GLI STUDENTI UCRAINI ESONERATI DALLA VALUTAZIONE DI FINE ANNO

Ma formalmente è così per tutti gli studenti di recente o recentissima immigrazione, quindi dove sta la novità?

La novità consiste nel fatto che il ministero dell’istruzione ha sentito il dovere di emanare un’ordinanza specifica in data 4 giugno 2022, valida niente po’ po’ di meno anche per le Regioni e province a statuto speciale, persino per le province autonome di Trento e Bolzano, generalmente esentate dal conformarsi alle direttive dello Stato, specie in materia di istruzione.

Ovviamente, immancabile la raccomandazione finale ormai onnipresente e caratterizzante quasi tutte le direttive del Ministero dell’Istruzione, ovvero:

In realtà queste disposizioni che si è ritenuto necessario specificare con un’ordinanza ministeriale per gli studenti ucraini non sono del tutto nuove, infatti c’è vasta normativa nazionale e internazionale a tutela del diritto allo studio degli studenti non italofoni con cittadinanza non italiana, anche non italofoni con cittadinanza italiana, la normativa è valida anche per gli studenti stranieri e non italofoni adottati da famiglie italiane.

Per quanto riguarda il nostro Paese questa sensibilità fu già espressa nella Costituzione che anticipa di un anno circa la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo dell’Onu, stessi diritti e libertà per tutti e nessuna distinzione nemmeno per ragioni linguistiche :

Oltretutto il Ministero dell’Istruzione, con la C. M. n. 24 del 1 marzo 2006 (“Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri” aggiornate nel 2014) si esprimeva in questi termini a proposito di valutazione: l’alunno straniero non potrà esprimere le stesse prestazioni richieste ai compagni italiani durante i primi anni del suo inserimento scolastico ricordando peraltro che sin dai tempi della legge 517/1977 “la Scuola Italiana ha inteso la valutazione non solo in funzione certificativa, ma soprattutto in funzione formativa/regolativa”.

Che uno studente non italofono non possa esprimere le stesse prestazioni richieste ai compagni italiani mi pare di un’ovvietà lapalissiana, persino banale eppure stiamo ancora qui a discutere su come valutare questi studenti, mentre dal mio punto di vista si dovrebbe discutere su come “integrarli”.

LE STATISTICHE

Sappiamo inoltre benissimo che in Italia gli studenti non italofoni sono tanti e sono sul nostro territorio nazionale da diverso tempo, se analizziamo qualche numero noteremo che il:

10,3% della popolazione scolastica è di origine migratoria. Nell’anno scolastico 2019/2020 le scuole italiane hanno accolto complessivamente 8.484.000 studenti di cui circa 877.000 di cittadinanza non italiana. Rispetto al precedente A.S. 2018/2019 la popolazione scolastica è calata complessivamente di quasi 96 mila unità, pari allo 1,1%. Gli studenti con cittadinanza italiana hanno registrato una flessione di circa 115 mila unità (-1,5%) a fronte di una crescita di 19 mila studenti con cittadinanza non italiana (+2,2%), per cui la loro incidenza sul totale passa da 10,0% a 10,3%. Al contempo, i dati di trend mostrano che la presenza di quest’ultimi tende a stabilizzarsi. Nel decennio 2010/2011 2019/2020 gli studenti stranieri sono complessivamente aumentati del 23,4% (+166 mila unità) con un ritmo di crescita assai lontano da quello verificatosi nel decennio 2000/2001–2009/2010 durante il quale l’incremento è stato del 357,1% corrispondente a 526 mila unità. La maggioranza degli studenti stranieri è quindi costituita da studenti di seconda generazione, cioè bambini e giovani nati in Italia da genitori non italiani.

https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Alunni+con+cittadinanza+non+italiana+2019-2020.pdf/f764ef1c-f5d1-6832-3883-7ebd8e22f7f0?version=1.1&t=1633004501156, p. 8

