Un paragone che non sta in piedi ma che serve ad orientare l’opinione pubblica per sottolineare quanto brutti e cattivi siano al sud, barano sugli esami di stato.
Puntuale come un orologio svizzero ogni anno a fine luglio si riaccendono le polemiche e si scaldano gli animi su quelle che gli “esperti” definiscono incongruenze emerse dalla comparazione tra i risultati degli esami di stato e quelli delle prove INVALSI il cui rapporto, quest’anno, è stato presentato in pompa magna alla Sapienza di Roma e alla presenza del ministro il 6 luglio scorso.
Non importa che da anni puntuali, come le polemiche, arrivino altrettante confutazioni di questo assunto, le “incongruenze”, perché sarebbe come paragonare mele e pere. Non importa che da anni si metta in evidenza che si tratta di polemiche inutili e senza fondamento, no.
Ciò che importa è che gli esperti ne parlino e ne parlino come fa più comodo a lor signori.

Inventarsi l’inaffidabilità dell’esame di stato per abolirlo
Perché non ha senso mettere a confronto i risultati delle prove INVALSI e quelli degli esami di stato è presto detto ed è da ricondurre allo scopo per cui sono state introdotte le suddette prove che è ben delineato dall’istituto stesso:

Dunque, i concetti di cui si deve tener conto quando si parla di prove INVALSI, lo ripetiamo, sono: produttività, efficienza, efficacia e rapporto costi-benefici del sistema di istruzione rispetto alla spesa pubblica. Concetti, tuttavia, del tutto estranei allo scopo intrinseco del sistema d’istruzione e perciò risulta ancor di più dubbio gusto l’accostamento fatto nel tweet tra reddito pro capite della Calabria e valutazioni con lode degli studenti di quella regione.
Ma se le prove standardizzate rappresentano un sistema di controllo esterno che ha come obiettivo l’oggettività, questa è davvero garantita dall’INVALSI? Non proprio, infatti è proprio l’istituto che nel suo rapporto del 2015, a p. 70 riporta quanto segue:

Ciononostante le polemiche che riscuotono sempre grande interesse sulle maggiori testate giornalistiche si guardano bene dal mettere in evidenza quanto segue:

Quindi, benché si dica chiaramente che esiste una differenza sostanziale tra i diversi ordini e gradi di scuola in merito ai contenuti grammaticali e conseguenti competenze che le prove INVALSI, per esempio, di italiano vorrebbero misurare questa stessa discrezionalità evidenziata dall’istituto stesso non è minimamente tenuta in considerazione quando se ne dà conto al pubblico nei resoconti giornalistici che, al contrario, offrono al dibattito solo un aspetto e per altro molto discutibile.
L’altro aspetto di cui non si dà mai conto è che, contrariamente a quando disposto per legge, di fatto esiste:

Ma ciò che appare ancor più sconcertante è che nonostante queste discriminazioni e questa, a dir poco, opinabile presunta oggettività che lo stesso istituto dichiara di non poter garantire circa il suo operato, si aggiunge al danno la beffa mettendo nello stesso calderone i risultati delle prove standardizzate che, proprio perché standard, creano vistose discriminazioni tra studenti diversi con percorsi scolastici del tutto differenti con i risultati delle prove d’esame che, malgrado tutte gli eventuali problemi che possano presentare, comunque si dimostrano essere più affidabili nella valutazione degli studenti, se non altro perché tengono conto di tutto il percorso scolastico svolto dagli studenti.
E tuttavia si rileva che la polemica intorno ai risultati degli esami presenta non poche questioni che destano ulteriori perplessità. Per esempio tanti si lamentano dell’alta percentuale di promossi durante gli esami a fronte di un rendimento nelle prove INVALSI non in linea con i risultati degli altri paesi europei, come se, appunto, queste due tipologie di prove fossero incentrate sugli stessi temi da valutare; ma come abbiamo visto così non è, infatti gli esami devono valutare il candidato sulla prestazione e preparazione delle prove d’esame che si articolano in prove scritte ed orali relativi ai contenuti e agli argomenti svolti durante l’anno scolastico facendo tesoro di ciò che hanno appreso anche durante i precedenti quattro anni di scuola.
Pertanto se le prove INVALSI valutano le competenze in tre macro-aree: italiano, matematica e, recentemente, inglese, l’esame valuta le conoscenze acquisite durante tutto il percorso scolastico.
E allora perché ogni anno si ripete lo stesso teatrino? E su cosa si basa? Sul nulla, in realtà se si osserva con attenzione si può osservare che:

