RIGORE E SELEZIONE NELLA SCUOLA? ANCHE NO, GRAZIE!

La scuola della Costituzione italiana è inclusiva e non selettiva e a quella ci si dovrebbe ispirare sempre più pretendendo finalmente l’attuazione concreta della carta. La scuola deve favorire lo sviluppo dei suoi studenti.

L. R. CAPUANA – LRC EDUCATION: EMPOWER YOUR KNOWLEDGE (lrcapuana.com)

Definire gli adolescenti italiani di oggi ignoranti o al di sotto della media europea per livelli di competenze cosa vuol dire? Ignoranti rispetto a cosa, a chi e a quando? Al di sotto della media europea per livelli di competenza o per cultura e che tipo di cultura?

Se si fa una rapida verifica ci si può accorgere che le cose stanno invece in maniera diversa. Primo, se si fa un confronto con i dati del passato emerge che il livello di istruzione dei nostri adolescenti è di parecchio più alto oggi. Secondo, se si fa un rapido confronto con gli studenti di altri paesi europei magari si nota che dal punto di vista culturale (è sufficiente dare un’occhiata alle materie studiate in tanti paesi presi a modello, quali ad esempio quelle delle scuole anglosassoni, per restare in ambito europeo, oppure se si vuole andare oltreoceano rispetto agli studenti statunitensi) i nostri sono anche più preparati, infatti le materie studiate nelle nostre scuole secondarie sono di livello più vicino ai loro cosiddetti college, o undergraduate schools.

LA SCUOLA DEVE SUPERARE IL CLASSISMO DELLA SOCIETA’

Inoltre, quando si dice che gli studenti italiani del passato possedevano una maggiore padronanza culturale a chi ci si riferisce? Agli studenti liceali, quelli precendenti alle sempre più viturepate riforme degli anni Settanta? Ovvero i figli della borghesia di allora, il che ovviamente esclude tutti gli altri e quindi è lecito pensare che in questi casi si abbia una certa nostalgia di una cultura e di una scuola di élite anziché la scuola della Costituzione che, con il suo art. 34, sancisce il diritto allo studio per tutti e che assegna allo Stato il dovere di garantire questo diritto attraverso l’applicazione degli articoli 2 e 3. Bisognerebbe dunque dare un’occhiata ai dati prima di asserire che in passato, quello antecedente alla scuola di massa, lo stato di salute dei livelli di istruzione della popolazione italiana fosse migliore:

Grazie a questo corpus di norme originato dalla Legge 30 luglio 1973 n. 477[5], inoltre, fu avviata anche un’inedita stagione di finanziamenti statali dedicati all’edilizia scolastica; stagione mai ripetutasi in seguito con eguale impulso. Essi possono essere annoverati tra i più innovativi e illuminati provvedimenti legislativi in materia di istruzione. Per avere un’idea delle ricadute positive prodotte da questa lunga serie di politiche scolastiche iniziate con l’Unità d’Italia è sufficiente dare un’occhiata veloce ai numeri: nel 1871 sette italiani su dieci erano ancora analfabeti, all’inizio del secolo successivo gli analfabeti sono il 48,5%; negli anni venti del secolo scorso l’analfabetismo caratterizza ancora il 12,9% della popolazione, percentuale che flette sensibilmente nel 2001 con il 2,0% di analfabeti, passando per un 8,3% del 1961. Dal 1931 al 1991 si passa da un tasso di analfabetismo del 21% fino a scendere al 2,1%. Tuttavia, se nel 1951 il 46,3% degli italiani è alfabetizzato è comunque privo di titolo di studio; infatti il 30% è provvisto appena di licenza elementare, il 5,9% di licenza media e solo il 3,3% ha il diploma. I laureati in Italia nel 1951 sono appena l’un per cento di tutta la popolazione. Il censimento del 2001 fotografa un’Italia diversa rispetto alle aspettative: il 10% degli italiani è ancora privo di un titolo di studio, un fin troppo nutrito 25% ha frequentato solo le scuole elementari ed il 30% le scuole medie. I possessori di diplomi in Italia sono ancora un numero abbastanza esiguo: 25% e i laureati uno sparuto 7,1%. Ciò porterebbe a concludere che la spinta progressista circa l’istruzione che aveva animato la stagione immediatamente successiva al ’68 si è arenata senza più essere incisiva come si era sperato. I dati di cui sopra sono tratti dal censimento del 2001, purtroppo però non spiegano nel dettaglio come e quando l’istruzione ha smesso di essere un obiettivo da raggiungere se si osserva che il 35% è senza titolo di studio o ha appena frequentato le elementari.     

