Istruzione, sussidiarietà e Comunione e Liberazione

Un progetto di riforma scolastica del sindaco di Newark (NJ), cento milioni di dollari donati da Zuckerberg, come diventano un libro di denuncia tra politica, filantropia e lobbismo. Un caso di studio negli Stati Uniti e i suoi precedenti italiani.

L’antefatto

Qualche giorno fa, grazie alla segnalazione di un amico, ho guardato il video della presentazione del libro di Dale Russakoff, The Prize: Who’s in Charge of American Schools? Libro pubblicato nel 2015 e che ebbe  un ottimo riscontro di pubblico e di critica, scalando la classifica dei bestseller del New York Times.

La presentazione registrata nel video riassume la genesi del testo da parte dell’autrice, nota giornalista del quotidiano “Washington Post”, e i risultati della sua inchiesta con conseguenti conclusioni sugli appetiti che il sistema di istruzione puntualmente desta nei politici e nelle multinazionali, nonché delle ricadute negative sugli studenti e la loro preparazione che la commistione tra politica e filantropia, o per meglio dire, la commistione tra politica e lobby produce e che, in parte, spiegano lo stato attuale del sistema di istruzione statunitense. La chiarezza di esposizione e il contributo del dibattito che ne è scaturito hanno suscitato in me la curiosità per approfondire la questione, fermo restando che tra i due sistemi di istruzione: quello americano e quello italiano vi sono delle differenze enormi.

Tra queste differenze quella più rilevante è che il sistema di istruzione statunitense non è affatto unitario; infatti, sostanzialmente esistono tanti sistemi di istruzione quanti sono gli stati; l’altra differenza interessante è che non esistono i gruppi classe, bensì gli studenti seguono dei corsi modulari e raramente specificamente disciplinari – alcuni obbligatori, altri facoltativi – e, infine, che i docenti insegnano un po’ di tutto non essendo prevista una laurea disciplinare come requisito per l’insegnamento.

L’altro aspetto di primaria importanza è che nell’ordinamento statunitense l’istruzione pubblica non rappresenta un diritto dello studente – in Italia questo è un diritto sancito dall’art. 34 della Costituzione – ma solo un servizio erogato di cui possono usufruire, tant’è che l’istruzione parentale, ad esempio, è molto diffusa. Ciò, inoltre, determina il paradosso secondo il quale nello stesso territorio possono insistere istituzioni scolastiche gestite da privati e gratuite per gli studenti, in quanto sovvenzionati con fondi pubblici (Charter School d’ora in poi) e che, tuttavia non sono tenuti a rispettare gli stessi vincoli cui sono sottoposti le scuole pubbliche dello stesso territorio che peraltro hanno l’obbligo di rendicontazione sulle prestazioni degli studenti a differenza delle Charter School che non sono obbligate alla rendicontazione.

Ne deriva una situazione che provoca una concorrenza selvaggia tra le due tipologie di scuole e che minaccia l’esistenza stessa delle scuole pubbliche, spesso costrette a chiudere perché impossibilitati a fornire una preparazione adeguata ai loro iscritti. In molti casi, come si può ascoltare nel video, sono stati adottati stratagemmi per rendere più facili le prove standardizzate in modo da incrementare il numero di studenti con risultati positivi, in altri è stata evidenziata la tendenza a barare sui risultati al fine di non dover chiudere le scuole pubbliche dei distretti, le quali rappresentano per molti studenti – specie per quelli dei quartieri prevalentemente popolati da afroamericani e ispanici – l’unico accesso all’istruzione.

Il libro di Ruskoff prende spunto da un caso specifico che diventa il suo caso di studio.

Il caso di studio

Il 24 settembre 2010, durante una puntata del popolarissimo programma di Oprah Winfrey, il sindaco di Newark del New Jersey, il democratico Cory Booker, il governatore dello stato, il repubblicano Chris Christie, e il co-fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, annunciano in diretta un grandioso piano di riforma per le scuole della città di Newark.

Il piano illustrato in diretta televisiva prevede la donazione di ben cento milioni di dollari da parte di Zuckerberg e la promessa dei politici di integrare questi finanziamenti con altrettante somme da parte di altri filantropi per avviare un piano di riforma a medio e lungo termine.

I cittadini, dunque, apprendono così delle novità che li vedrà direttamente interessati. Novità che in molti casi rivoluzionerà la loro quotidianità.

