Gli attacchi pressoché quotidiani alla scuola pubblica e statale non finiscono mai, la tattica è: prenderci per sfinimento.

Manifesto per la nuova scuola, firma qui
Gli attacchi pressoché quotidiani alla scuola pubblica e statale giungono da ogni parte con dirompente pervasività poiché ottengono spazio su praticamente tutti gli organi di informazione main stream.
Farne un elenco puntiglioso sarebbe davvero troppo lungo e, a parer mio, tedioso, troppo tedioso per il semplice motivo che sono quasi tutti del medesimo tenore, molto di rado, infatti, gli argomenti usati si discostano per fantasia o questioni di merito.
Ma ciò che stupisce maggiormente è la tempistica. Infatti, mai come negli ultimi 14 mesi si è parlato, o sproloquiato, così tanto di scuola. Tuttavia, seppur sembra che ci si accapigli in una diatriba sterile quanto inesistente, ma abilmente costruita a tavolino, tra presunti conservatori e avanguardisti, rimane incontrovertibile il fatto che da marzo 2020 ad oggi, nella scuola italiana pubblica e statale non è cambiato assolutamente nulla se non qualche piccolo elemento di distrazione di massa, come l’insegnamento dell’educazione civica (di cui però stranamente non si è parlato quasi per niente) e il curriculum dello studente fino al mirabolante piano di scuola estiva introdotti, gli ultimi due dal neo ministro Bianchi, mentre l’insegnamento di educazione civica è il lascito ereditario per cui dobbiamo ringraziare la già e indimenticabile ministra Azzolina.
Tutti provvedimenti che nonostante la loro apparente innocuità paradossalmente sono invece orribilmente dannosi.
L’insegnamento di educazione civica – Trasversale e multidisciplinare
Le parole sono sempre importanti e infatti chi potrebbe mai obiettare che l’introduzione di un insegnamento come questo non possa apportare dei benefici agli studenti e, quindi, alla società di domani. Solo un pazzo. Eppure, eppure non è questione così semplice.
Negli istituti scolastici in cui non esiste la disciplina specifica di “diritto” questo nuovo insegnamento è affidato o ai docenti di diritto inseriti nell’organico di potenziamento, oppure, nel caso non ce ne fossero nell’organico di potenziamento, ai docenti della classe e poiché si è pensato bene che dovesse essere “senza oneri per lo stato” il monte ore annuale non è minimamente cambiato. Ciò essenzialmente significa che laddove non si insegna “diritto” questo insegnamento viene spalmato sulle altre materie.
In altri termini, ogni docenti di altra materia nell’arco dell’anno cede svariate ore delle proprie lezioni per consentire agli studenti di raggiungere comunque le 33 ore annuali minime di “educazione civica” previste per legge, tra l’altro siccome deve avere carattere trasversale ogni docente di altra disciplina è chiamato a contribuire a tale insegnamento con attività didattiche di vario tipo a sua scelta .
In sostanza per ottemperare all’obbligo di legge che prevede per tale nuovo insegnamento come minimo un monte di 33 ore annuali – “senza oneri per lo stato”, questo è bene ribadirlo -, si sottraggono ore alle altre materie. Magnifica trovata. Giudicate voi se è proprio così bella.
Indubbiamente esultano i fautori dell’abolizione delle discipline e del gruppo classe in favore dei moduli di didattica per competenze, l’innovazione per eccellenza che, unita alla didattica digitale, dovrebbe essere la panacea di tutti i mali della scuola italiana. Ma esattamente in cosa consiste la didattica per competenze? E soprattutto perché la si contrappone alla conoscenza?
Conoscenze Vs Competenze – Una diatriba infinita che polarizza gli uni contro gli altri
Dunque, partiamo dalla definizione del termine “competenza”:

Già, perché si contrappongono le competenze alle conoscenze? Come si evince nella prima definizione dell’immagine riportata sopra si legge: “in pedagogia, capacità dimostrata da un soggetto di usare le conoscenze acquisite, le specifiche abilità e le attitudini personali, di interazione sociale e di carattere metodologico per svolgere in modo autonomo e con senso di responsabilità determinate attività, spec. di studio o di lavoro”. Continuando e per quanto riguarda la linguistica: “il possesso delle nozioni, spec. grammaticali, che consentono a un individuo di parlare e di intendere una lingua: contrapposto a performance (l’uso effettivo della lingua da parte di un individuo)”. Da notare inoltre che la traduzione in inglese è “skills“. Quindi, riassumendo, le competenze usano le conoscenze acquisite.
