ESAME DI STATO, È TEMPO DI ABOLIRLO

Il dibattito più vivace sui mezzi di informazione e sui social degli ultimi giorni vede l’esame di stato in primo piano che, secondo tanti, andrebbe abolito sostenendo le posizioni più disparate.

Da una parte, chi dice che si tratta di un rito di passaggio ormai obsoleto che va eliminato perché sono già troppe le verifiche sostenute durante il percorso di studi; dall’altra, chi sostiene che dovrebbe valere la valutazione espressa dai docenti delle classi senza ulteriori prove d’esame, pertanto va abolito; fino a chi ritiene che debba far fede il curriculum, o portfolio, dello studente relativo al secondo biennio e all’ultimo anno di secondaria di secondo grado desunto dai crediti scolastici degli ultimi tre anni appunto, tutti sembrano concordi nel chiedere la sua abolizione.

Candidarsi ad un impiego oggi, soprattutto nel settore privato, vuol dire superare una serie di colloqui – una serie, non un solo colloquio -; emulando le strategie di reclutamento statunitensi (già, nemmeno si trattasse di forze armate) durante i quali si pongono ai candidati un numero significativo di domande al fine di sondarne persino la stabilità emotiva e psicologica in quanto, inevitabilmente, ciascuno verrà sottoposto a pressioni, sicuramente in competizione per sbaragliare gli altri candidati e in seguito per fare le scarpe ai colleghi, potenziali avversari, sempre e comunque.

Per quanto invece riguarda il settore pubblico, almeno per l’Italia, è previsto il superamento di un concorso pubblico. Un altro esame.

Il problema però rimane un po’ per tutti l’esame di stato.

Ricordo un tempo in cui l’esame di stato era semplicemente un passaggio necessario, previsto dalla Costituzione e che non veniva messo in discussione. Poi sono arrivati i riformisti di tutto l’arco costituzionale e l’esame di stato è diventato l’oggetto del contendere. In che senso? È presto detto, l’esame di stato è indispensabile per dare valore legale al titolo di studio.

QUANDO È STATO INTRODOTTO

L’esame di stato venne introdotto da Giovanni Gentile, il filosofo che in epoca fascista, da ministro dell’istruzione, è passato alla storia come il fautore della riforma scolastica che ha inciso maggiormente nel nostro sistema di istruzione. Fedele allo spirito spiccatamente classista e selettivo, che permea tutto l’impianto della riforma Gentile, anche l’esame di stato, in vigore dal 1923 fino ai primissimi anni della Seconda guerra mondiale, è classista e rigorosamente selettivo.

Tra gli aspetti più interessanti si segnala che si chiamava esame di maturità e prevedeva, per gli unici due licei di allora (il classico e lo scientifico), che i candidatati svolgessero ben quattro prove scritte e che il colloquio orale vertesse su tutti i programmi delle materie degli ultimi tre anni di scuola per quelli del liceo classico e degli ultimi quattro anni per il liceo scientifico. La commissione era composta interamente da docenti esterni e alcuni addirittura erano docenti universitari; inoltre, le sedi d’esami erano solo 40 per gli esami del classico e 20 per quelli dello scientifico in tutto il paese; i candidati, pertanto, dovevano recarsi nelle sedi assegnate e soggiornarvi per tutto il tempo necessario, a loro spese. Appunto, un esame di censo prima ancora che di preparazione.

Bisogna altresì ricordare che solo questi due indirizzi scolastici consentivano l’accesso allo studio universitario. Infatti, gli studenti degli istituti tecnici erano del tutto esclusi dall’università e quanto ai professionali, semplicemente non esistevano. C’era invece l’avviamento professionale a cui si iscrivevano gli studenti che per varie ragioni non potevano frequentare la scuola media, propedeutica per l’iscrizione al liceo, in genere per ragioni economiche o perché tali scuole erano inesistenti nei comuni di residenza. L’avviamento professionale aveva durata biennale dopo il conseguimento della licenza elementare.

Il primo anno della sua introduzione, agli esami dell’anno scolastico 1924/25, l’impatto fu memorabile, infatti, i promossi a quell’esame di maturità furono appena il 59,5% dei candidati del liceo classico, mentre ancor meno quelli dello scientifico, solo il 54,9%.

