, come tutti gli altri analizzati finora, adottato pedissequamente dai paesi UE riguarda l’innovazione attraverso cui ristrutturare tutto il sistema europeo. La matrice di tutto è sempre la competitività che da sola assicurerà, tra gli altri miracoli, anche quello di creare più posti di lavoro a patto che si eseguano i seguenti percorsi: (a) deregolamentazione, (b) flessibilità del mercato del lavoro e, immancabile, (c) riforme strutturali del sistema di istruzione dei vari paesi.

Come già evidenziato ad apertura di questo capitolo, l’ERT pone l’accento sull’importanza di condizionare e influenzare l’istruzione per far si che essa risponda alle esigenze delle industrie e il suo scopo principale è di sottrarla “a quelle persone che non sembrano avere alcun dialogo, né comprensione dell’industria e del percorso necessario per raggiungere il progresso”[58] e ora l’ERT evidenzia con maggior forza la necessità di tutti gli europei di sottoporsi al processo di apprendimento lungo tutto la vita (life-long learning process) al fine di restare competitivi in un mercato del lavoro in costante rapida trasformazione accettando le ristrutturazioni necessarie per far fronte ad una feroce competizione globale.

– Effetti e conseguenze

Paradossalmente e a dispetto di tutte le rassicurazioni relative alla creazione di nuovi posti di lavoro ciò che di fatto è accaduto in questi anni nello scenario europeo è che le grandi multinazionali hanno tagliato in maniera considerevole posti di lavoro. Pertanto, la centralizzazione e la distribuzione catalizzate dal mercato unico ha permesso alle multinazionali di tagliare i costi di produzione in modo significativo riducendo la forza lavoro; così ad esempio, l’olandese Phillips Electronics ha tagliato di ben il 22% il proprio staff, l’equivalente di ben 68,000 posti di lavoro in cinque anni a partire dal 1989; mentre la liberalizzazione del mercato ha consentito alla Telecom britannica di tagliare tra il 1985 e il 1996 di ben 110 mila unità la propria forza lavoro; la Eriksson verso la fine degli anni ’90 ha effettuato un taglio del 10% della sua forza lavoro mondiale, circa 11,000 posti di lavoro in meno; la Pilkington del Regno Unito nel 1998 tagliò ben 9,000 posti di lavoro a fronte di un profitto per i suoi azionisti del 20% e un aumento delle vendite del 12%; lo stesso paradigma per quelli di Daimler-Chrysler che vanta una crescita esponenziale delle azioni a fronte di ingenti perdite di posti di lavoro. In conclusione si può ben dire che gli unici beneficiari di tante e tali trasformazioni furono gli industriali e membri della lobby europea più potente, l’ERT, che con tenacia, pazienza e grande acume comunicativo fa ricadere tutti gli oneri ed esborsi sulla collettività dei paesi membri e le conseguenze peggiori sulle loro forze lavoro e, quel che risulta più paradossale ancora, con il plauso e l’entusiasmo di gran parte delle loro opinioni pubbliche che nell’Unione Europea vedevano l’unione dei popoli e una rinnovata adesione all’ideale enunciato dal manifesto di Ventotene del 1944 per un’Europa libera e unita, quando in realtà queste trasformazioni ricalcano pari pari le “sette modernizzazioni” apportate in Cile subito dopo il golpe di Pinochet e grazie alla consulenza attenta dell’economista neoliberista americano, James McGill Buchanan, ovvero un programma di trasformazioni neoliberista che aggredisce innanzitutto il welfare state cileno, come si può notare dall’elenco che segue:
1. privatizzazione della previdenza sociale;
2. privatizzazione del sistema sanitario;
3. voucher per le scuole private assegnate alle famiglie di tutti gli alunni della scuola dell’infanzia fino agli studenti delle superiori (piena adesione alla scuola di pensiero di Chicago e della Virginia); 4. università obbligate ad auto-finanziarsi (libero accesso ai fondi provenienti dalle multinazionali che hanno spinto sempre gli studenti verso corsi di studio professionalizzanti meno attenti allo sviluppo del pensiero critico e sempre meno verso corsi di studio umanistici; ciò ha determinato l’uscita dal mercato di quelle università che tra i loro iscritti avevano studenti oppositori al sistema);
5. riforma giudiziaria;
6. consistente limitazione all’azione governativa volta a regolamentare il mercato;
7. agricoltura soggetta alle multinazionali[59].