Secondo quanto afferma sull’argomento la casa editrice Pearson: “la competenza può essere definita come “sapere in azione”. Ovvero la “combinazione conoscenze, abilità e atteggiamenti appropriati al contesto”, ecco che torna ancora la “conoscenza”, e perciò è necessario il giusto “ambiente di apprendimento”. Che cos’è allora questo ambiente di apprendimento?

Ora io sfido chiunque insegni a dire che non è esattamente ciò che facciamo da tempo, certo i lavori di gruppi non sempre è facile attuarli se si hanno classi con 25/30 studenti, durante questa fase storica poi, il distanziamento imposto dalle misure per prevenire il contagio non favorisce questa pratica. E allora dove sta la mirabile innovazione? E perché si contrappone conoscenza a competenze? Chiunque abbia familiarità con la scuola di oggi, ossia chi a scuola lavora sa benissimo che la ripetizione mnemonica delle nozioni non vi ha più spazio, che agli studenti (mi riferisco a quelli della secondaria di secondo grado) si richiede di sviluppare gli opportuni collegamenti tra argomenti della disciplina specifica e tra varie discipline, appunto la trasversalità e la multidisciplinarità di cui si riempiono la bocca. Può anche darsi che ci sia ancora qualche docente legato ad un’idea di scuola in cui il docente dall’alto della cattedra posta su una pedana pontifica. Ma non è la norma, è l’eccezione.

E dunque perché si accusano i difensori delle conoscenze e dell’importanza delle discipline di essere passatisti o conservatori, mentre gli altri, quelli che celebrano le competenze diventano immancabilmente i riformatori progressisti e avanguardisti? Ma cosa dicono nella sostanza i cosiddetti “passatisti” che hanno firmato Il manifesto per la nuova scuola, sbeffeggiati dagli altri?
L’idea che la scuola possa essere incentrata sulla semplice acquisizione di “competenze” è profondamente sbagliata, sia perché applica a un ambito, quello scolastico, categorie nate in tutt’altro ambito, quello cioè dell’azienda e della produttività lavorativa, sia perché esclude appunto la dimensione integralmente umana, centrale nella scuola e nei processi lunghi e non lineari dell’apprendimento e della crescita.
Questo concetto è davvero in contrasto con quanto sostengono i fautori ideologizzati delle competenze? Sicuramente se chi celebra le competenze non riconosce il ruolo cruciale che hanno le conoscenze perché si possano sviluppare le seconde. E che dire di quest’altro passaggio?
Solo attraverso il confronto con i contenuti culturali, la loro elaborazione e acquisizione – a partire da un’approfondita e reale alfabetizzazione – gli studenti potranno diventare cittadini liberi e consapevoli, in grado di contribuire a un autentico progresso della società. Senza l’istruzione delle nuove generazioni, la stessa democrazia è svuotata di sostanza
Non è forse una competenza necessaria elaborare l’acquisizione disciplinare? E dunque dove sta lo scandalo? In cosa mancano i docenti di oggi? Quale docente oggi non utilizza le tecnologie? E come potrebbe non usarle se sono ormai da tempo parte integrante della nostra quotidianità? Il punto invece è un altro, ovvero:
gli strumenti e i metodi dell’insegnamento, compresi quelli legati all’uso delle tecnologie digitali, devono rimanere o ritornare a essere dei semplici mezzi, da utilizzare non a prescindere ma se e quando le necessità della condivisione dei contenuti culturali (che è continua attività dell’intelligenza, attualizzazione e rielaborazione critica delle conoscenze guidata dall’insegnante) lo richiedano.
Il punto è che a differenza degli avanguardisti odierni, fulminati da un fanatismo iperbolico il cosiddetto docente “passatista” rivendica la libertà di docenza (art. 33 della Costituzione) nell’uso di strumenti e metodi didattici tarati sulla composizione delle classi in cui insegna, strumenti e metodi funzionali all’apprendimento del discente che è il centro della sua azione didattica e rifiuta di essere mero esecutore (oppure di fare il coach o l’animatore) di mode del momento che rischiano, tuttavia di produrre danni perché:
Dopo vent’anni di devastanti “riforme”, occorrerebbero invece interventi precisi e profondi, per rilanciare la funzione della scuola, e cioè, prima di tutto, restituire centralità all’ora di lezione disciplinare, un’ora squalificata e messa ai margini da una serie di attività che ne snaturano la funzione e la rendono un’attività residuale
Di fatto anche l’insegnamento di educazione civica si inserisce in questo paradigma perseguito da tempo ormai, l’ora di lezione disciplinare è diventata residuale rispetto a tutto il resto che ruota intorno alla scuola e che i vari PTOF ben delineano. Come dire che non si frequenta più la scuola per seguire delle lezioni, ma che ogni tanto si fa lezione. E’ un bene? Giudicate voi.