COME È CAMBIATO

Abolito durante la guerra e poi reintrodotto con modifiche negli anni Cinquanta, è solo nel 1969, a seguito delle rivolte studentesche, che l’esame di maturità gentiliano viene definitivamente messo in soffitta e si realizza una vera e propria rivoluzione. Fino al 1998 l’esame di maturità sarà costituito da due prove scritte, la prima, di italiano, comune a tutti gli indirizzi, il famoso “tema”; la seconda prova scritta era quella di indirizzo, come è oggi. Ma c’erano delle differenze sostanziali rispetto al presente: le materie all’orale erano due, una scelta del candidato e l’altra assegnata dalla commissione (in genere, tuttavia, se gli studenti riuscivano a mettersi d’accordo prevedendo un buon equilibro al loro interno, anche la seconda materia di fatto poteva essere scelta dagli studenti, viceversa la commissione faceva valere la sua prerogativa di cambiare la materia anche la sera prima del colloquio) i cui membri erano tutti esterni salvo un solo membro interno scelto, di solito, dalla classe. 

Quindi, dal 1923 al 1998, in ben 75 anni, i cambiamenti sostanziali sono solo due. Al contrario dal 1998 ad oggi non si contano le modifiche piccole e grandi apportate. Innanzitutto viene da quel momento definito “esame di stato” e, inizialmente, venne eliminata del tutto la presenza di commissari esterni (la priorità era di risparmiare) e, facendo un salto a ritroso, quasi tutte le materie divennero oggetto d’esami; fu di brevissima durata fu sostituito da un’architettura che tendesse ad una sorta di maggiore equilibrio, quindi la commissione divenne in parte interna e in parte esterna, le materie oggetto d’esame vennero ridotte, compensate dall’introduzione della terza prova preparata dalla commissione.

Successivamente, negli anni precedenti la pandemia si eliminò la terza prova, o “quizzone”, e si introdussero le tre buste a scelta – oggetto di grande ironia – con i materiali da cui far partire l’esame orale ora definito colloquio. Le tre buste intanto sono state eliminate, sono rimasti i materiali da far scegliere al candidato da cui partirà per fare i collegamenti trasversali e multidisciplinari tra le varie materie d’esame, un esercizio intellettuale di non facile svolgimento per gli studenti, bisogna dirlo.

Inoltre, se fino al 1998 le materie erano due, oggi sono diventate cinque, in alcuni casi anche di più, infatti, va precisato che se un docente è abilitato all’insegnamento di due materie i collegamenti su cui dovrà cimentarsi il candidato dovranno includere anche quelle; pertanto, si oscilla tra le cinque e le sette/otto materie. Non è per niente così facile come si vuole lasciar intendere, tra l’altro anche se alla commissione viene raccomandato di non porre domande per non distrarre il candidato dal ragionamento che sta tentando di fare organizzandolo in pochi minuti, molte volte diventa necessario per sbloccare gli studenti in momenti di naturale impasse.

ESAMI DI STATO E INVALSI

Quanti vorrebbero l’abolizione dell’esame di stato possono stare tranquilli perché nei fatti è ciò che sta avvenendo. Sebbene, allo stato attuale, i risultati delle prove INVALSI non concorrano alla valutazione finale del voto di diploma conseguito durante l’esame di stato, il loro espletamento è sato reso obbligatorio per poter essere ammessi a sostenerlo (d.lgs 62/2017 – Valeria Fedeli ministro dell’istruzione del governo Gentiloni).

La ragione per cui le prove INVALSI sono diventate un perno attorno cui ruota la scuola italiana è che per suo tramite è possibile creare un profilo dello studente italiano tipo, classificarlo come risorsa di “capitale umano” appetibile, o meno, per un potenziale datore di lavoro o, in alternativa, per un ateneo che debba accettare la sua iscrizione, quindi sostanzialmente uno strumento di discriminazione. Infatti, a dispetto, della sbandierata propaganda secondo cui queste rilevazioni siano anonime e quindi, l’istituto sostiene, sia impossibile risalire all’effettiva identità degli studenti, tanto più, assicura sempre l’istituto, esse costituiscono mero materiale di ricerca per individuare le carenze del sistema di istruzione italiano e conseguentemente indicare le possibili ricette per migliorare; nella realtà mentono spudoratamente tant’è vero che lo studente può scaricare dal sito l’esito delle prove da allegare al proprio curriculum.

L’altra ragione sottaciuta, e mascherata dietro il nobile intento di fornire ai decisori politici gli spunti necessari per sviluppare i rimedi alle carenze della scuola italiana, è che attraverso queste rilevazioni è possibile stilare una graduatoria di “merito” delle scuole. In pratica, quegli istituti che registrano risultati di livello basso saranno etichettati come scuole in cui il livello di istruzione è altrettanto basso, mentre, per contro, quelle con risultati alti ottengono posizioni più alte nella classifica nazionale che, seppur sempre negata, viene stilata dai giornali e fondazioni di vario genere.

