AUTONOMIA DIFFERENZIATA A SCUOLA: UN DISASTRO ANNUNCIATO

PARADOSSI ITALIANI: IL RINNOVO DEL CONTRATTO GIA’ SCADUTO E IL DIBATTITO SUL DOCENTE BRAVO

Uno dei tanti paradossi italiani che il mondo ci invidia è quella capacità unica di essere sempre in ritardo su tutto e, per lo Stato, sfangarla comunque. Quindi, nulla di strano se il rinnovo della parte economica del CCNL del comparto scuola è stato rinnovato quando già scaduto da tempo ed è esso stesso scaduto. Così come da pochi giorni sono riprese le trattative all’ARAN per il rinnovo del nuovo contratto già scaduto, sì, è difficile da comprendere, ad ogni modo questo è lo stato attuale delle cose.

E mentre si tratta si disquisisce anche, e in lungo e largo, sugli stipendi dei docenti troppo bassi, che la professione non attira più; una professione che oltre alla retribuzione bassa prevede un percorso di inserimento lungo e tortuoso, sottoposto negli ultimi vent’anni ad innumerevoli e continui cambiamenti, tali e tanti da far passare la voglia anche al più appassionato aspirante docente. Oltretutto, il comparto scuola è quello con il più lungo periodo di precariato e, quindi, contrassegnato da instabilità e incertezze diffuse che non rendono la qualità della vita professionale e personale una passeggiata di salute.

Ma di cosa si discute nello specifico? Si sostiene forse che è doveroso, quanto oltremodo tardivo, riconoscere ai docenti italiani un aumento dignitoso a fronte di una professione delicata caratterizzata da tante responsabilità a parità di tempo, energie e professionalità profuse in questi anni? Anni in cui – almeno una decina – tutta la categoria in modo assolutamente generalizzato è stata oggetto di attacchi quotidiani che ne hanno minato presso l’opinione pubblica ogni valore sociale.

Affatto! Anzi, proprio in questi giorni al danno d’immagine subito ad opera della politica più bieca si consuma persino la beffa di dovere assistere ad un dibattito quanto meno surreale perché si disquisisce non del dovuto in grande e colpevole ritardo, bensì di aumenti legati alla bravura dei docenti. Così, tanti noti opinionisti che presenziano ad ogni ora di ogni giorno in numerose trasmissioni televisive. Com’è ovvio però nessuno di questi grandi luminari è in grado di stabilire criteri e parametri secondo i quali è oggettivamente possibile individuare il bravo docente; infatti, ciascuno di essi ha una propria ricetta personale e fantasiosa.

Tuttavia, nonostante sia altamente improbabile, per la natura stessa del ruolo ricoperto, che si arrivi a stabilire con chiarezza come si possa decidere questo aspetto senza discriminazioni di sorta nei salotti televisivi, e non solo, si sta anche pensando bene di mortificare ulteriormente una categoria professionale che, a dispetto degli ingenti tagli inflitti all’istruzione e al continuo depauperamento sofferto negli anni, continua a fare proprio il dovere. Di fatto le proposte che circolano in questi giorni sono irricevibili perché quanto prospettato da ministero e associazioni varie che rappresentano per lo più dirigenti scolastici, comprese certe proposte di singoli addirittura offensive, anziché puntare al miglioramento sia retributivo che di riconoscimento sociale, nei fatti mirano ad umiliare e annientare ogni forma di autostima professionale.

IL LAVORO INTELLETTUALE IN ITALIA E’ PRIVO DI VALORE

Un gioco facile per la politica, tanto più oggi che l’ignoranza non solo è stata sdoganata ma è diventata una medaglia da portare sul petto con orgoglio; già, se in passato ci si vergognava di non avere gli strumenti per decodificare il mondo, oggi invece se ne fa allegramente vanto. E allora se l’ignoranza è sinonimo di genuino, sincero e autentico a che serve l’insegnante, pure pomposo che usa un linguaggio incomprensibile e irritante con quella smania di correggere errori?

Se, dunque, la cultura non rappresenta più un bene da possedere nemmeno la conoscenza lo è. E infatti, in ambito didattico, la conoscenza da qualche tempo è stata rimpiazzata dalle competenze eppure senza sapere non si può nemmeno saper fare, le capacità infatti si sviluppano nel tempo grazie al felice connubio di sapere ed esperienza sul campo. Quindi, teoria e pratica; esattamente in quest’ordine. E’ necessario imparare prima di saper fare. Nonostante ciò sembri ovvio ai più, secondo i nuovi esperti di “scuola” il sapere è diventato irrilevante, inutile se non è immediatamente spendibile sul mercato del lavoro. Proprio in questa prospettiva dell’istruzione scolastica funzionale alla formazione al lavoro che non ha nulla di innovativo ed è invece un revival del classismo più vecchio e conservatore, oltretutto in perfetta antitesi con ciò per cui è pensata la scuola della costituzione e cioè la formazione completa del cittadino emancipato dal bisogno e non certo di perseguire il banalissimo scopo di formare lavoratori; ecco, in questa prospettiva, si diceva, si insinua con grande agio da una parte la svalutazione della professione docente che, rientra dunque nell’ordine naturale delle cose, dall’altra viene svalutata anche la cultura da tramandare alle generazioni successive, per non parlare della cultura in sé che ha perso proprio valore, in quanto, secondo il senso comune non produce valore.

