
Da qualche giorno il caso del presunto omicidio di Saman Abbas, giovane appena diciottenne di origini pakistane che si presume uccisa perché rifiutava di obbedire ai genitori che volevano imporle un matrimonio combinato, ha suscitato un acceso dibattito su vari fronti. Ho aspettato volutamente che si placassero le discussioni accese perché io non vorrei soffermarmi solo sugli elementi che fin qui sono stati evidenziati, ma su ciò che invece non è stato affatto analizzato e che ha radici più lontane nel tempo.
L’aspetto che mi pare sia stato abbondantemente tralasciato, per concentrarsi su tutt’altro, sia dai media sia sui social è che la ragazza ha lasciato la scuola a conclusione della scuola secondaria di primo grado, nonostante per legge (L. 296/2006) avrebbe dovuto frequentare quanto meno fino ai 15 anni di età e, quindi, per altri due anni oltre la terza media per completare la scuola dell’obbligo. Tuttavia, non vi è alcuna norma che obbliga le istituzioni scolastiche a vigilare affinché a tutti sia garantito il diritto allo studio e nemmeno è prevista alcuna sanzione nei confronti di quei genitori che non mandano i figli a scuola, è però vero che i dirigenti scolastici sono invitati a “favorire la riduzione della dispersione scolastica, intraprendendo ogni utile iniziativa anche con le istituzioni del territorio”.
Nel caso specifico, almeno da quanto letto finora, par di capire che nessuno si sia dato molto da fare affinché Saman Abbas completasse la scuola dell’obbligo, né che le fosse garantito il diritto allo studio, anzi, – e vorrei davvero essere smentita – sembra che ci sia stato un diffuso disinteresse, come del resto avviene con una certa frequenza in casi come questo che non possono non rientrare in ciò che si definisce disuguaglianza sociale.
Tra obbligo scolastico e diritto allo studio – Le incongruenze legislative
Vi è già una palese incongruenza e contraddizione nella normativa che, da un lato impone l’obbligo scolastico e, dall’altro non prescrive alcuna sanzione se esso viene violato. Ma suona come un’ulteriore beffa la retorica di stato circa la dispersione scolastica e quell’invito di cui sopra rivolto ai dirigenti scolastici, i quali, se anche si adoperano avvisando chi di competenza sul territorio, di fatto la loro azione può annoverarsi semplicemente come un mero gesto di buone intenzioni perché del tutto inefficace ai fini concreti di porre rimedio ad una piaga atavica del sistema di istruzione italiano, ossia appunto la dispersione scolastica che è figlia delle disuguaglianze sociali, su questo non credo ci possano essere dubbi.
Se ci fosse meno ipocrisia e più efficienza politica anziché delegare al buon cuore del singolo funzionario pubblico sia esso un dirigente scolastico, sia esso un impiegato comunale dei servizi sociali (e sappiamo bene tutti che la pubblica amministrazione in generale e sempre sottodimensionata in termini di organici) il parlamento avrebbe già trovato il modo per porre fine all’assurda contraddizione di cui sopra e forse chissà, tanti ragazzi non rientrerebbero nella statistica che ne certifica l’abbandono scolastico, tra cui magari anche Saman e, forse chissà, lei come tante altre ragazze nella sua medesima condizione, si potrebbero salvare attraverso l’emancipazione culturale da una sorte che nel 2021 è oltremodo raccapricciante.
Ovviamente non si hanno certezze in merito, ma è lecito supporre che le cose sarebbero potute andare diversamente, o anche no, ma almeno lo Stato avrebbe fatto la sua parte per evitare che Saman Abbas restasse vittima per tutta la sua breve e tormentata vita delle disuguaglianze sociali sfociata in un tale tragico epilogo, che almeno serva da monito per evitare che altre ed altri siano anch’essi segnati in modo così insensato e possano essere messi in condizioni di salvarsi da soli.
La retorica politica su disuguaglianze e dispersione
Proprio ieri, giornata dedicata contro il lavoro minorile, il Presidente della Repubblica ha sottolineato come anche nel nostro Paese lo sfruttamento dei minori da parte delle organizzazioni criminali e non solo non deve essere sottovalutato, invocando l’intervento di tutte le istituzioni dello Stato. Parole che però continuano a restare inascoltate dai politici, una voce nel deserto.