Il Curriculum dello studente – strumento classista e abolizione tempo libero
Come ha rilevato lo storico dell’arte Tomasi Montanari su “Il fatto quotidiano” del 16 aprile, la new entry del ministero dell’istruzione, il curriculum dello studente, è uno strumento classista. Non è possibile sostenere il contrario.
Lasciando stare la questione che esso deve essere, insieme all’elaborato proposto dallo studente per il colloquio d’esame, il documento da cui far partire l’esame di stato versione 2021 e lasciando stare la questione che la sua introduzione proprio quest’anno è a dir poco inopportuna – la pandemia e la didattica digitale integrata hanno già messo a dura prova tutto il sistema e gli studenti – e che non si tratta che solo dell’attuazione di uno dei visionari provvedimenti partoriti dalla mente dell’ormai ex presidente del consiglio che “volle fortissimamente volle” la Bona Sola (L. 107/2015, art. 1, comma 28)
Lasciando da parte quanto sopra e, aggiungo, lasciando stare anche la questione che questo approccio tende a snaturare la funzione precipua dell’esame di stato che è di valutare le acquisite conoscenze e competenze dello studente lungo il corso dei suoi studi; no, non si può pensare che il cosiddetto “profilo dello studente” non sia strumento classista e il motivo è molto semplice perché mette in luce le disuguaglianze economico-sociali, culturali e territoriali della popolazione studentesca.

Si ha un bel dire che il curriculum dello studente fornisce informazioni sulle attività extracurricolari ed extra scolastiche degli studenti quando è più che evidente che le possibilità di arricchimento culturale offerte ad uno studente residente a Milano, Roma o qualsiasi altra grande città sono di gran lunga maggiori rispetto ad un altro residente in una delle innumerevoli periferie urbane o di uno dei tantissimi piccoli centri di provincia sperduti o, ancora, tra le possibilità offerte in merito al PCTO (già alternanza scuola-lavoro) in zone del paese industrializzate rispetto ad altre a trazione agricola o affette ancora da notevole sotto-sviluppo. Né si può ignorare che esistano differenze sostanziali tra le stesse scuole: ci sono quelle blasonate, licei in massima parte, e quelle in cui cadono i soffitti in testa o entra acqua dalle finestre; ci sono quelle super-dotate di laboratori di ogni tipo, di connessione Internet a banda larga e quelle in cui è già tanto se ci sono aule. Figurarsi dunque se sfoggiare corsi di lingua, di musica, di equitazione, soggiorni di studio all’estero possano ritenersi appannaggio di tutti. Se la società è classista e lo è, è proprio necessario che la scuola sia il luogo che certifica questa disuguaglianza?
La scuola, a differenza di quanto sostenuto da Giorgio Vittadini nel suo intervento sul “Corriere della Sera” del 7 maggio u.s., non deve offrire allo studente la possibilità di mostrare le sue capacità come in vetrina, al contrario la scuola deve realizzare uno dei suoi compiti più nobili, ossia adoperarsi per rimuovere gli ostacoli (art. 3 della Costituzione) in quanto organo costituzionale e istituzione dello Stato, quindi offrire a tutti i suoi studenti le possibilità e opportunità di sviluppare le loro potenzialità.
Eppure nonostante manchi l’ovvio e per i tanti ed ovvi motivi di cui tutti siamo a conoscenza:
scarsità di fondi per attrezzature, strumenti digitali e non;
carenza strutturale di locali adeguati e salubri;
l’ormai annosa questione delle classi sovraffollate che, oltretutto danneggia qualsiasi tipo di didattica si voglia adottare;
carenze, anche queste strutturali, di organico;
da anni ormai si facendo l’esatto opposto e cioè si stanno radicalizzando le disuguaglianze, ma si fa anche di peggio, ovvero queste disuguaglianze vengono ora addossati ai singoli accusanti di non essere sufficientemente responsabili e meritevoli da procacciarsi quelle opportunità e possibilità che la scuola di fatto non offre a tutti in ugual misura.

Ma vi è anche un altro aspetto inquietante che si impone: il tempo libero dello studente non è più tale, non è più libero, bensì dev’essere ben programmato sin dalla più tenera età in vista del “curriculum dello studente”, questi infatti non è più libero di scegliere le sue attività extra scolastiche seguendo semplicemente l’estro del momento, le sue passioni anche effimere e volubili – ad un adolescente sarà pure concesso di essere volubile -, di coltivare interessi e desideri che esulino dall’utilità immanente finalizzata a fare bella figura all’esame di stato e non, come sarebbe ovvio, studiando e dando il meglio di sé, bensì vantandosi di fare volontariato e quindi, chiedo, dove sta il suo valore etico se è finalizzato ad ottenere vantaggi per se stesso?