Le riforme che si intende varare dall’alto, senza aver mai consultato la cittadinanza, mirano a trasformare, più che le scuole, la loro amministrazione modificando i contratti di lavoro dei docenti e degli impiegati in un’ottica prettamente aziendale premiando i “docenti esperti” con aumenti stipendiali sganciati dalla progressione legata all’anzianità di servizio e al contempo “punendo” i docenti meno capaci. Lo stesso impianto di modifica lo si vuole applicare anche agli impiegati più produttivi al fine anche di ridurre il potere dei burocrati e dei sindacati delle scuole.

L’approccio aziendale si riflette anche sulla valutazione dei docenti che si intende certificare “esperti” attraverso i risultati conseguiti dai loro studenti nelle prove standardizzati che tutti gli studenti americani sono tenuti a superare per poter accedere all’istruzione superiore dei college e delle università, i risultati insufficienti degli studenti ricadranno sui docenti che saranno invece penalizzati (sorge spontaneo il dubbio che il ministro Bianchi sia stato ispirato da questa trovata e ne abbia copiato l’intero impianto con l’introduzione del suo “docente esperto”, tuttavia gli dev’essere sfuggito l’epilogo americano – molto interessante riguardo al concetto di merito e docente esperto la riflessione di Salvatore Cingari in questo articolo uscito sul manifesto il 27 agosto).

I fondi donati da Zuckerberg, il quale puntava a realizzare un modello virtuoso da esportare nel resto del paese, dovevano servire per migliorare il livello dell’istruzione degli studenti e, al contempo, lo status sociale dei docenti statunitensi percepiti dalla stragrande maggioranza della popolazione come dei privilegiati incompetenti.

La scelta di Newark come teatro della sperimentazione riformatrice è puramente politica

La situazione dell’istruzione a Newark era precaria già da decenni registrando progressivamente un alto tasso di abbandono scolastico e di studenti con livelli di apprendimento ben al di sotto della media nazionale e delle rilevazioni internazionali. I dati registrati nel 2009 confermavano la tendenza decennale, rilevando, per altro, che ben il 95% degli studenti in maggiori difficoltà erano afroamericani o ispanici. In 23 delle 75 scuole dei distretti meno del 30% degli studenti (dati riguardanti studenti che andavano dalla terza elementare alla terza media) erano in grado di raggiungere i livelli di apprendimento previsti in lettura (reading literacy).

Pertanto, il progetto di Zuckerberg si apprestava ad affrontare una sfida significativa soprattutto dal punto di vista politico.  

La soluzione proposta dai tanti consulenti esterni cui il governatore dello stato e il sindaco di Newark avevano affidato analisi e progetto, pagati profumatamente (alcuni anche con la cifra di mille dollari al giorno), fu di istituire delle charter school da affiancare a quelle pubbliche dei vari distretti della città.

Il risultato dopo cinque anni è stato del tutto deludente sia dal punto di vista degli obiettivi perseguiti, sia da quello dei disagi provocati a studenti e famiglie della città che nulla hanno potuto dire o fare per comunicare ai politici i loro bisogni.

L’introduzione delle Charter School non ha affatto generato, come inizialmente auspicato, collaborazione con le scuole pubbliche dei vari distretti cittadini, al contrario ha sviluppato concorrenza impari in quanto le Charter School, come si è già detto, seppur finanziate da fondi pubblici sono a gestione privata e non sono tenuti a rispettare i requisiti imposti a quelle pubbliche. Ciò vuol dire, ad esempio, che questo tipo di scuole non è tenuta ad accettare tutti coloro che fanno richiesta di iscrizione; quindi può rifiutare quelle di studenti con bisogni educativi speciali, quelle di studenti con disagi specifici di apprendimento e pure di quegli studenti con valutazioni basse o incostanti. Scelte finalizzate a mantenere alto il rendimento complessivo degli istituti a netto discapito delle scuole pubbliche dei distretti che non avendo alcuna scelta ed essendo costrette ad operare in condizioni di estreme difficoltà, risultano fornire una qualità dell’istruzione significativamente inferiore e innescando un effetto domino con la chiusura di molte scuole pubbliche del distretto aggravando ulteriormente i problemi annosi e strutturali anziché risolverli.