B. Il trattato di Maastricht

– L’Unione Europea e il suo interesse per l’istruzione e il Life-long Learning




La deregolamentazione del mercato del lavoro tenacemente perseguito dall’ERT, contrariamente a quanto promesso, come abbiamo visto, ha invece determinato una contrazione consistente nei posti di lavoro ma non per scarsa competitività e bassa produttività, bensì per incrementare i profitti degli azionisti, creando altresì una crescente precarizzazione del lavoro con conseguente instabilità economica, in particolar modo, per le nuove generazioni che tentano di inserirsi nel mercato del lavoro che impone ai lavoratori, a causa di una flessibilità applicata sono in uscita con la deregolamentazione, di cambiare continuamente non solo il luogo di lavoro ma anche il proprio mestiere oltre alla proliferazione di forme di occupazione in cui non è prevista alcuna specializzazione e priva di tutele. Da qui la necessità indotta della formazione permanente (life-long learning).      

Ciononostante il martellamento propagandistico dell’opinione pubblica europea continua indefesso attraverso una mistificazione del lessico abitualmente attuata che ottiene il risultato di trasformare il significato profondo dei concetti. Infatti un’espressione, apparentemente innocua e quasi banale come life-long learning process (formazione permanente) – in effetti chi si sognerebbe mai di negare che l’individuo non smette mai di imparare – da mera ovvietà comunemente accettata e data per scontata diventa, secondo questa reinterpretazione, un precetto secondo cui è responsabilità individuale del cittadino, nonché del lavoratore, perseguire formazione e aggiornamento continui con i propri mezzi e strumenti al fine di far fronte alla sfida attuale restando competitivi in un mercato del lavoro in costante e rapida trasformazione a causa della feroce competizione globale. Dunque, la formazione e l’aggiornamento che prima erano sviluppati in azienda e a spese del datore di lavoro, secondo questo approccio inedito vengono trasferiti all’individuo come obbligo sociale verso se stessi e agli stati quanto ad oneri economici. Il meccanismo applicato individua nel sistema di istruzione e non solo in quello di formazione, il canale attraverso cui, le lobby degli industriali dei vari paesi UE, potranno inserirsi nell’appetibile e strategico settore dell’istruzione che via via diventa sempre più un ottimo e florido investimento.      

Non a caso nel trattato di Maastricht, ovvero quello che istituisce la comunità europea, all’art 126 [60], per la prima volta l’Unione Europea si occupa di istruzione, attribuendole una competenza specifica non solo limitatamente alla formazione come era prima, per la prima volta dunque si palesa l’interesse dell’Unione Europea che ricalca in pieno le raccomandazioni espresse nelle varie relazioni pubblicate dall’ERT: sviluppo dell’istruzione di qualità qui intesa come precisa indicazione finalizzata a soddisfare le istanze dell’industria mascherate dalla promesse di occupabilità; la UE, pur lasciando la responsabilità principale in merito al settore dell’istruzione agli stati membri, si riserva la possibilità, eventualmente “se necessario, di sostenere e integrare la loro azione” in merito al “contenuto dell’insegnamento e all’organizzazione del sistema d’istruzione”[61], in altri termini, l’UE, volendo, può entrare a gamba tesa nelle politiche di istruzione dei paesi membri per indirizzarne le azioni in modo incisivo. L’UE con questo documento intende altresì incentivare la mobilità studentesca, quella dei docenti grazie alla promozione di una sempre più stretta collaborazione tra istituti scolastici dei vari paesi membri per agevolare scambi culturali per i docenti e periodi di studio all’estero per gli studenti, da qui la necessità che i curriculum scolastici siano quanto più simili possibili auspicando che si attui una progressiva armonizzazione dei vari sistemi di istruzione. Ovviamente la politica europea non si ferma al mero auspicio e, di fatti, predispone anche eventuali dispositivi legislativi per dare un impulso attivo agli stati membri  in questa azione di cooperazione al fine di raggiungere gli obiettivi previsti quali appunto la possibilità del Consiglio europeo di deliberare su queste materie e dunque attuare le raccomandazioni avanzate dalla Commissione europea[62].    