L’altro dato interessante è che gli studenti con cittadinanza non italiana per la scelta della scuola secondaria di secondo grado tendono ad orientarsi verso gli istituti tecnici, professionali o per la formazione professionale regionale, quest’ultima opzione è spesso dovuta alla valutazione bassa che ottengono all’esame conclusivo della secondaria di primo grado per lo più a causa del loro disagio linguistico non del tutto superato.

https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Alunni+con+cittadinanza+non+italiana+2019-2020.pdf/f764ef1c-f5d1-6832-3883-7ebd8e22f7f0?version=1.1&t=1633004501156, p. 42

COSA CI DICONO I NUMERI SULLA DISPERSIONE E L’ABBANDONO SCOLASTICI

Gli aspetti che a me sembrano invece più preoccupanti sono i seguenti:

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Questo ritardo determina a sua volta un’altra incidenza di dispersione e abbandoni scolastici, come si può ben notare dalla tavola sotto riportata:

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Quanto al tasso di abbandono di seguito i dati:

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Dati che sarebbero anche molto utili per una più corretta interpretazione dei risultati delle prove INVALSI, infatti questi numeri mostrano che il problema di fondo anche per queste rilevazioni, spesso usate per demolire il sistema di istruzione italiano nel suo insieme, è in realtà una carenza strutturale nella gestione degli studenti non italofoni ai fini di una concreta integrazione scolastica e culturale.

Andrebbe anche evidenziato che in quel 33% di studenti esclusi dall’istruzione scolastica durante e dopo la pandemia a causa di connessioni carenti e scarsi strumenti socioculturali ed economici ci sono in massima parte proprio gli studenti non italofoni o bilingue di famiglie immigrate.

IL PROBLEMA E’ STRUTTURALE

Il problema è strutturale. Eppure basterebbe applicare quanto previsto al punto quattro delle già citate linee guida ministeriali che evidenzia come tra gli obiettivi prioritari per favorire l’integrazione di questi studenti c’è indubbiamente quello di promuovere l’acquisizione di una buona competenza nell’italiano scritto e parlato nelle forme ricettive e produttive quali elementi imprescindibili per il successo scolastico, così come per l’inclusione anche sociale.

Tra l’altro ai docenti, in qualità di professionisti dell’istruzione non può sfuggire che gli alunni stranieri, al momento del loro arrivo, quindi studenti di recente o recentissima immigrazione, ovvero neo arrivati in Italia (NAI, d’ora in poi) si devono confrontare con due diverse strumentalità linguistiche:

  • la lingua italiana del contesto concreto, indispensabile per comunicare nella vita quotidiana (la lingua per comunicare), detta anche fase ponte, e
  • la lingua italiana specifica, necessaria per comprendere ed esprimere concetti, sviluppare l’apprendimento delle diverse discipline e una riflessione sulla lingua stessa (la lingua dello studio).

La lingua per comunicare può essere appresa in un arco di tempo che può oscillare da un mese a un anno, in relazione all’età, alla lingua d’origine, all’utilizzo in ambiente extrascolastico, infatti più godono di un’ampia esposizione all’italiano, più velocemente imparano ad usarlo nella comunicazione quotidiana.

Per apprendere la lingua dello studio, invece, possono essere necessari alcuni anni, considerato che si tratta di competenze specifiche. Perciò lo studio della lingua italiana deve essere inserito nella quotidianità dell’apprendimento e della vita scolastica degli alunni non italofoni, con attività di laboratorio linguistico e con percorsi e strumenti per l’insegnamento intensivo dell’italiano.

Quindi è necessario prevedere per questi studenti un periodo di almeno tre anni affinché essi possano realisticamente acquisire da una parte la lingua della comunicazione e superare così la fase ponte e, dall’altra, padroneggiare sempre meglio la lingua dello studio appropriandosi progressivamente della terminologia caratterizzante ogni singola materia studiata, è per altro ovvio che ogni materia ha un suo lessico specifico pertanto lo sforzo di questi studenti non va misurato limitatamente alla disciplina insegnata dal singolo docente, bensì moltiplicato per ciascuna disciplina studiata dal discente, non è affatto cosa da poco.