CAPITOLO 1 – POLITICA E ISTRUZIONE – L. R. CAPUANA (lrcapuana.com)

Oltretutto, anche quando si fa riferimento ai dati delle prove INVALSI bisognerebbe tenere bene a mente che questi non diversificano per tipologia di studente, pertanto nel calderone rientra tutto, compresi quegli studenti che non padroneggiano ancora la lingua italiana perché magari studenti neoarrivati italiani o bilingui, oppure quelli che provengono da uno sostrato socioeconomico e culturale precario. Infatti:

Tuttavia, in tutte le analisi che si leggono sulla pubblicistica nessuna di esse, o pochissime, evidenzia ciò che lo stesso INVALSI precisa e cioè che, per esempio, per quanto riguarda le prove di italiano, “la distribuzione della materia (grammatica) nei 13 anni di scuola” di base e secondaria, nelle disposizioni ministeriali vigenti (Indicazioni e linee guida) “non presenta una progressione unitaria e puntuale dei contenuti grammaticali. (…) nei diversi ordini di scuola c’è dunque un margine di discrezionalità che non consente di ancorare le prove a temi sicuramente corrispondenti alle competenze richieste per ogni singolo anno”[189].

Pertanto risulta evidente che la questione così posta contiene delle incongruenze sostanziali perché si ritiene che si mettano insieme elementi diversi da cui non è corretto trarre le conclusioni di cui sopra. In secondo luogo, i dati statistici che si utilizzano per trarre le succitate conclusioni non sono affatto omogenei e pertanto non possono essere usati a tal fine. Infine, si tenterà di confutare, altresì, il concetto di neutralità dei numeri dei dati statistici dimostrando che di fatto, le modalità di lettura dei numeri nudi e crudi ne determina, inevitabilmente, l’interpretazione finale.

Capitolo 5 – Dal CEDE all’INVALSI – L. R. CAPUANA (lrcapuana.com)

LE INADEMPIENZE DELLO STATO E L’AUTONOMIA SCOLASTICA

Non è dunque mancanza di rigore o scarsa capacità della scuola italiana nel selezionare la classe dirigente, tra l’altro questo è compito che spetta all’Università e non certo alla scuola, il vero vulnus che affligge oggi più che mai la scuola italiana. Per altro un rigore a cui si fa appello quando si tratta di valutare il profitto scolastico degli studenti ma che si tende a derubricare rispetto agli obblighi che lo Stato non assolve, come ad esempio quando non è in grado di garantire a tutti gli studenti la stessa qualità nell’istruzione impartita in ogni suo istituto; quando gli edifici scolastici sono fatiscenti e non a norma; quando il numero di studenti per classe aggrava la questione sicurezza oltre che quella dell’efficacia dell’insegnamento; quando non tutti gli istituti scolastici sono dotati di pari strumentazioni ed efficienza in tutti i sensi; quando sussistino disparità enormi tra scuole più che attrezzate e altre che definire scuole è un azzardo. Non si può imporre il rigore agli studenti se ciò che lo Stato dà è del tutto insufficiente.

Quindi, che vuol dire recuperare rigore se lo Stato è inadempiente, con quale autorevolezza lo si può applicare questo rigore solo quando ci si accinge a valutare gli apprendimenti? Ad abbassare gli standard della qualità è innanzitutto lo Stato che valuta la scuola una spesa anziché considerare un investimento i finanziamenti che sono sempre insufficienti, che vengono tagliati costantemente. Relativamente a ciò i docenti che sono ancora ufficiali dello Stato hanno le loro responsabilità e sono complici della svalutazione in atto da anni, infatti avrebbero dovuto ribellarsi da anni a questo stato di cose, denunciare con fermezza il degrado fattuale in cui versano certi istituti rispetto ad altri. Ribellarci per poter svolgere effettivamente il nostro lavoro dando agli studenti ciò che spetta loro di diritto, un’istruzione di qualità per tutti e non a macchia di leopardo, secondo buona sorte e al privilegio del diritto di nascita.

Un’istruzione degna di questo nome non vuol certo dire regalare voti per ovviare alle difficoltà insite al contesto, vuol dire consentire a tutti attraverso opportuni strumenti conoscitivi di raggiungere livelli adeguati per il loro sviluppo. Tuttavia, se per rigore e selezione, invece si intende che tutti debbano essere valutati senza tenere in debito conto le difficoltà e gli ostacoli che molti devono superare senza che ad essi vengano offerti gli strumenti adeguati per superarli e quindi si ritiene più opportuno abbandonarli al loro destino, no, non è affatto questo lo spirito della scuola della Costituzione. Per ritrovare quello spirito si deve solo abolire un’autonomia scolastica che già tanti danni ha prodotto e che con quella differenziata perseguita da alcuni partiti politici non può che peggiorare una situazione già molto compromessa.

© L. R. Capuana

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