E’ evidente allora che la causa principale della dispersione scolastica è la disuguaglianza sociale e i dati raccolti ancor prima della pandemia continuano a tracciare un quadro molto inquietante per quanto riguarda il nostro Paese, pare infatti che ben uno studente su sette abbandona la scuola in anticipo, inoltre, come sottolinea «La Stampa»:
Le nette differenze che puntualmente si registrano tra le regioni d’Italia, sul capitolo istruzione non solo si confermano ma si amplificano ulteriormente. Se, infatti, nel Nord-Est l’obiettivo europeo si può dire raggiunto (l’indice ELET si ferma al 9,6%) al Sud la media schizza al 16,7%. Con, nel complesso, i maschi che hanno più probabilità delle ragazze di abbandonare la scuola prima del tempo (il 15,4% contro l’11,3%). Anche se i più a rischio sono nettamente gli alunni nati all’estero: il tasso di dispersione scolastica precoce qui copre circa 1 alunno su 3 (il 32,5%), quasi il triplo rispetto a quello di chi è nato in Italia (11,3%), notevolmente superiore anche alla media UE (22,2%).
Italia tra le peggiori in Europa per abbandono scolastico: i numeri e il confronto con gli altri Paesi – La Stampa
Cionondimeno e a dispetto di tutte le statistiche a disposizione che rilevano questa strettissima correlazione tra disuguaglianza sociale e dispersione scolastica media e politici usano questi numeri non per colmare il gap esistente, piuttosto per aumentarlo ulteriormente.
La dimostrazione concreta di tutto ciò si è avuta una volta di più a marzo del 2020 allorché a causa dell’emergenza sanitaria determinata dalla virulenza dei contagi da COVID-19 il governo si è visto costretto a sospendere le attività didattiche per DPCM al fine di rendere efficace il lock down generalizzato a cui fu sottoposto l’intero Paese. L’azione tempestiva del governo per salvaguardare la salute pubblica grazie alle prese di posizioni ferme del ministro della salute, Roberto Speranza, purtroppo non è stata adottata parimenti dalla collega Azzolina, titolare del Ministero dell’Istruzione, la quale si è mossa in ritardo e in modo confuso e contraddittorio, spesso smentendo se stessa.
Alcuni docenti allora ebbero immediatamente la presenza di spirito di denunciare che la DaD improvvisata da moltissimi colleghi e successivamente, ahinoi, da altrettante scuole senza alcuna direttiva unitaria e precisa, senza la minima riflessione collettiva razionale e lucida sugli obiettivi cui tendere né, tanto meno, sulle modalità da adottare, al contrario agendo in modo caotico e preda dell’onda emotiva, avrebbe acuito le già macroscopiche disuguaglianze, escludendo di fatto da ogni azione didattica ben 33% degli studenti italiani. Eppure anziché indurre chi di dovere ad assumersi le responsabilità derivanti dal ruolo ricoperto, il ministro ha invece spronato ancor di più lo spontaneismo disordinato dei tanti docenti che con slancio impulsivo si erano dati da fare, ma non ha mai nemmeno menzionato quegli esclusi certificati debitamente dalla statistica.

A dare man forte al ministro c’erano anche i rappresentanti di Confindustria, Fondazione Agnelli, ANP e, ovviamente, i media mainstream, ovvero quegli stessi soggetti che paradossalmente oggi incitano il nuovo inquilino di Viale Trastevere a prendere provvedimenti per recuperare il tempo e gli apprendimenti persi durante il corso dell’anno scolastico appena concluso.
Continuità è la parola chiave
Ciò che colpisce maggiormente di tutta la vicenda è che a fronte di innumerevoli analisi quasi tutte concorde nell’affermare che è indubbiamente imperativo ridurre le disuguaglianze, le soluzioni prospettate dai decisori politici e dai loro insigni consiglieri sono le stesse che vengono adottate da trent’anni a questa parte, cioè le medesime che ci hanno portato al punto in cui siamo, quelle stesse che hanno dimostrato inequivocabilmente il totale fallimento delle politiche scolastiche avviate con l’autonomia scolastica e che addirittura si intende estendere con l’autonomia differenziata.