Ovviamente dovrebbe essere lampante anche il fatto che se a questi studenti viene data l’opportunità di seguire un corso di italiano L2 in orario curricolare, sicuramente meglio che nei pomeriggi, gli obiettivi prefissati – innanzitutto il superamento della fase ponte per raggiungere almeno il livello A1 d’italiano, livello assolutamente prioritario -, verrebbero conseguiti in tempi più rapidi e con minor stress.

Ne gioverebbe indiscutibilmente anche la loro integrazione scolastica e inclusione sociale.

A CHI SPETTA INDIVIDUARE QUESTI OBIETTIVI

Stabilito che il primo e più importante obiettivo per questi studenti è l’acquisizione almeno del livello A1 di italiano, è senza dubbio il Consiglio di Classe (CdC, d’ora in poi) che deve tempestivamente individuare i bisogni reali e concreti di questi studenti in termini, appunto, di acquisizione linguistica e decidere come metterli in condizione di soddisfarli, quali strumenti bisogna fornire loro dal punto di vista didattico. A tal fine redigere un piano didattico personalizzato (PDP d’ora in poi) per studenti con bisogni educativi speciali (BES, d’ora in poi) non italofoni rappresenta un più che valido strumento anche per tutto il CdC, esso infatti consente ai singoli docenti, attraverso la fase di osservazione, di individuare quali misure dispensative e strumenti compensativi adottare per agevolare l’apprendimento della lingua e i contenuti della materia, in una prima fase naturalmente del tutto differenziati e progressivamente – man mano che aumentano le loro conoscenze e competenze linguistiche in italiano L2 – sempre più complessi e articolati fino ad allinearsi con quelli di tutti gli altri studenti italofoni.

E’ bene però chiarire che i tempi di acquisizione sono, indiscutibilmente soggettivi, e direttamente proporzionali alla frequenza di un corso di italiano L2 intensivo e in orario curricolare, facendo attenzione che i discenti trascorrano anche del tempo in classe insieme ai compagni al fine di usufruire di un’esposizione alla lingua continuativa e di qualità e favorire al contempo la socializzazione.

COSA E COME VALUTARE

Ne consegue che la valutazione allora non può essere sommativa, dovrà bensì essere formativa, come per altro evidenziato dalle linee guide ministeriali del 2006, aggiornate nel 2014 in cui si afferma che, è bene ribadirlo, l’alunno straniero non potrà esprimere le stesse prestazioni richieste ai compagni italiani durante i primi anni del suo inserimento scolastico. Perciò nella prima fase, almeno i primi due/tre anni, la valutazione dovrà tenere in considerazione i progressi fatti nell’acquisizione della lingua della comunicazione, mentre quella relativa ai contenuti inizialmente dev’essere accantonata perché appunto la priorità di docenti e studenti è l’acquisizione dell’italiano L2, più lo studente padroneggia l’italiano e più si aumenteranno gli obiettivi più specificatamente attinenti alle materie di studio.

In sintesi tutto ciò significa che gli studenti non italofoni di recente o recentissima immigrazione in Italia non dovrebbero essere respinti e dovrebbero invece essere promossi alla classe successiva anche in assenza dell’acquisizione dei contenuti disciplinari, infatti, come si è più volte evidenziato, l’obiettivo prioritario per loro e per l’istituto scolastico in cui sono iscritti è l’acquisizione dell’italiano L2. Un obiettivo che non va tralasciato nemmeno per gli studenti bilingue di seconda generazione. Il fattore tempo è un elemento di grande importanza specie se a casa questi studenti, come è ovvio che sia, parlano la lingua d’origine.

Il PDP (che non può rappresentare mera formalità burocratica, piuttosto deve riflettere un’attenta programmazione didattica ad hoc) perciò ha lo scopo di evitare qualsiasi tipo di discriminazione o penalizzazione degli studenti per il solo fatto di non conoscere la lingua italiana, il disagio linguistico non può essere motivo di discriminazione in nessun modo.