Va segnalato, inoltre che le scuole pubbliche soffrono di un cronico sovraffollamento delle classi e che, perciò, anche la didattica ne risente in modo sensibile. Oltretutto, ai disagi prodotti da un sistema di istruzione poco, o per nulla rispondente, ai bisogni degli studenti si sono anche aggiunti disagi di tipo logistico. Infatti, l’istituzione delle Charter School ha imposto a molti studenti di spostarsi da una zona all’altra della città, in alcuni casi costringendo gli studenti ad attraversare quartieri molto poco sicuri controllati da gang giovanili e in mano alla criminalità organizzata, mettendo a repentaglio la propria incolumità; in altri casi, a causa dell’algoritmo utilizzato per l’assegnazione degli studenti alle scuole i risultati sono stati addirittura paradossali, per cui studenti provenienti dallo stesso nucleo familiare si sono ritrovati iscritti in scuole lontanissime tra loro creando non poche difficoltà ai genitori. Tutto ciò senza che la cittadinanza venisse mai coinvolta o anche solo consultata dai decisori politici che sono, appunto, da decenni i responsabili di tutti questi fallimenti che inevitabilmente ricadono sui cittadini.

Il libro

Questo esperimento riformatore totalmente fallito, gestito dalla politica e finanziato da un filantropo è stato puntigliosamente ricostruito da Dale Russakoff, nel suo libro-inchiesta, The Prize: Who’s in Charge of America’s Schools? Tra i meriti dell’autrice che ha condotto sul campo una ricerca certosina intervistando un gran numero di testimoni coinvolti sia nell’istruzione in qualità di docenti, sia come cittadini cui il sistema d’istruzione dello stato del New Jersey non ha fornito quanto loro spettante di diritto e persino Zuckerberg e la moglie, c’è quello di aver fatto emergere anche l’impatto razzista e postcoloniale che questo approccio riformatore di chiaro stampo aziendale calato dall’alto ha avuto sulla cittadinanza che lo ha subito ob torto collo. Le assemblee pubbliche promosse inizialmente, per stessa ammissione di un portavoce dei politici, avevano essenzialmente lo scopo di fare pubblicità all’iniziativa e non certo di coinvolgere direttamente i cittadini interessati nelle scelte da compiere, poiché la strategia era già stata interamente disegnata dal sindaco della città, dal governatore dello stato e da Zuckerberg, e questo perché, come sostiene Russakoff nel suo libro, “la filantropia è per definizione antidemocratica e le sue priorità sono definite dai ricchi donatori e dalle loro fondazioni”.

Ne consegue che, in una città come Newark in cui la corruzione dei politici ha radici profonde, la scarsa trasparenza e la sostanziale indifferenza nei confronti dei reali bisogni del territorio con le quali è stata perseguita questa riforma, ha dato concretezza alle antiche paure di una comunità cittadina che ha sempre percepito quei facoltosi benefattori, di solito bianchi, come coloro che traggono vantaggi personali dai loro disegni politici sull’istruzione a scapito dei residenti abbandonando gli studenti nell’ignoranza più totale. L’intera operazione percepita, dunque, come postcoloniale e razzista, imposta dall’alto ha, successivamente, innescato una vasta indagine contro presunte violazioni di diritti civili.

La situazione italiana

La storia di cui si è dato finora conto ha svariati parallelismi con la situazione italiana, sia con quella più recente relativa all’introduzione del “docente esperto” da parte del ministro di un governo dimissionario, sia con quella più datata, come vedremo subito.

La volontà della politica italiana di sviluppare un sistema d’istruzione che contempli due tipologie di scuole: quella pubblica e statale e quella paritaria risale a poco meno di trent’anni fa ed ha visto coinvolti ministri di tutti gli schieramenti politici. Infatti, nonostante la nostra Costituzione all’art. 33 stabilisca che le scuole private non debbano essere finanziate dallo stato,

nel 1998 prima e nel 1999 dopo, il ministro della pubblica istruzione (Luigi Berlinguer, ora nel PD) del primo governo Prodi, con i decreti 261/98 e 27/99 spiana la strada alla parificazione tra scuola pubblica e statale e scuola privata, sostenendo che entrambe svolgono “una funzione pubblica”. Successivamente, sempre lui, Luigi Berlinguer ministro della pubblica istruzione del secondo governo D’Alema, con la legge 62/2000 estende alle scuole paritarie le esenzioni fiscali previste per gli enti senza fine di lucro, istituendo per altro i buoni scuola come contributi destinati alle famiglie a parziale copertura delle spese scolastiche e ad aumentare i finanziamenti per scuole parificate.