LE PROVE INVALSI 2022 SCATENANO DIBATTITI STERILI, LA QUESTIONE DI FONDO CHE LEGITTIMA L’ISTITUTO E LE SUE FAMIGERATE PROVE RISIEDE ALTROVE – L. R. CAPUANA (lrcapuana.com)

Non è dunque affatto casuale che, a seguito dei risultati conseguiti dagli studenti di tutto il Paese negli esami di stato, di norma in contrasto con i risultati delle prove INVALSI, si scateni puntualmente sui mezzi di informazione la polemica che vede contrapposti, da un lato, coloro che difendono fideisticamente e, aggiungo, ideologicamente, la bontà delle prove INVALSI, dall’altro, a quelli che tentano faticosamente di rilevare che, per quanto possano essere prove oggettive (non basta che siano svolte al computer e da un computer valutate perché possano definirsi oggettive come è stato chiarito qui e qui ) – ed è ancora tutto da dimostrare – , ciò in cui difettano profondamente è che esse non tengono minimamente conto dei contenuti disciplinari dei vari indirizzi di studio e, men che meno, del contesto scolastico e ambientale in cui i diversi istituti scolastici insistono e che fanno la differenza evidenziando una profonda disuguaglianza che, per assurdo, proprio lo stesso istituto evidenzia nelle avvertenze che fanno da corollario alle varie relazioni pubblicate annualmente.

Paradossalmente, ciò che l’istituto stesso ammette come un limite fattuale all’attendibilità stessa delle rilevazioni, nella polemica pubblicistica viene del tutto ignorato mentre si dimostra una soddisfazione quasi al limite del sadico nell’additare la scuola come inefficiente e inefficace per colpa ovviamente del corpo docente, mai formato a sufficienza. Dei reali motivi che determinano tali macroscopici divari, non dico una riflessione, un’analisi, ma nemmeno una parola.

L’ABOLIZIONE DELL’ESAME DI STATO COMPORTA LA FINE DELLA SCUOLA PUBBLICA E STATALE

Eliminare, dunque, l’esame di stato significa, come accennato sopra, abolire il valore legale del titolo di studio sdoganando un’effettiva parità tra scuola pubblica e statale e scuole private frequentate dal bel mondo che mai si abbasserebbe ad intrattenere rapporti così ravvicinati con la plebe. Significa, dunque, giustificare i tagli ai fondi statali già ridotti al minimo e far sì che la qualità di istruzione non venga più garantita. In ogni caso per eliminare l’esame di stato bisognerebbe mettere mano alla costituzione e, nel caso di specie, all’art. 33 inviso a molti e non solo perché prevede l’obbligo dell’esame di stato. Eliminare l’esame di stato e con esso il valore legale del titolo di studio significa semplicemente che avrà più peso il dove si è conseguito il diploma rispetto alla valutazione conseguita.

L’eliminazione dell’esame di stato significa contravvenire al dettato costituzionale e negare il diritto allo studio, ma anche disattendere complessivamente gli artt. 2 e 3 della Costituzione, ovvero il diritto che sancisce l’uguaglianza e quello che sancisce l’equità con conseguente rimozione degli ostacoli da parte dello Stato.

Per tutte queste ragioni è invece fondamentale mantenere l’esame di stato per far sì che la scuola pubblica e statale non venga del tutto fagocitata da quella privata o, come hanno voluto i famosi riformisti, da quella paritaria. E non è mera questione semantica, infatti secondo il dettato costituzionale la scuola privata è riconosciuta dallo Stato posto che si attenga a determinati parametri da esso previsti ma senza ulteriori oneri a carico dello stesso. La paritaria, al contrario, grazie alla modifica del termine voluta da Berlinguer, “paritaria” e non più “privata”, può essere finanziata anche dallo stato (il minuscolo in questo caso è voluto) per garantire la libertà di scelta alle famiglie e con questo espediente si stornano fondi dalla scuola pubblica e statale a quella paritaria, in barba alla costituzione. E ancora più pazzesco è che si tolleri la richiesta delle scuole (illecita, sia ben inteso) alle famiglie di versare un “contributo volontario” per sopperire alla sistemica e strutturale mancanza di fondi adeguati a garantire un diritto sancito dalla costituzione.

Si è ancora sicuri che la risposta che cerchiamo al miglioramento dei tanti problemi che ancora affliggono la scuola sia di eliminare l’esame di stato?

© L. R. Capuana

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