E’ bene altresì sgombrare il campo da frequenti obiezioni mosse da alcuni docenti in queste circostanze, ovvero che no, non si usa nei loro confronti un diverso peso né una diversa misura per il semplice e più che evidente fatto che non godono di pari condizioni di partenza ed è quindi compito della scuola quale istituzione dello Stato rimuovere gli ostacoli in ottemperanza all’art. 3 della Costituzione che fa sì inoltre che venga rispettato anche l’art. 2 – non può esserci uguaglianza senza equità -.

Solo la scuola può fare in modo che essi siano messi nelle condizioni di avere accesso a quelle pari condizioni di partenza perché successivamente possano essere valutati come i loro pari italofoni.

Perché tutto ciò sia possibile nella concreta realtà scolastica italiana, e non solo, è indispensabile che ogni scuola si doti di un protocollo; ma cosa ben più importante servirebbero anche figure professionali competenti in ogni istituto scolastico con studenti non italofoni o bilingue, sicuramente docenti abilitati nell’insegnamento dell’italiano L2 e mediatori linguistici con formazione adeguata certificata, ciò naturalmente comporterebbe un investimento finanziario. Quindi praticamente un’utopia.

SE CI SONO GLI STRUMENTI PERCHE’ GLI STUDENTI CON CITTADINANZA NON ITALIANA INGROSSANO LE FILE DELLA DISPERSIONE E DELL’ABBANDONO?

La risposta è più semplice di quanto non si pensi, gli strumenti esistono solo in linea teorica.

Un simile approccio all’integrazione interculturale e all’inclusione sociale a scuola può avvenire solo se lo Stato si prende in carico tutta la materia senza delegare alla buona volontà delle singole istituzioni e alla sensibilità di singoli docenti e singoli dirigenti ciò che dovrebbe essere invece una visione strutturale della scuola volta a garantire a tutti i suoi studenti a livello nazionale pari trattamento e pari qualità da Nord a Sud e non solo in riferimento agli studenti non italofoni.

L’autonomia scolastica diventa dunque una scusa di malcelato rifiuto d’investire nell’istruzione, tant’è che sempre più spesso quando si tratta di imporre ulteriori aggravi di lavoro al personale scolastico, sia ATA sia docente, il ministero utilizza la formuletta magica: “senza ulteriori oneri per lo Stato”, di fatto così lavandosene le mani e se qualcosa non funziona la responsabilità, ovviamente, ricadrà sempre sui docenti impreparati, sfaticati e dediti solo allo stipendio.

GLI STUDENTI UCRAINI E LA VIA PREFERENZIALE

E’ del tutto evidente che il Ministero dell’Istruzione è perfettamente consapevole dei problemi strutturali che affliggono gli studenti non italofoni iscritti nelle scuole italiane che, appunto, in forza all’autonomia seguono e applicano principi autonomi e tutti diversi per questi studenti, soprattutto per quanto riguarda la loro valutazione.

Ne è prova inoppugnabile il fatto che abbia sentito la necessità di emanare un’ordinanza che privilegia nei fatti sostanziali solo gli studenti ucraini e per motivi specificamente legati alla geopolitica attualmente perseguita dal governo in carica.

Ne è chiara evidenza anche la volontà ministeriale di esplicitare inequivocabilmente come questi studenti devono essere valutati sia durante gli esami conclusivi del primo ciclo sia per quelli del secondo, prevedendone l’esonero:

https://istruzioneveneto.gov.it/wp-content/uploads/2022/06/m_pi.AOOGABMI.Registro-DecretiR.0000156.04-06-2022.pdf

E’ questo che li rende unici nel panorama scolastico italiano. Tutti gli altri studenti non italofoni o bilingue con cittadinanza non italiana, e italiana, seppure con PDP devono sostenere gli esami e senza che venga tenuto in alcuna considerazione il disagio linguistico magari semplicemente non superato del tutto.

A proposito di due pesi e due misure.

© L. R. Capuana

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