Ma lo scopo principale da raggiungere è, in realtà, la mobilità della forza lavoro all’interno del continente, ed è fondamentale per generare maggiore competitività e produttività ridimensionando il più possibile il potere negoziale dei lavoratori attraverso una concorrenza feroce tra di essi.

L’armonizzazione dei sistemi di istruzione, dunque, rappresenta solo un mezzo attraverso il quale realizzarlo, l’altro strumento necessario a questo fine allora è la conoscenza di almeno tre lingue europee.

C. Il libro Bianco UE su istruzione e formazione (1995)[63]

Sin dalla premessa al documento gli stati membri affermano che: “Questo investimento nel sapere gioca un ruolo essenziale ai fini dell’occupazione, della competitività e della coesione sociale. Questo Libro Bianco sebbene guardi in prospettiva all’incontro del Consiglio Europeo di Madrid, trae le conclusioni dell’incontro tenutosi a Cannes del Consiglio Europeo del 1995, che affermano che: “le politiche di formazione e apprendistato che sono fondamentali per migliorare l’occupabilità e la competitività, vanno rafforzate specialmente attraverso la formazione continua” e continua affermando “(…) pur nel rispetto del principio di sussidiarietà, il Libro Bianco dispiega le azioni a cui gli stati membri dovranno attenersi  nei loro paesi e fornisce le misure di sostegno che dovranno essere introdotte a livello comunitario”[64]. Ciò che colpisce immediatamente il lettore è che questo Libro Bianco dell’Unione Europea del 1995 sottolinea in modo particolare l’importanza che vi sia necessariamente un legame e una cooperazione tra i settori dell’istruzione di tutti i paesi membri e i loro rispettivi settori industriali, in tal modo evidenziando che l’istruzione diventi funzionale ai bisogni specifici dell’industria e delle imprese in generale. In altri termini l’istruzione non viene più vista come uno strumento attraverso il quale l’individuo si emancipa, piuttosto come una qualifica imprescindibile per l’occupazione. Pertanto qualcosa di ben diverso rispetto a quanto veniva inteso con l’idea tradizionale di Bildung che, appunto “intende la conoscenza come mezzo attraverso cui pervenire all’emancipazione, all’indipendenza, alla consapevolezza del sé e ad alla maturità”[65], come ben descritto da Uljens.

Non è un caso che nel Libro Bianco del 1995 le istituzioni scolastiche per la formazione professionale sono molto più favorite rispetto a quelle di istruzione generale o umanistica, perché, come sottolinea la EU, è attraverso la formazione continua e l’apprendistato che si può assicurare l’occupabilità alla maggior parte delle persone, anche a coloro i quali per varie ragioni non completano alcun corso di studio in scuole che possano fornir loro certificazioni o qualifiche. Perciò l’UE è favorevole a riforme dei sistemi di istruzioni che diano, a chi abbandona la scuola prima di completare il corso di studio, delle forme di riconoscimento per lo sviluppo delle loro abilità (Certificazione Delle Competenze) in contesti anche informali e non necessariamente solo attraverso l’istruzione di tipo formale come quella impartita nelle scuole. Raccomandazioni, queste, interamente recepite da Letizia Moratti durante il suo ministero nei primi anni duemila, come vedremo.