Nessuna resipiscenza si intravvede all’orizzonte, al contrario, è la continuità la parola chiave. Non a caso la nomina di Patrizio Bianchi come sostituto di Lucia Azzolina è proprio nel solco della continuità, economista vicino a Romano Prodi (ricordiamo per completezza di informazione che l’autonomia scolastica fu introdotta proprio durante il primo governo Prodi (Legge n. 59/97), ma è stato anche coordinatore della task force istituita da Azzolina per gestire le criticità della scuola durante la pandemia. I risultati non sono stati positivi.
Ma è proprio l’idea di scuola che il nuovo ministro ha che suscita non poche perplessità in quanto a più riprese ha dichiarato che tra i suoi obiettivi principali ci sono:
- lo smembramento del gruppo classe, come vorrebbe anche l’esimio titolare della scuola Holden che in questa intervista rilasciata al quotidiano «la Repubblica», sciorina una pletora di luoghi comuni senza alcuna cognizione di causa;
- l’eliminazione delle discipline a favore di corsi scelti dagli studenti per sviluppare le competenze, sempre quelle;
- ridurre il liceo a quattro anni, un’ossessione da cui il PD non riesce a liberarsi, tant’è che anche Letta è ritornato su questo tormentone.
Una sola risposta: eliminare l’autonomia scolastica
Tenuto conto del fatto che se oggi siamo in queste condizioni, ovvero con un altissimo tasso di analfabeti funzionali e di ritorno, se l’Italia è tra i paesi europei con il più basso tasso di laureati e se è anche il paese europeo con i salari medi più deludenti, sarebbe il caso che si smettesse di riproporre le stesse ricette fallimentari degli ultimi decenni e si favorisse invece il principio di equità e uguaglianza sancito dalla Costituzione e non ancora pienamente attuato.
Ne consegue allora che è l’autonomia scolastica a dover essere eliminata in tempi rapidi, poiché con la sua introduzione le disuguaglianze sociali sono state acuite ed esasperate, oltretutto è inconcepibile e contro ogni principio costituzionale mettere le scuole in competizione tra loro. Essendo la scuola organo dello stato come dice Calamandrei, essa deve garantire a tutti gli studenti residenti in Italia un’istruzione di qualità in ottemperanza agli artt. 3 e 34 della Costituzione.
Perciò quando si rilevano disuguaglianze e si certifica dispersione scolastica la domanda a cui la politica ha l’obbligo di rispondere con misure efficaci è che tutte le scuole devono assicurare a tutti gli studenti pari opportunità e condizioni per garantire loro l’emancipazione da ogni bisogno. Nel concreto ciò significa che:
- ogni studente deve avere accesso ad un’istruzione di qualità, quindi poter frequentare l’indirizzo di studio di sua scelta, in edifici sicuri, attrezzati e accoglienti, dotati di connessione Internet (oggi assolutamente indispensabile) di dispositivi in numero sufficiente;
- significa anche che va vietata la richiesta delle scuole di contributi volontari alle famiglie.
- Per vietarla lo Stato deve fornire ad ogni scuola risorse finanziarie adeguate e ciò comporta altresì una dotazione di organico adeguata sia per quanto riguarda il personale docente, sia per gli ATA,
- infine, il punto cruciale e imprescindibile per favorire ogni azione didattica: l’eliminazione delle classi pollaio perciò è indispensabile reperire spazi idonei.
Quello sopra è un breve e non esaustivo elenco di necessità della scuola italiana, necessità che sono anche ben condensate in questo articolo di Alvaro Belardinelli che, sebbene si tratti di un giocoso scherzo in occasione del primo aprile di quest’anno, esso traccia un quadro abbastanza preciso di ciò che andrebbe fatto.
Se verrà fatto tutto questo entro il primo settembre 2021, dopo si potrà iniziare a parlare di tutto il resto.

© L. R. Capuana
TRENT’ANNI DI “RIFORME” NEOLIBERISTE CONTRO LA SCUOLA PUBBLICA – L. R. CAPUANA (lrcapuana.com)