E non è ciò che accade anche per le rilevazioni INVALSI? Ossia che i risultati delle prove standardizzate riflettono una preparazione e competenze più significative tra gli studenti dei licei, mentre per quelli degli istituti tecnici e professionali i risultati mostrano delle carenze, quindi la fotografia è pressoché uguale, a parte un dato: statisticamente risultano più favoriti gli studenti del sud rispetto a quelli del nord circa i risultati degli esami, ma, appunto, sono più numerosi gli studenti del sud che frequentano i licei rispetto a quelli del nord? E, ancora, se i voti degli esami al sud sono gonfiati come si spiega che gli stessi studenti del sud che si iscrivono e frequentano le università del nord non abbiano difficoltà e invece ottengono risultati rispettabilissimi anche nei loro studi universitari? Il mistero si infittisce. La polemica invece dovrebbe dissolversi.
Infine, questa polemica che mette in contrapposizione i risultati dei due tipi di rilevazioni è oltretutto ipocrita, infatti sebbene di solito si mettano sotto accusa i docenti per la facilità quasi sadica con cui bocciano gli studenti, quando si arriva ad analizzare i risultati degli esami l’accusa diventa del tutto opposta, i docenti sono di manica larga e promuovono tutti.
Sarebbe opportuno mettersi d’accordo: o i docenti sono dei sadici o delle fate turchine.
Ricci, presidente dell’INVALSI, interpellato sulla polemica in corso da Sara De Carli per il sito Vita.it – un sito che si occupa molto attivamente di divulgare le attività del terzo settore, in particolar modo del volontariato cattolico -, qualche piccola concessione ai docenti la fa, ma appena appena, limitandosi a dire che il cosiddetto gap tra le due rilevazioni è fisiologico visto che l’esame valuta aspetti scolastici del tutto estranei alla valutazione condotta da INVALSI, poi però non rinuncia ad assestare la stoccata sferzandoli comunque, infatti, parla di “un mancato rapporto d’amore tra la valutazione di scuola e la valutazione standardizzata” e continua dicendo che il rapporto tra scuola e INVALSI non va bene se tra le due rilevazioni c’è una tale differenza. Ma aggiunge anche che a suo parere la scuola continua ad avere una tendenza troppo selettiva. Come dire: un colpo al cerchio e uno alla botte, sostanzialmente sottolineando che nonostante tutto i docenti se non bocciano agli esami la scrematura selettiva la fanno negli anni precedenti.
Ma e allora perché i dati INVALSI sono così impietosi? Non c’è qualcosa che non torna sulle prove standardizzate? No, quelle sono infallibili. Infatti, leggendo tra le righe e nemmeno tanto nascosto emerge il fine ultimo: delegittimare le scuole, invalidare l’affidabilità delle valutazioni agli esami per raggiungere lo scopo che è di eliminare del tutto l’esame e con esso il valore legale del titolo di studio a favore degli infallibili test INVALSI.
La libertà di scelta: scuole di serie A, private e di alta qualità, scuole di serie B, pubbliche e incentrate sulla socializzazione
A riprova di quanto detto sopra le prove standardizzate sono sponsorizzate da tutti, dagli economisti fino ai massimi esponenti del Terzo Settore com’è appunto Vita.it, da quanto si può vedere, nell’immagine sotto, il comitato editoriale del sito è ricco di presenze importanti del mondo dell’associazionismo volontario, specie cattolico:

E di cosa si occupa il suddetto comitato editoriale? Essenzialmente è una lobby, infatti sono molto attivi in campagne di mobilitazione, grazie anche all’apporto di giornalisti, di attivazione civica e di comunicazione su istanze del Terzo settore, sociali, legislative e d’opinione. Il loro scopo dichiarato è di cambiare il paese secondo, ovviamente e legittimamente, la loro prospettiva. Ciò che colpisce è lo schieramento imponente di forze che veicola un’idea di scuola, quella propugnata dallo stesso INVALSI, ossia una scuola che non è all’altezza delle sfide della contemporaneità perché i docenti non sono abbastanza preparati e necessitano di una più robusta e mirata formazione. Molti di questi enti del Terzo Settore, tra i quali anche alcuni presenti in questo comitato, manco a dirlo si occupano di formazione.

Le contraddizioni e la mancanza di logica in questa “narrazione” pubblica, come abbiamo visto, sono molteplici: da una parte ci sono i docenti che lamentano di avere le mani legate e quindi di essere costretti a promuovere tutti indiscriminatamente e al di là di ciò che gli studenti sono in grado di dimostrare di aver appreso realmente a causa di un sistema diventato aziendalista che ha l’obbligo di accontentare i clienti-studenti/famiglie, un sistema che per questa sua caratteristica ha abbassato i livelli di apprendimento perché, tra l’altro, il sovraffollamento delle classi è uno dei più importanti fattori che impediscono di svolgere una didattica di qualità e di seguire gli studenti come meriterebbero per inadempienze dello stato e non per una cattiva interpretazione dell’inclusione. Dall’altro li si accusa di essere troppo indulgenti durante gli esami e però contemporaneamente di favorire una scuola troppo selettiva.
Ma com’è possibile allora imputare ai docenti le carenze degli studenti rilevate nelle prove standardizzate e allo stesso tempo sostenere che essi promuovono troppi studenti agli esami e con voti troppi alti? Come si è visto non c’è in realtà una spiegazione logica, a meno che non la si cerchi dietro le quinte. E’ ormai chiaro che la scuola pubblica statale debba essere quotidianamente delegittimata nella sua opera complessiva e queste polemiche tendenziose, capziose e strumentali sono funzionali ad un disegno politico già in atto da anni.
Incompetenza o progetto politico
Lo scopo è abbastanza evidente e sostenere che si parla di scuola sempre a sproposito e che chi ne parla sui media è incompetente perché non ha mai messo un piede in classe significa sottovalutare totalmente la questione, in realtà si vuole trasformare la scuola pubblica e statale in un guscio vuoto e se la stragrande dei partiti politici si nasconde dietro la distorsione del lessico per varare cambiamenti venduti come riforme ma, nella concretezza, controriforme, il partito di Meloni usa la schietta verità e propone quanto segue:

Il merito di Meloni è di non usare infingimenti e di proporre con assoluta e genuina chiarezza la volontà di istituire scuole di serie A per le élite – knowledge oriented e scuole di serie B sulla falsariga delle charter school americane. Ma è esattamente ciò che propone Gavosto, a capo dal 2008 della Fondazione Agnelli che sulla scuola ha idee ben chiare tanto da deciderne le sorti da anni, nel suo intervento al Live del 27 luglio su “La Tecnica della scuola” sostiene candidamente che il fenomeno delle cosiddette classi “pollaio” non esiste e a sostegno delle sue tesi richiama le previsioni normative della riforma Gelmini, ma il punto è proprio questo, va abolita la riforma Gelmini.

Ma la chicca finale ce la riserva Toccafondi di Italia Viva e della Buona Scuola di Renzi:

Interessante è anche l’occhiello dell’articolo che compare nel link: 30 o 150 studenti per la lezione frontale è lo stesso. Quindi, il problema è la lezione frontale e i docenti non preparati che necessitano di formazione. Si torna sempre lì.
© L. R. Capuana
Capitolo 2 – LE GRANDI LOBBY DEGLI INDUSTRIALI E LA SFIDA GLOBALE ENTRANO A SCUOLA