Con queste aperture da parte della sedicente sinistra, si apre una prateria per i governi di destra e infatti nel primo governo Berlusconi è Letizia Moratti che procede:

https://gliasinirivista.org/le-idee-sulla-scuola-di-comunione-e-liberazione-2/

Non solo:

https://gliasinirivista.org/le-idee-sulla-scuola-di-comunione-e-liberazione-2/

da notare anche il numero di studenti per classe richiesto perché le scuole private possano ricevere contributi statali, non a caso per la regione Lombardia è tutto grasso che cola e infatti:

https://gliasinirivista.org/le-idee-sulla-scuola-di-comunione-e-liberazione-2/

Questo vuol dire che a percepire il buono, appunto per “i ricchi”, è anche gente più che facoltosa e che dovrebbe ritenere essa stessa sacrilego usufruirne, soprattutto quando il mantra generale ripete fino allo sfinimento che soldi per l’istruzione non ce n’è mai.

E tuttavia, la scuola non è un buon affare solo quando ci si occupa dei figli delle famiglie più abbienti, al contrario essa rappresenta un ottimo negozio anche quando la politica si occupa di quella dedicata agli studenti meno fortunati e soprattutto quando esiste un armonioso connubio tra politica e fondazioni la cui esistenza deve molto al principio di sussidiarietà che si è andato sviluppando in questi ultimi trent’anni per cui, lo Stato come gestore e regolatore del sistema deve fare un passo indietro lasciando campo libero a quelle lobby, magari confessionali, che meglio possono rispondere alle istanze dei territori. Ed è qui che l’impegno di Comunione e Liberazione, in Lombardia soprattutto e grazie a Formigoni, diventa straordinario sotto tutti i punti di vista.

Partiamo da qualche dato significativo:

https://gliasinirivista.org/le-idee-sulla-scuola-di-comunione-e-liberazione-2/

Quest’ultimo è indiscutibilmente un caso emblematico che evidenzia come serpeggi concretamente nel Paese, e non da oggi, un chiaro progetto politico (invisibile solo ai ciechi) che ha come scopo principale quello di istituire due categorie di scuole, da una parte la scuola pubblica e statale svuotata di ogni contenuto, tant’è che si mette sempre l’accento sui metodi didattici innovativi per sviluppare le competenze dei discenti mentre sempre meno rilevanza hanno i saperi concreti, per la quale non ci sono mai fondi disponibili. Dall’altro lato un moltiplicarsi di scuole private, sia di tipo più simile a quelle blasonate ed esclusive dove, al contrario, quei saperi concreti non vengono affatto depotenziati e sminuiti in quanto utili a quegli studenti che dovranno diventare classe dirigente; sia scuole sempre più improntate al cosiddetto “saper fare” che deve sostituire interamente il “saper essere” per quegli studenti che dovranno invece incarnare solo la classe lavoratrice sempre meno tutelata e protetta dai “padroni”. Quegli stessi padroni che, parafrasando il titolo del libro di Dale Russakoff, detengono interamente il potere sul nostro sistema di istruzione, politici e ricconi travestiti da benefattori disinteressati, i filantropi delle fondazioni, come CL e la fondazione Agnelli, solo per citare le più note.

È solo attraverso la cultura che si può realizzare questa trasformazione

La strategia è ben nota e collaudata da anni, messa in atto già negli Stati Uniti con le campagne mediatiche massicce commissionate dai Chicago Boys e tutta la schiera di economisti neoliberisti arruolati nelle fondazioni dei fratelli Koch e pubblicizzate come prestigiosi think tank, così autodefinitisi e senza scopo di lucro, nonché denunciata già da decenni da Noam Chomsky. Si tagliano risorse ai servizi, dalla sanità pubblica all’istruzione, si rende così inefficiente il sistema nel suo insieme e grazie alla gran cassa dei giornali e giornalisti compiacenti (per esempio Lucia Annunziata e Paolo Mieli organici all’Aspen Institute Italia presieduto da Giulio Tremonti, fondazione finanziata anche dall’istituto CATO dei due fratelli magnati Koch; o ad esempio Lilli Gruber e Beppe Severgnini invitati al convegno esclusivo del Bilderberg nel 2017, quest’anno in rappresentanza italiana c’era Stefano Feltri)  si induce l’opinione pubblica a credere che la risposta sia la privatizzazione.