E’ dunque in questo quadro generale che gli sforzi dell’UE  che spingono verso il multilinguismo devono essere tenuti in considerazione. Infatti la padronanza linguistica incoraggiata dall’UE è, ancora una volta, enfatizzata in vista di questo progetto, ovvero il progetto di favorire le abilità individuali affinché l’individuo diventi una risorsa per il proprio futuro datore di lavoro e non per favorire lo sviluppo di queste capacità al fine di  arricchire se stesso. Questo concetto diventa abbastanza chiaro se si considera quanto riportato nel Libro Bianco a proposito di questo argomento specifico: “in modo da sviluppare la padronanza linguistica in tre lingue comunitarie è auspicabile che si cominci a studiare le lingue straniere in età pre-scolare. Si ritiene essenziale che questi insegnamenti vengano istituiti sistematicamente a partire dall’istruzione primaria, in modo da avviare l’apprendimento di una seconda lingua straniera comunitaria nella scuola secondaria. Si potrebbe anche sostenere che gli studenti della scuola secondaria studino certe discipline nella prima lingua straniera appresa[66].”

Da un punto di vista prettamente politico questa è la prima volta che il Content Language Integrated Learning(CLIL)[67] viene citato, anche se implicitamente, ed è proposto come una idea di uniformità in tutta l’UE, a prescindere dai sistemi di istruzione di ogni paese membro e le loro specifiche caratteristiche che sono anche emblematiche dei loro retroterra culturali e storici.    

Tuttavia e nonostante questi passaggi politici ben documentati, come si è appena visto, in altri documenti pubblicati a seguito di lavori svolti da commissioni alla camera dei deputati del Parlamento italiano in merito ad una risoluzione presa in occasione di un incontro tenutosi a Bologna nel giugno del 1999 alla presenza dei ministri dell’istruzione di 29 paesi – non tutti paesi membri dell’UE – si ha cura di precisare che in merito al cosiddetto processo di Bologna da attuarsi entro il 2010 circa la costruzione “di uno spazio europeo dell’istruzione” che esso non si propone “l’armonizzazione dei sistemi di istruzione dei paesi europei”, bensì il perseguimento della realizzazione di un sistema universitario fondato su due cicli di studio, di primo e secondo livello, sul trasferimento dei crediti didattici, sulla mobilità dei docenti e degli studenti, su titoli di semplice leggibilità e immediata comparabilità e sulla valutazione della qualità. Dopo il primo incontro a Bologna nel 1999, i Ministri si sono riuniti a Praga nel 2001, a Berlino nel 2003 e a Bergen nel 2005. Il prossimo incontro si terrà a Londra nel 2007. Attualmente aderiscono al processo di Bologna 45 Paesi europei, così recitano le carte della camera.[68] I lavori sono andati avanti fino all’ultimo incontro di cui si ha notizia dal sito del MIUR fino al 2015 con un’agenda che prevede una scadenza nel 2020 e di cui però non si ha ancora notizia.    

L’Autonomia scolastica, come vedremo, prosegue con inedita solerzia nel solco tracciato dall’UE  (vedasi il percorso del comunemente detto “3+2” della riforma Berlinguer per l’università italiana e l’introduzione dei crediti anche scolastici) che, a sua volta, ha recepito supinamente le direttive dell’ERT dimostrando con chiarezza che la politica ha abdicato al suo ruolo precipuo ed ha adottato quello di mero esecutore di ordini impartiti dai grandi potentati economici: le lobby.

Al seguente link troverete la pagina dedicata al saggio con l’indice completo e i vari link ai precedenti capitoli fin qui pubblicati.


One Reply to “Capitolo 2 – LE GRANDI LOBBY DEGLI INDUSTRIALI E LA SFIDA GLOBALE ENTRANO A SCUOLA”

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