Ma siamo poi così sicuri che con la cultura non si mangia, come disse un tizio tempo fa? In realtà non è proprio così, infatti secondo alcuni dati ufficiali scopriamo che nel quienquennio 2011-15 il PIL prodotto dalla cultura si attesta intorno al 16/17% e che ha spostato ben 250 miliardi di euro. Cionondimeno è paradossale che, come scrive l’autore del pezzo:

se studiamo l’economia o la chimica o la matematica e la nostra attività si trasforma nell’utile d’una qualche azienda, allora il nostro ruolo nella società è riconosciuto e ricompensato; diversamente, se studiamo le stesse discipline, facciamo delle pubblicazioni scientifiche e ‘insegniamo’ a chi, poi, permetterà a qualche azienda di generare utili, allora siamo considerati come una parte incidentale e indubbiamente poco rilevante del ciclo produttivo.

Perché insegnanti, intellettuali e artisti sono mal pagati o non riconosciuti? – ilSole24ORE

Dunque, se chi insegna ad altri che a loro volta, grazie a quegli insegnamenti messi a frutto, produrrà utili per i loro datori di lavoro non sono considerati una risorsa rilevante del ciclo produttivo accade che oltre alla totale svalutazione della cultura anche il lavoro intellettuale è ormai svalutato e roba da parassiti. Oggi per essere considerato individuo degno di esistere bisogna agitarsi a tutti i costi. L’attività mentale che necessita di sana solutidine, di quiete e silenzio, di assenza di distrazioni per poter raggiungere quello stato sublime di concetrazione fa ribrezzo a molti, i quali ritengono che per essere produttivo bisogna farsi vedere occupato in qualcosa di materiale, insomma bisogna “fare”, cosa, non importa, purché non si dia l’impressione di essere inoperoso, mai sia.

Parafrasando uno di quelli vecchi: “Faccio, dunque sono”.

Eppure studi scientifici dimostrano che l’attività cognitiva, mentale, ovvero studiare, pensare, approfondire è anch’essa attività stancante che impone tempi di rigenerazione. Ma agli “esperti della scuola” questo concetto risulta di difficile comprensione e quindi, poiché le ore di lezioni non sembrano sufficienti – pazienza se il lavoro in classe non potrà mai essere comparato a quello che si svolge dietro una scrivania; pazienza se gli studenti non sono pratiche da smaltire, bensì persone a cui dare ascolto, attenzione, persone a cui dedicare le proprie energie che alla fine della giornata lasciano drenati e spossati chi la esercita e con un unico desiderio, il desiderio di silenzio e quiete – si stanno inventando una nuova retorica, quella del docente bravo.

IL DOCENTE BRAVO, OVVERO IL NUOVO SCHIAVO DA SPREMERE

Il docente bravo non può più limitarsi ad essere colui/colei che è stato assunto per insegnare, per lavorare in classe che è anche il motivo per cui ha sostenuto un concorso abilitante alla professione. No, non basta più. Serve cambiare e innovare, trasformare una professione che è essenzialmente lavoro intellettuale e, quindi, la cui produttività è praticamente impossibile da quantificare in un lavoro con mansioni di tipo impiegatizio e amministrativo volte ad aumentare le ore lavorative e, perciò, la produttività (ritorna in auge il lavoro a cottimo). D’altra parte già da tempo associazioni come quella dell’ANP (Associazione Nazionale Presidi) e altre analoghe ripetono che il docente bravo è colui/colei che che dimostra dedizione e appartenenza, che si spende per far funzionare la macchina amministrativa della scuola della autonomia – non la scuola italiana in quanto dipendenti dello Stato -, no, la scuola dell’autonomia, quella padronale, svolgendo attività che esulano dallo scopo per il quale è stato assunto, ovvero l’insegnamento.

E a questo punto bisogna stare davvero attenti ai tanti tranelli che politica, media e associazioni varie, comprese quelle del terzo settore, tutti uniti si stanno prodigando infaticabilmente a preparare a totale svantaggio del docente italiano al servizio dello Stato.

Non è un caso se tutti i media fanno da cassa di risonanza alle lamentele, vere o presunte, della mamma finlandese, così come non è un caso se molti insegnanti, cadono in pieno nella provocazione e si affannano a spiegare le ragioni dello stato pietoso in cui, effettivamente, versa la scuola italiana dicendo che se le condizioni di lavoro e se gli stipendi fossero migliori, anche noi come i finlandesi saremmo un’eccellenza. In realtà questa polemica è pura distrazione di massa volta a nascondere i veri obiettivi che la sottendono.