È già successo con la sanità e gli effetti nefasti li stiamo scontando tutti, ma il prossimo obiettivo è lo smantellamento del sistema d’istruzione dalla scuola dell’infanzia fino all’università, per la verità già a buon punto. È, infatti, già in atto da svariati decenni e non c’è il minimo accenno ad un’inversione di rotta perché la trasformazione culturale è già radicata e siamo stati tutti vittime di questa operazione, nessuno escluso. Né i docenti che si affannano ad applicare le metodologie innovative presentate come la panacea di tutti i mali e che però continuano a mietere vittime scolastiche, vedi i dati disastrosi sulla dispersione e l’abbandono; né studenti o genitori che pretendono “formazione” anziché esigere istruzione.

L’importanza fondamentale che un sistema di istruzione ha per un paese può essere sottovalutato solo dagli stolti, infatti è attraverso l’istruzione in generale e la scuola in particolare che si dà forma ad un’identità culturale e nazionale, è solo attraverso l’istruzione delle giovani generazioni che si costruisce una società. Ma questa può privilegiare lo sviluppo dello spirito critico attraverso i contenuti, lo studio delle materie per consentire ai giovani di costruire il proprio bagaglio culturale e l’emancipazione come prevede la nostra Costituzione che mette l’accento su una scuola laica in uno stato laico; oppure può essere di segno molto diverso, ovvero un’istruzione ispirata ad una formazione culturale ideologica, come avviene nei paesi autoritari e come accade nelle scuole confessionali, ovvero puro e semplice addestramento attraverso l’indottrinamento.

Quale strada si ritiene più adatta a noi oggi? È su questo, credo che si debba davvero riflettere analizzando con cura e attenzione le varie sfaccettature che i due percorsi contengono sia in forma esplicita, ma ancor di più, implicita.

Conclusioni

Al netto delle tante differenze che contraddistinguono i sistemi di istruzione italiano e statunitense e, soprattutto, al netto dei due tipi di società diversissimi per origine culturale che dovrebbero spingerci sempre a ponderare bene ogni tipo di impulsiva assimilazione, si possono comunque trovare delle analogie interessanti.

Nel video proposto e che ha rappresentato lo spunto dal quale sono partita per le mie riflessioni Dale Russakoff conclude la presentazione del suo libro dicendo che ciò di cui le scuole di Newark, e non solo, hanno realmente bisogno è di un ascolto davvero attento alle questioni poste dai docenti i quali tutti concordano su alcuni aspetti di importanza primaria.

Il primo riguarda indubbiamente il sostrato socioculturale che caratterizza gli studenti e non si discute sul fatto che coloro i quali provengono da ambienti famigliari in estremo disagio economico, sociale e conseguentemente culturale, necessitano di maggiori attenzioni e di aiuti mirati affinché possano efficacemente superare il divario che li separa dai compagni più fortunati. Le condizioni di povertà, dunque, e il disagio familiare, quale che sia, rappresentano i fattori primari e gli ostacoli maggiori ai fini della loro capacità di apprendimento fin dalla più tenera età con ripercussioni sull’intero arco della loro vita se non vengono affrontati per tempo.

Il secondo aspetto, strettamente collegato al primo, sottolinea che affinché la didattica possa essere efficace, è indispensabile che venga ridotto il numero di studenti presenti nelle classi, solo così ogni docente può effettivamente dare il meglio a ciascuno studente e la scuola essere veramente inclusiva.

Infine, il terzo e non meno importante fa riferimento al tempo, l’insegnamento, come qualsiasi attività intellettuale, necessita di tempi dilatati da dedicare alla riflessione sul proprio operato e che va di pari passo con l’osservazione sul campo degli studenti e delle dinamiche che si sviluppano in ogni gruppo classe. Osservazione e riflessione sono due aspetti imprescindibili per affinare al meglio la didattica da proporre, studiata su misura per ogni classe diversa in modo da soddisfare quanto più possibile i bisogni di ciascuna classe e degli studenti che ne fanno parte. Osservazione e riflessione necessitano di tempi lunghi, scevri da pressioni esterne, esse sono i cardini su cui si fonda un approccio valutativo che favorisca lo sviluppo intellettuale e scolastico del discente, tuttavia se il docente non è messo nelle condizioni materiali di poter svolgere il proprio lavoro a risentirne sarà sempre l’apprendimento degli studenti.

© L. R. Capuana

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