Un’ultima osservazione: il curriculum dello studente altro non è che la versione digitale del sistema dei crediti scolastici e formativi già introdotto con la L. n. 425 del 10 dicembre 1997, quindi tutto parte dall’idea di scuola propugnata da Luigi Berlinguer; per un approfondimento più dettagliato cliccare su questo link.
Il piano scuola estate 2021
Avviato dalla nota ministeriale n. 643 del 27 aprile 2021 il piano scuola estate 2021 è finanziato con ben cinquecento milioni di euro e il suo scopo principale è di far recuperare agli studenti italiani quella relazione sociale e quegli apprendimenti che a causa della pandemia, tutt’ora in corso, sono stati loro preclusi durante l’intero arco dell’anno scolastico che sta per chiudersi facendo sì che possano usufruire di laboratori per il potenziamento delle competenze, di attività educative incentrate su musica, arte, sport, digitale, percorsi sulla legalità, sulla sostenibilità e sulla tutela ambientale.
Non entro nel merito del provvedimento in questione, mi preme solo sottolineare che se all’avvio del corrente anno scolastico, quindi a settembre 2020, il ministero avesse provveduto a ridurre il numero di studenti per classi, reperito spazi e incrementato l’organico forse la scuola italiana, di ogni ordine e grado, come molti docenti chiedevano con fermezza, e se si fosse attivato un valido sistema di tracciamento dei contagi, forse sarebbe stata in condizione di poter continuare a svolgere regolari lezioni in presenza ed evitare che venisse sottoposta con snervante frequenza repentina ad una serie infinita di stop and go che ha indubbiamente creato disagi operativi ai docenti che dall’oggi al domani si sono visti obbligati a modificare tipologia di didattica da adottare, materiali e strumenti da utilizzare; si sarebbero evitati inutili difficoltà e apprensioni agli studenti che hanno vissuto in un costante stato d’ansia che ha visto aumentare sensibilmente gli abbandoni scolastici e il ricorso ad esperti per tenere sotto controllo depressione e disordini del sonno e/o alimentari. Avrebbe infine risparmiato alle famiglie innumerevoli cambi di programmi professionali e domestici con tutte le proteste che ne sono scaturite, giustamente.
Passatisti Vs Avanguardisti
Tra i primi segnati a dito dai secondi anche con fare arrogante che poco spazio lascia ad una concreta possibilità di dialogo, vi sono molti nomi illustri che hanno firmato e promosso sui loro profili social e altri canali Il Manifesto per la nuova scuola, elencarli tutti è difficile perché l’elenco si aggiorna quotidianamente, inoltre non vorrei fare torto a nessuno, magari dimenticandone qualcuno, perché davvero si tratta di personalità della cultura italiana molto prestigiosi e che colgo qui l’occasione, in qualità di promotrice tra tanti altri colleghi, per ringraziarli del loro prezioso sostegno.
Cionondimeno è difficile non osservare che forse oggi essere annoverati tra i passatisti è un onore, specie se essere passatista vuol dire:
- fare del proprio per contemperare le esigenze di un sistema di istruzione che riconosca come non possano svilupparsi competenze senza conoscenze, per cui questa contrapposizione è, nei fatti, inesistente;
- dare attuazione al dettato costituzionale degli articoli 3, 33 e 34;
- promuovere, pur tra mille difficoltà, quanto più possibile uguaglianza ed equità tra i discenti;
- rivendicare la libertà di operare in scienza e coscienza e, quindi, scegliere quali metodi didattici adottare senza cedere alla dittatura esterna che vuole imporre una sola didattica standardizzata;
- assicurare, pur tra mille difficoltà, quanto più possibile il diritto allo studio da garantire a tutti gli studenti, compresi, ad esempio i non italofoni, quasi sempre ignorati e non pervenuti nel dibattito pubblico;
- reclamare con tenacia tetragona la riduzione del numero degli studenti per classe, l’unica questione dirimente affinché si possano effettivamente ed efficacemente adottare tutti i metodi didattici possibili, perché l’attenzione e la qualità di insegnamento che si può dare ad una classe dipende dal numero degli studenti presenti e questo punto 6 è altresì funzionale all’adempimento dei primi 5.
Se tutto ciò vuol dire essere passatista, sono in buona compagnia e ne vado fiera.
Se sei anche tu un passatista e per firmare il Manifesto per la nuova scuola cliccare qui
© L. R. Capuana