Da una parte si accusano i docenti di essere la causa unica e principale del degrado della scuola e dall’altra si avanzano proposte di modifiche al contratto che sono un vero insulto alla decenza.

DALL’AUTONOMIA SCOLASTICA ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA IL PASSO E’ BREVE: IL CASO DI TRENTO

E’ sufficiente osservare il contratto collettivo provinciale di Trento per accorgersi, ad esempio, che la proposta pubblicata da un noto dirigente scolastico genovese non ha nulla di originale ed è invece scopiazzata da quanto avviene già in quella provincia autonoma, dove i docenti sono a tutti gli effetti degli impiegati di quell’ente locale che alle canoniche ore di lezioni in classe si vedono aggiunte, senza alcun reale riconoscimento economico, anche le seguenti ore e mansioni:

  • ore aggiuntive e obbligatorie per le supplenze finalizzate a coprire le assenze brevi dei colleghi;
  • ore aggiuntive e obbligatorie per colloqui con genitori e studenti;
  • ore pomeridiane aggiuntive e obbligatorie per i corsi di recupero e potenziamento;
  • ore aggiuntive e obbligatorie per qaulificare l’offerta formativa;
  • ore aggiuntive e obbligatorie per la formazione continua;
  • il tempo residuale è da dedicare alla preparazione di lezioni, verifiche e alla correzione di queste ultime.

Il docente, come qualsiasi impiegato, è obbligato a svolgere 33 ore settimanali e se in questo tempo, quello residuale per la preparazione di lezioni, verifiche e loro correzioni non basta, se lo fanno a casa. A compensazione di questo notevole aggravio lavorativo (si tratta di svolgere due lavori al costo di uno) il contratto prevede dei contentini: una diaria giornaliera per gli spostamenti, con mezzo proprio, da una sede all’altra per le supplenze, buoni pasto e un irrisorio aumento di stipendio.

Quanto è elencato sopra, secondo l’attuale e ancora vigente CCNL, rientra nelle attività aggiuntive a libera scelta del singolo docente con retribuzione a parte, scarsa certo, ma senza alcun obbligo contrattuale. Inoltre, chi accarezza questa ipotesi non dice che tutto il lavoro che i docenti già svolgono perché contemplato nella funzione docente pertanto nientaffatto sommerso, semmai non riconosciuto retributivamente, rimarrebbe comunque a carico del singolo e nel proprio tempo considerevolmente aggravato, oltre al fatto che sarebbe da svolgere in spazi domestici in ogni caso poiché le scuole non sono attrezzate e non dispongono di spazi adeguati, né lo saranno. Ne consegue che sarebbe non aumento, bensì un ulteriore peggioramento di una condizione lavorativa già oggi al limite del sostenibile.

Non si è solo al peggioramento delle attuali condizioni professionali e retributive già deprecabili, si tenta subdolamente di sfondare la porta che si è aperta con la pretesa di alcune regioni del nord di spaccare il paese con l’autonomia differenziata. E’ in questo preciso contesto che vanno interpretate le parole dell’attuale ministro quando suggerisce a mezza bocca, ma nemmeno tanto, di differenziare i salari dei docenti rapportandoli ai diversi parametri geografici del caro vita. Un fuoco di fila quotidiano che non lascia respiro, che non dà tregua volto a sfiancare ulteriormente una categoria di lavoratori già pensantemente penalizzata, come descritto di seguito:

LA SCUOLA ITALIANA FA SCHIFO: LA CAUSA? I DOCENTI – L. R. CAPUANA (lrcapuana.com)

NON E’ ALLA LUSINGA DEL SALOTTO CHE BISOGNA RISPONDERE, PIUTTOSTO BISOGNA CONTINUARE A RESISTERE E LOTTARE

Bisogna lasciar perdere ogni sterile discussione su ambienti accoglienti, sale insegnanti dotate di cucina e salotto, uffici confortevoli e ben riscaldati, edifici scolastici a norma e con arredi colorati e accattivanti. Non succederà mai. La strategia è sempre la stessa, si tagliano i fondi e si aspetta che vada tutto in malora per addossare ogni responsabilità a chi opera nel settore preso di mira e da privatizzare. Avremmo dovuto imparare bene la lezione, non bisogna dare spago e rivendicare invece con fermezza un aumento dovuto, tardivo e a parità intatta e non modificata delle ore attualmente previste dal CCNL. I tremila euro al mese ci spettano già adesso ed è pure tardi.

In Francia, Regno Unito e Stati Uniti i docenti sono impegnati in scioperi selvaggi già da diverse settimane, se proprio non si vuole scioperare almeno firmate l’appello per la scuola pubblica!

© L. R. Capuana

Leave a Reply